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Scuola pubblica e o privata: Gli insegnanti (bravi) hanno una vita (di ………). ed è difficile immaginare altro…

Rassegna stampa
Un incontro quasi casuale con una collega e suo marito. Ci sediamo e scambiamo due chiacchere. Lui lavora nell’ambito delle emergenze, con turni di notte, reperibilità, missioni fuori regione. Lei è un collega, maestra di scuola primaria.
Ad un certo punto, mentre sta raccontando un intervento della sua squadra, Lui ci fa una domanda: “Perché è più semplice pianificare una squadra di emergenza che il lavoro di una maestra? Io ho la reperibilità, e so che devo partire se mi chiamano. Ma Lei è in servizio permanente, dopocena, sabato, domenica…. Ti sembra normale?”
Lei gira gli occhi al cielo, e mi invita: “Prova a spiegarglielo tu, che io mi sono arresa…”
Partirei dalla parola “normale”, usata da Lui.
E la risposta è semplice: NO, non è normale che una lavoratrice dedichi tutto il proprio tempo al lavoro. Non è normale, e non va bene.
Se invece per normale intendiamo comune o diffuso, allora la risposta è SI’, una parte degli insegnanti lavora tanto, troppo. E questo è un serio problema.


Ma c’è un problema ancora più serio: dell’iper-lavoro degli insegnanti non frega niente a nessuno – dirigenti, sindacati, ministero… – a parte i loro familiari, che ne subiscono pesantemente le conseguenze.

C’è un gravissimo problema strutturale che rende impossibile alleggerire il carico di lavoro delle insegnanti: non di tutte, di quelle brave. Per problema strutturale intendo un’organizzazione che nel suo “ultimo miglio” (le scuole) non è minimamente ordinata per rispondere in maniera adeguata alle esigenze di un buon servizio. E questo riguarda tutte le scuole e le istituzioni educative, dagli asili nido fino alle scuole superiori.
Nel contratto di lavoro della scuola (statale – le scuole paritarie e private stanno anche peggio) c’è un punto specifico: “l’attività funzionale all’insegnamento è costituita da ogni impegno inerente alla funzione docente…” che prevede il lavoro che gli insegnanti svolgono a casa per preparare le lezioni e per correggere gli elaborati. Mentre per i compiti che un docente svolge a scuola è previsto un certo numero di ore, il lavoro domestico non ha nessuna definizione temporale. Ed è veramente così: puoi non fare nemmeno mezz’ora, oppure puoi passare 70 ore alla settimana davanti al PC o sulle verifiche degli alunni. Nessuno controlla, nessuno rendiconta.
 
C’è una sorta di teoria a monte, per cui sarebbe impossibile capire quanto un’insegnante lavora a casa (così implicitamente sostengono sindacati e ministero…); ma c’è una pratica quotidiana costituita da lezioni ben preparate e da elaborati analizzati, corretti e valutati con serietà. Lo sanno bene gli alunni, ma lo sanno bene anche le famiglie. E in realtà lo sanno bene anche i dirigenti. Come dire, la qualità è un fattore  ben visibile.
Quindi, brave insegnanti e pessime insegnanti non vedono nessuna differenza di trattamento, né economico, né di altro tipo.
Ma questa è solo una parte del problema.
Perché la questione vera è un’altra: i bravi insegnanti spendono una quantità immane di ore a casa, e se anche venissero ben retribuiti per questo, resta il dato di fatto che è sbagliato sovraccaricare così un lavoratore. Perché i bravi insegnanti non riescono a lavorare di meno: senso di responsabilità, etica, deontologia, passione, rispetto….
È il sistema sbagliato.
Una prima questione…

Un problema strutturale è la suddivisione delle discipline rispetto alle ore di lavoro e al numero delle classi e degli alunni nelle classi.
Una classe con 28 alunni o una con 14 per definizione non possono avere la stessa quantità di lavoro a casa. Eppure il dato – oggettivo – non conta.
Alcune discipline prevedono elaborati e progettazioni ben più cospicui di altre, che prevedono metodi di insegnamento meno strutturati.
Che cosa vuol dire?
Io ho insegnato italiano alla scuola primaria, in due classi di 24 alunni ciascuna. Quando ho insegnato a scrivere i testi – temi, riassunti, piccole relazioni – mi ritrovavo ad avere come minimo 48 elaborati da correggere ogni settimana. E in più c’era tutto il resto – dalla lettura alla grammatica. Le colleghe di una scuola superiore o di una scuola media hanno quantità analoghe o superiori di lavoro domestico.
Per alcune discipline il numero degli alunni andrebbe limitato: una classe, tenendo in conto che è la somma del lavoro in classe più quello a casa che fa il totale.
Siamo lontani anni luce: abbiamo insegnanti che si occupano di più discipline, in più classi – e sono quelli costretti a ritmi di lavoro da manifattura del 1800.

Se l’insegnante è brava, significa che è anche affidabile, responsabile, partecipe della vita della scuola.
Questo si traduce in soma.
Quell’insegnante sarà la bestia da soma su cui il sistema-scuola scaricherà tutta una serie di funzioni (e quindi lavori) che a ben vedere è difficile spiegare perché.
L’insegnante da soma coordina una classe – ovvero è il primo referente per colleghi e genitori.
L’insegnante da soma potrebbe facilmente essere coordinatrice di un plesso (cioè di una delle sedi della scuola) e allora faranno riferimento a lei tutti i docenti, personale ATA e forse anche alcune famiglie di quella sede.
AH… naturalmente coordinamento di classe e coordinamento di plesso molto spesso si sommano, perché alcuni insegnanti da soma sono più da soma di altri…
 
Ma non basta: potrebbero coordinare un dipartimento, oppure essere referenti per alcune aree di lavoro della scuola, che con una pessima denominazione si chiamano “funzioni strumentali” – per esempio per l’informatica, l’inclusione, la continuità… e molte altre. Nel contratto si dice esplicitamente che non è previsto che le funzioni strumentali abbiano esoneri dalle ore in classe. Per definizione sono ore di lavoro che si aggiungono a quelle che normalmente vengono svolte. Funzioni strumentali, non esseri umani…
Quanti sono gli insegnanti disposti a trasformarsi in bestie da soma di questa entità? Va detto: sono pochi, e proprio su quei pochi il sistema insiste.
La responsabilità viene premiata con carichi di lavoro sempre maggiori.
Paradossalmente, l’affidabilità diventa una pecca di cui bisognerebbe liberarsi al più presto – pena l’essere scoperti presto e trasformati inevitabilmente in insegnanti da soma.
È un sistema crudele, che fa pagare a qualcuno la sua inefficienza precostituita.
Perché – la domanda è fondamentale – il sistema scuola non prevede che ci sia qualcuno che fa questi lavori, che hanno poco a che fare con l’insegnamento. Perché una maestra deve coordinare un plesso di 15 classi? Perché non c’è una persona dedicata al funzionamento di quella sede? Perché un’insegnante di italiano si deve ogni giorno preoccupare dei colleghi assenti e di come sostituirli?
Il preside da solo – con anche un vicepreside al fianco – non è materialmente in grado di svolgere tutte le funzioni; e il sistema delega agli insegnanti il completamento di quel lavoro che un preside non fa.
(È vero, ci sono gli uffici amministrativi – che si occupano meramente dell’amministrazione, anche loro ampiamente sotto organico. E che non si occupano di molte questioni prettamente organizzative – mascherate come didattiche, ma è un imbroglio semantico.)
Terza questione

La brava insegnante si aggiorna. Corsi, on line e in presenza, conferenze, studio sui libri. Questo riguarda naturalmente tutti gli insegnanti, a prescindere dalle discipline.
Che cosa distingue l’insegnante aggiornato da quello stantio? Nulla…. Nessun riconoscimento, nessuna progressione di carriera, nessun incentivo. Che tu faccia o meno, al sistema non interessa. Di nuovo la differenza la vedono gli alunni, tra un insegnante che vive nella cultura e nella scienza, o quello la cui lettura si ferma alla Gazzetta dello Sport o a Donna Moderna.
Nelle scuole statali ci sono i famosi 500 €, uguali per tutti. Nessun controllo, se non quello di un sistema un po’ farraginoso che si finge rigoroso, ma che in realtà è solo (un po’) complicato.
Quando è che la brava insegnante studia?
Ovviamente a casa…
Come se la formazione degli insegnanti potesse essere opzionale per il sistema scuola e non una priorità.
Nelle indagini europee, gli insegnanti italiani sono fra gli ultimi per grado di soddisfazione professionale.
Mi stupisco che qualcuno si stupisca.
E infine la quarta questione.

Lui si chiede perché…
Lei gli spiega perché…
Lui non capisce…
In questo gioco al massacro, il giocatore “sano” è Lui: che chiede e non capisce.
Non capisce che Lei spieghi la sottrazione alla vita familiare.
Non comprende come Lei argomenti la rinuncia ad uscire più spesso con i bambini.
Si stupisce che Lei non guardi un film insieme a Lui. O che non legga un libro seduta in poltrona.
Lei dice che non trova il tempo.
Ed è vero, glielo hanno tolto tutto.
Senza dirglielo, facendolo credere un evento naturale.
Essere a ottobre e sentirsi stanche come in maggio. Le vacanze non sono più nemmeno un ricordo.
La quarta questione è la qualità di vita degli insegnanti bravi, professori, maestre ed educatrici. Di sostegno e curricolari. Dei nidi, dei licei, delle medie e dei professionali…
Una qualità di vita sempre più impoverita e dura.
In molti studiosi si chiedono come mai il lavoro educativo sia diventato un’area esclusiva delle donne. C’è chi tira in ballo il prestigio professionale decaduto.
Io credo che una delle risposte sia nella drammatica capacità delle donne di sacrificarsi, di sopportare dolori e fatiche.
È un prezzo alto quello che viene pagato, anche dagli uomini che insegnano.
Lo fanno perché sanno che il sistema si regge – molto – sulle loro spalle.
La buona scuola si fonda sulla vita di merda dei suoi migliori insegnanti.

dal profilo fasebook di Stefano Zoletto, 17.10.2021








Postato il Venerdì, 22 ottobre 2021 ore 10:27:17 CEST di Andrea Oliva
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