C’è la
“Standford University” che per assonanza richiama la celebre università
di Stanford in California, ma c’è anche l’European Institute of
Technology che nulla ha a che fare con l’European Institute of
Innovation and Techology (Eit), polo d’eccellenza della Commissione
europea. Ma la teoria di istituti fasulli o irregolari non finisce qui.
Come non pensare, ad esempio, alla Libera Università degli studi di
Formello che millantava diplomi riconosciuti e finanziamenti europei
inesistenti, salvo poi cessare la sua attività nel 2004 grazie ad un
intervento dell’AGCM. Dalle istituzioni che operano in Italia vantando
dubbi accreditamenti internazionali, agli istituti dediti a sfornare
finte lauree ad honorem, quello dei diplomifici è un vero e proprio
mercato parallelo. Una filiera della truffa a tutti gli effetti: alle
istituzioni di formazione superiore false, infatti, rispondono agenzie
di accreditamento, altrettanto false, che ne certificano la qualità,
cui fanno da corollario centri fasulli di certificazione delle
qualifiche. Senza dimenticare i frequenti casi di “visa mills”, ossia
enti che offrono corsi col solo scopo di consentire il rilascio di
visti di studio per l’ingresso e il soggiorno in un dato Paese.
Ed è proprio in questa area grigia, in cui si altera il valore e il
significato della conoscenza autentica, che si addentra il volume
“Lauree 30 e frode”, scritto a quattro mani da Luca Lantero e Chiara
Finocchietti, direttore e vicedirettore del CIMEA (Centro di
informazione sulla mobilità e le equivalenze accademiche afferente alle
reti NARIC - National Academic Recognition Information Centres
dell’Unione Europea ed ENIC - European National Information
Centres del Consiglio d’Europa e dell’Unesco) ed entrambi esperti
internazionali operanti all’interno della Piattaforma ETINED del
Consiglio d’Europa (Council of Europe Platform on Ethics, Transparency
and Integrity in Education).
Il libro, edito dal CIMEA e la cui prefazione è stata curata dal
viceministro al MIUR Lorenzo Fioramonti, è anche un vademecum per
orientarsi nelle scelte della formazione universitaria ed evitare di
incappare nelle trappole della “fabbrica dei titoli”. Solo guardando
all’Italia sono oltre 60 le istituzioni non riconosciute citate dalle
circolari del Ministero dell’Università dal 1988 al 1994, e sono 143
quelle operanti nel nostro Paese e inserite nel report del Consiglio
d’Europa del ‘96, ma erano appena 30 dieci anni prima, all’epoca del
primo rapporto dello stesso Consiglio d’Europa. A distanza di un
decennio, infatti, le “diploma mill” in giro per il mondo sono passate
da 700 a circa 1.330. La maglia nera spetta agli Stati Uniti che ne
conta oltre 400, seguiti dal Regno Unito (a quota 195) e appunto
dall’Italia con le sue 143 istituzioni prive di riconoscimento.
Ma si tratta di un fenomeno che negli ultimi anni sta mutando pelle,
passando dal modello tradizionale di una società gestita da un solo
proprietario, e operante principalmente in un unico o in un numero
ristretto di mercati, a un modello di fabbrica di titoli costituita da
una galassia tentacolare di società riconducibili a diversi Paesi, con
una miriade di siti web di diverse “istituzioni”, i cui titoli sono
venduti e spesi in una molteplicità di nazioni su scala globale.
“L’internazionalizzazione della formazione superiore e l’innovazione
tecnologica - sottolinea Finocchietti - se da un lato costituiscono una
enorme opportunità per la conoscenza, dall’altro rappresentano anche
l’humus ideale per il proliferare di pratiche opache, per quanto
antichissime, dal momento che ve ne è traccia già nel Medioevo. È pur
vero però che gli strumenti di contrasto e, quindi, di salvaguardia
degli standard di qualità del processo formativo ci sono e sono
efficaci. In Italia le leggi e gli interventi dell’AGCM per pubblicità
ingannevole o per pratiche di marketing scorrette i loro frutti li
hanno dati e continuano a darli. Ma per arrestare il fenomeno occorre
anche un cambio di mentalità”. Le regole del mercato, infatti, non
conoscono eccezioni, per cui anche in questo ambito all’offerta di
titoli fasulli corrisponde una domanda di scorciatoie che giunge da
vari strati sociali. Ed il volume “Lauree 30 e frode” scandaglia
proprio i diversi profili di “acquirenti”: c’è chi ha fretta di fare
carriera negli enti pubblici e nelle aziende e cerca la via breve per
ottenere un titolo accademico, ma ci sono anche i “cacciatori di
titoli” per pura vanità e narcisismo.
“E’ proprio per tale ragione - conclude Lantero - che accanto alla
deterrenza normativa serve anche un approccio culturale diverso. Al di
là delle gravi ripercussioni economiche che questo business parallelo
comporta, configurando giri d’affari milionari oltre che pesanti casi
di evasione fiscale, c’è infatti un aspetto etico da non trascurare.
Bisognerebbe tenere sempre a mente che nel caso di professioni
sensibili rispetto a diritti fondamentali come la sicurezza o la
salute, un titolo conseguito senza un percorso di studio e formazione
autentici può rappresentare una minaccia per la vita delle persone e
per l’intera collettività”.
Il testo integrale è consultabile online all’indirizzo:
http://cimea.it/files/fileusers/lauree_30_frode/mobile/index.html#p=1
Ufficio stampa Cimea
Paola Alagia
paolaalagia78(at)gmail.com