Mappe. L’avvento
della Rete ha delineato un nuovo territorio per un fenomeno che, rivela
il sondaggio Demos, preoccupa una parte sempre più larga della
popolazione
Il bullismo è un fenomeno serio e odioso. Ma solo da pochi anni ha
ottenuto un’attenzione pubblica adeguata. Anche se ha una storia lunga.
Narrata dal cinema e dalla letteratura. Oggi, però, è oggetto di
preoccupazione diffusa. E, per questo, numerosi istituti di ricerca
conducono analisi e ricerche sistematiche, sul fenomeno. Dall’Istat
all’Istituto Toniolo dell’Università Cattolica, al Centro di ascolto di
Telefono Azzurro.
Tanta attenzione riflette l’effettiva crescita del fenomeno, ma anche
il diverso significato che ha assunto. In passato, infatti, era
“accettato” come una sorta di rito di passaggio all’età adulta. Pochi
lo definivano come un sopruso o un abuso. A scuola, ma anche nella vita
quotidiana, nei gruppi, nei quartieri, il bullo era, spesso, la figura
dominante. Il bullismo: un metodo di affermarsi attraverso
l’umiliazione di altri giovani. Più deboli o, comunque, meno capaci di
reagire. Meno disposti ad agire nello stesso modo. Tuttavia, per quanto
serio e grave, il fenomeno appariva “circoscritto”. O almeno
localizzato, non solo nello spazio, ma ancor più nel tempo. Passati
alcuni anni, il contesto cambiava. Tanto più e soprattutto se si
cambiava, appunto, contesto. Residenza, località. E soprattutto:
scuola. Perché la scuola ne è sempre stato l’ambiente privilegiato.
Oggi non è più così. Perché, da un lato, la “giovinezza” si è
allungata. Come gli anni di studio. E, soprattutto, perché le distanze
territoriali non contano più come un tempo. Anzi: non contano più.
Perché l’avvento della rete, dei social media le ha vanificate. E,
anzi, ha delineato e costruito un nuovo “territorio” nel quale il
bullismo, anzi, il cyber-bullismo, si è affermato. E diffuso. Senza più
limiti.
Secondo un’indagine Doxa Kids svolta su tutto il territorio italiano,
il 35% dei ragazzi dagli 11 ai 19 anni è stato vittima di episodi di
bullismo. E il fenomeno appare in aumento, soprattutto negli ultimi
anni. Anche se bisogna tener conto che, ormai, ogni “atto violento”
commesso da giovani ai danni di altri giovani, presso l’opinione
pubblica, tende a venir catalogato come “bullismo”. Senza ulteriore
specificazione.
Le vittime coinvolte, comunque, sono principalmente femmine (nel 56,3%
dei casi), tra gli 11 e i 14 anni (nel 40,6% dei casi). Infine, il
10,2% dei bambini e adolescenti coinvolti è di nazionalità straniera.
L’Istat traccia un profilo ancor più pesante del fenomeno. Secondo le
sue indagini, infatti, nel 2014, oltre metà dei giovani (e
giovanissimi) compresi fra 11 e 17 anni è stato oggetto di episodi
violenti ad opera di altri ragazzi o ragazze. Due su dieci, inoltre si
dichiarano bersaglio di “offese” ripetute. Più volte al mese. Circa il
6% è stato vittima di questi episodi per via digitale. Sui social
network. In questo caso si tratta, soprattutto, di ragazze. Il
bersaglio privilegiato (si fa per dire) di cyber-bullismo.
Se questa è la “realtà” del fenomeno, il sondaggio di Demos, condotto
nelle scorse settimane in Italia, ne conferma la gravità e la
diffusione, nella “percezione” sociale. Infatti, 7 persone su 10
considerano il bullismo “inaccettabile”. Rispetto al 2007 (cioè, quasi
10 anni fa) si tratta di oltre 5 punti percentuali in più. Nello stesso
tempo, fra gli italiani, è cresciuta la convinzione che il fenomeno sia
diffuso nella maggioranza delle scuole. Lo pensa, infatti, quasi un
quarto della popolazione. Ed è interessante osservare come questa idea
non sia concentrata in una specifica coorte d’età. Risulta, invece,
trasversale. Distribuita ed estesa in diversi settori sociali e
generazionali. Certo, la preoccupazione appare molto elevata
soprattutto fra i giovani da 15 a 24 anni. E fra gli studenti. In
entrambi i casi, la convinzione che il bullismo sia diffuso in gran
parte delle scuole è condivisa da circa il 30% degli intervistati.
Giovanissimi e studenti, d’altronde, in larga parte coincidono. E sono,
per questo, il bersaglio (ma, spesso, anche gli autori principali) del
fenomeno.
Tuttavia, la diffusione del bullismo viene denunciata dai
“giovani-adulti”, fra 25 e 34 anni, in misura perfino più ampia: 33%.
Si tratta dei “fratelli maggiori”, che, presumibilmente, hanno appena
concluso la loro “carriera” di studenti. E, per questo, percepiscono
l’esperienza del bullismo in misura più intensa e diretta. Perché
l’hanno lasciata alle spalle. Ma la diffusione del bullismo è
denunciata, in misura esplicita ed estesa anche presso le generazioni
successive. Soprattutto fra le persone fra 55 e 64 anni. Mentre fra gli
“anziani” (oltre 65 anni) la percezione del fenomeno risulta
decisamente limitata (12%). Probabilmente perché è stata metabolizzata
nel tempo. Oppure perché, come si è detto, viene ritenuta inevitabile.
Quasi un passaggio obbligato oltre l’adolescenza.
Infine, l’influenza esercitata dalla rete e dai social network sulla
crescita degli atti di bullismo appare “data per scontata” da una quota
maggioritaria della popolazione. Ne sembrano convinte, soprattutto, le
persone più anziane, con oltre 65 anni d’età e livello di istruzione
meno elevato. Le componenti sociali, dunque, che hanno meno confidenza
e meno pratica rispetto ai media digitali. Così si conferma l’idea che
il bullismo “spaventi” soprattutto chi ne ha notizia solo – o
soprattutto – attraverso la radio e la TV.
Il “bullismo mediale”, insomma, rischia di suscitare più paura di
quello “digitale”.
Ilvo Diamanti
Repubblica