Si avvicinano le
vacanze di fine anno e, come è ormai consolidata tradizione, inizia la
fibrillazione nel mondo scolastico. Ora i grandi problemi ambientali,
più tardi la contestazione ad un capitalismo arrogante che non si fa
scrupolo di sfruttare le debolezze del mondo del lavoro, quindi la
solidarietà agli esclusi ed emarginati del mondo ed ancora, e perché
no, la manifesta indignazione contro il mancato riconoscimento diritti
civili. Cause nobili, sulle quali non c’è nulla da dire se non per
aggiungere ulteriori argomenti che a guardarci attorno nella presente
crisi sicuramente non mancano. Tutti temi, quelli che abbiamo elencato
che all’apparenza sarebbero spia di una maturità culturale che altre
generazioni di studenti non hanno purtroppo avuto.
Eppure, a guardare bene, avendo come metro quel tanto di laicità
razionale che ogni tanto dovremmo tirare fuori soprattutto mettendo da
da parte passioni e ideali, non possiamo che restare basiti
confrontandosi con questi giovani, al punto da fare intuire che, con
qualche rara eccezione, la finalità recondita che motiva lo scendere in
piazza sia altra rispetto a quella pubblicamente dichiarata. Diciamolo
fuori da denti, tutte le motivazioni che abbiamo in premessa citato
c’entrano come cavolo a merenda perché l’intesse principale della quasi
totalità, e dico quasi perché qualche ingenuo e onesto penso che ci sia
, è quello di allungare il tempo delle vacanze di qualche settimana
giocando a fare i rivoluzionari ed utilizzando tutto l’armamentario
linguistico e strumentale di un tempo ormai tramontato.
Se ê questa la verità cruda e nuda, che può anche non far piacere
sentirsela ripetere, sorprende che qualcuno si intesti di dare
giustificazione a quelle che in poche parole sono vere e proprie
manifestazioni di disimpegno piuttosto che di impegno. Sarebbe, dunque,
il caso di cominciare a crescere, un invito che va fatto a tanti ma
anche, e soprattutto, a quei cattivi maestri che indicano la strada
dello sfascio come quella giusta per ricostruire una società degradata
del quale in qualche modo si é un po’ tutti responsabili. Sarebbe
ancora opportuno che anche le famiglie, che molto spesso mostrano
debolezza verso queste forme di presunta protesta, cominciassero ad
assumere comportamenti seri richiamando i loro figli ai propri doveri.
Sarebbe infine utile che la classe docente non si mostrasse compiacente
pensando di sfruttare tali fibrillazioni per lucrare qualche giorno di
ferie o per supportare in modo improprio certe anche pur giuste
rivendicazioni personali. Dobbiamo capire che il tempo dei cortei
opportunistici, delle occupazioni delle scuole, con i danni che ne
derivano per il patrimonio pubblico, sono ormai tramontati e che la
vera svolta può oggi solo venire da un supplemento di impegno.
Giocare alla rivoluzione, immaginare “l’impossibile” lucrando la
compiacenza del “possibile” é roba d’altri tempi che non porta da
nessuna parte e invece impoverisce, più di quanto non lo sia in questo
terribile momento storico, ancor di più la nostra debolissima società.
Pasquale Hamel