Il decreto
legge 104/2013 è stato ben accolto dalla scuola come segnale di
attenzione (basta tagli!) ma è stato criticato da parte della stampa
per non aver rivolto attenzione al rapporto tra scuola e lavoro,
limitandosi a potenziare i fondi destinati a progetti di orientamento
scolastico, da anticipare al 4° anno di scuola secondaria di secondo
grado. Il tutto nonostante le lamentele del ministro Carrozza sulla
scarsa esperienza lavorativa dei giovani italiani rispetto a quella di
altri ragazzi europei (tipicamente i tedeschi).
Sulla utilità formativa del lavoro contrapposta all'eccesso di
idealismo che permea la cultura didattica in Italia si è scritto molto.
Sull'auspicabilità di imitare il modello formativo tedesco come
strategia di avvicinamento dei giovani italiani al lavoro vale la pena
di riflettere. Innanzitutto perché il modello tedesco è un modello
sistemico, che abbraccia tanto il sistema formativo quanto le relazioni
industriali. Alla sua base sta l'esigenza condivisa di selezionare e
formare una forza lavoro qualificata, che rappresenta un elemento
centrale della competitività del modello tedesco. Perciò il settore
della formazione professionale non è residuale, come in Italia, ma
selettivo (e incontra difficoltà di reclutamento in anni recenti): ciò
significa che gli studenti che si rivolgono al canale professionale non
sono necessariamente studenti con background familiari deboli, magari
appartenenti alla seconda generazione di immigrazione, quanto studenti
motivati che intravedono nella qualificazione professionale opportunità
di ascesa sociale. Per funzionare tale sistema ha bisogno di una
controparte speculare dal lato del mercato del lavoro: le carriere
interne alle imprese sono condizionate al possesso delle qualificazioni
conseguibili nella formazione professionale. E questo non solo in età
giovanile ma anche negli stadi successivi della vita lavorativa adulta.
Occorrerebbe ripensare la riqualificazione della nostra formazione
professionale ma questo non può essere fatto solo dal ministero
dell'Istruzione. Se, ad esempio, il ministero del Lavoro non modifica
in modo radicale il canale d'ingresso oggi rappresentato
dall'apprendistato, le certificazioni rilasciate dalla formazione
professionale rischiano di rimanere pezzi di carta. Il dibattito dopo
la riforma Fornero sembra invece spingere in una direzione opposta,
indebolendo i requisiti formativi necessari e spostando la
responsabilità formativa nelle aziende. Si corre il rischio di ottenere
una qualificazione di fatto, non di diritto, che non dà spinta nella
direzione di una meritocraticità degli accessi lavorativi.
Questo non può essere affrontato in un decreto legge. Se si vuole
introdurre l'esperienza lavorativa come contenuto formativo per tutti
gli iscritti alla scuola secondaria di secondo grado, occorre
ripensarne l'ordinamento. Come già nei principi ispiratori della
riforma Berlinguer-DeMauro, all'interno di un biennio secondario
unificato è possibile immaginare l'accreditamento di attività
pratico-manuali svolte al di fuori delle mura scolastiche.
Tuttavia resta il nodo del riconoscimento dei contenuti formativi nella
futura carriera lavorativa, e questo non può essere regolato o imposto
per legge (pena l'inutile moltiplicazione di albi e ordini). Affinché
il sistema produttivo attribuisca valore alle certificazioni
scolastiche, si rendono necessarie almeno due condizioni: che i
rappresentanti del sistema produttivo siano resi corresponsabili nella
scelta di quella parte dei contenuti formativi, che possano avere
ricadute sulle competenze lavorative; che le imprese accettino di
negoziare i percorsi di carriera interni con le rappresentanze
sindacali, che per questa via sono coinvolte nella progettazione dei
percorsi di formazione professionale. Si tratta di modifiche
istituzionali di ampia portata, che richiedono governi forti e larghe
maggioranze parlamentari. Ma se si condivide l'obiettivo di lungo
periodo, spezzoni di riforma possono essere introdotti localmente già
ora, sfruttando la concorrenza di competenze Stato-Regioni su questo
terreno.
Daniele Checchi
Ilsole24ore.com