Ho molte volte
considerato, da anni ma anche in tempi recenti, l’importanza di una
formazione scolastica integrata e coerente, con adeguati ritmi di
lavoro per gli allievi e con una seria considerazione del tempo (e
modi) di lavoro da parte dei docenti. In tali considerazioni entravano
le riflessioni sulla necessità di spostare in avanti delle scelte
irreversibili da parte degli allievi, assistiti da un serio lavoro di
orientamento. Ciò poteva significare sia l’istituzione del biennio
unico, come (per avvicinarci all’Europa) la scelta di un percorso
unificato prima della specializzazione triennale. Naturalmente un
discorso a parte merita la considerazione su tempi e modi del lavoro
didattico. Oggi si torna a parlare di accorciare di un anno il percorso
di studi scolastici per avvicinarci all’Europa, ignorando che i vari
modelli di scuola altrove prevedono tempi di lavoro giornalieri più
lunghi dei nostri, semplificazione e tecnicizzazione di programmi,
varie opzioni relativamente a scelte professionali legate alla realtà
produttiva dei vari Paesi, nonché, alla fine, percorsi
universitari contrassegnati da un reale rapporto docente-studente,
senza cedere alla infinita parcellizzazione delle materie di
studio intesa a moltiplicare all’infinito le cattedre universitarie.
Nei cinquantanove anni passati entro aule scolastiche di varie città
italiane e qualcuna europea mi sono reso ben conto che si può
apprendere molto anche in tempi brevi, qualora si è assistiti da una
guida didattica costante senza essere abbandonati a se stessi o alle
famiglie. Ciò comporta un adeguato tempo di “relazione didattica” dall’asilo
all’università, con relativo adeguato investimento di spesa. Il lavoro
scolastico è infatti sempre un esercizio costante di apprendimento
teorico-pratico con la necessità di un continuo dialogo
docente-discente nell’acquisizione del sapere e del saper fare, un
efficace controllo sul piano della pratica ed un adeguato stimolo nella
metodologia della ricerca. Ridurre un anno di scuola solo per
risparmiare licenziando (o non assumendo che è lo stesso) diverse
decine di migliaia di docenti, lasciando immutato il resto è
quanto di più stolto un governo civile possa pensare e attuare, anche
in tempi di reale ristrettezza economica.
Roberto Laudani
robertolaudani@simail.it