La novità prevista
nel prossimo concorso a cattedre è evidente. Certamente non è
rappresentata dalla mezz’ora di simulazione di una lezione frontale
davanti alla Commissione d’esame. I concorsi a cattedre, ma anche
quelli per ottenere l’abilitazione ad insegnare, fino agli anni
settanta dello scorso secolo la prevedevano come lezione vera e
propria, senza alcuna determinazione temporale, ma con una procedura di
sorteggio: una lettera estratta per la disciplina specifica, un numero
per l’argomento contrassegnato da quel numero sequenziale. Neppure i
trenta minuti stabiliti per la lezione frontale rappresentano una
grande novità, dato l’ormai diffuso suggerimento di fissare i tempi dei
colloqui nei vari esami di Stato. Piuttosto potrebbe rappresentare una
novità (a parte i quiz per l’eliminatoria iniziale) proprio la mancata
richiesta di svolgimento di un tema per iscritto, come la tradizione ha
sempre voluto per degli esami intesi a selezionare insegnanti. È bensì
vero che i vari quiz, a risposta chiusa o aperta, caratterizzano da
tempo i concorsi nella pubblica amministrazione. Ma è altresì temibile
che abolire il “tema” nei concorsi a cattedre preluda
all’abolizione dello stesso nell’esame di “maturità” al termine degli
studi secondari. Sarà un bene? L’antica scrittura, vuoi ti tipo
tacitiano vuoi di tipo ciceroniano, dei professori e di conseguenza
degli allievi è da abbandonare del tutto in nome del moderno strumento
informatico? Ecco: strumento. Nell’aprile del lontano
millenovecentottantacinque, nel salone dell’isolato San Rocco, a Reggio
nell’Emilia, la preoccupazione espressa da Umberto Eco nel corso di una
tavola rotonda moderata da Gianni Letta e condotta oltre che dal noto
filosofo-romanziere, da Lucio Lombardo Radice, dal direttore
dell’istituto di cibernetica della Statale di Milano e da un altro
cattedratico di quelle parti, davanti a numerosi allievi (tra i quali i
miei del Bus-Tcs), la preoccupazione ripeto era proprio quella che
l’informatica doveva sì trovare sempre più spazio nella scuola italiana
e presso i giovani, ma non doveva mai cessare di essere un semplice
strumento, senza annullare o sminuire il discorso ampio, la scrittura
per trattazioni analiticamente motivate su fatti e problemi, la
narrazione storica e politica, come l’argomentazione filosofica ed
estetica. L’interesse nostro che ascoltavamo era vivo; non per nulla i
miei studenti di elettronica-informatica studiavano anche filosofia.
In conclusione, credo che avere ripreso a dare speranza agli aspiranti
docenti, giovani o meno, con i concorsi a cattedre sia cosa lodevole.
Temo altresì che risparmiare tempo e denaro evitando di obbligare a
cimentarsi nello scrivere con adeguate argomentazioni, anche diffuse,
su temi specifici i futuri professori potrebbe comportare il rischio di
creare una classe docente incapace di esprimere dei validi contenuti, a
parole o per iscritto, in maniera compiuta, significativa ed efficace,
come troppo spesso ci capita di sentire, ascoltando le cronache
parlamentari, sono molti nostri governanti politici.
Tanto dovevo e volevo esprimere.
Roberto Laudani
robertolaudani@simail.it