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Nuove Tecnologie: Il nuovo Codice da Vinci

Rassegna stampa

Nel quartier generale della Cia, a Langley, in Virginia, l'iscrizione più nota era sempre stata la frase di San Paolo incisa nel marmo dell'ingresso principale: CONOSCERETE LA VERITÀ E LA VERITÀ VI FARÀ LIBERI. Ma negli ultimi anni un altro testo è diventato celebre all'interno e all'esterno della Central Intelligence Agency: 865 caratteri di un linguaggio apparentemente incomprensibile, scolpiti su uno strato di rame spesso 1,25 centimetri. Fa parte di una scultura chiamata Kryptos. L'ha creata uno scultore di Washington, James Sanborn.

L'artista ricevette l'incarico nel 1988, quando la Cia stava costruendo un nuovo edificio dietro al suo quartier generale. L'agenzia voleva un'installazione esterna per l'area compresa tra i due palazzi, un'opera d'arte pubblica che gran parte della gente non avrebbe mai visto. Sanborn intitolò la sua proposta con il termine greco che significa "nascosto". L'opera è una meditazione sulla natura della segretezza e l'elusività della verità, e contiene un messaggio in codice.

Quasi vent'anni dopo l'inaugurazione, il testo non è ancora stato decifrato completamente. Una comunità mondiale di sedicenti critto-analisti, assieme ad alcuni dipendenti dell'agenzia, ha potuto decifrare tre delle sue quattro sezioni, rivelando una prosa oscura che ha avuto il solo effetto di rendere il puzzle ancora più confuso. Rimangono da decifrare i 97 caratteri della quarta parte (conosciuta come K4 nel gergo di Kryptos). E più questa impasse si protrae nel tempo, più aumenta l'agitazione generale.

La persistente oscurità del Kryptos, frutto del caso o abilmente programmata che sia, incarna la natura stessa della Cia, e ci ricorda perché i segreti e i sotterfugi ci attraggono tanto. «L'intera opera verte sul potere della segretezza», mi dice Sanborn quando visito il suo studio, una struttura simile a un fienile sull'isoletta Jimmy, nella Chesapeake Bay (abitanti: due). Lo scultore è alto 1,98 metri, ha la barba e sembra dimostrare un po' meno dei suoi 63 anni. L'ultima opera su cui sta lavorando, un rifacimento di 8,5 metri di altezza del primo acceleratore di particelle del mondo, circondato da alcuni hardware originali del progetto bellico nucleare Manhattan, è alle sue spalle. Il meccanismo delle bombe atomiche si adatta bene all'ambizione della sua creazione, che si concentra sulle "forze invisibili", come le definisce lui.

Il Kryptos, invece, rappresenta la sua idea più forte su ciò che non vediamo e non possiamo conoscere. L'ambizioso lavoro di Sanborn comprende la scultura principale di circa tre metri di altezza - un'onda di rame a forma di S con le lettere ritagliate, ancorata a una colonna di 3,30 metri di legno pietrificato - e pezzi enormi di granito vicino a una fontana. Sebbene gran parte dell'installazione si trovi in uno spazio adiacente alla caffetteria della Cia, dove gli analisti e le spie si possono rilassare mangiando all'aperto, il Kryptos si estende oltre il cortile in direzione dell'altro lato del nuovo edificio. Lì, i piatti di rame vicino all'ingresso rivelano pezzi di codice Morse e una calamita giace vicino a una bussola incisa nel granito.

Il cuore dell'opera, però, è il testo. Criptato, dice Sanborn, con «un sistema codificato che si svelerà solamente in un certo periodo di tempo». Quando cominciò l'opera, l'artista sapeva molto poco di crittografia, ed era restio ad accettare l'offerta della Cia di lavorare con Ed Scheidt, che si era appena ritirato da direttore del centro crittografico di Langley.

Scheidt iniziò Sanborn alle tecniche crittografiche utilizzate dalla fine del XIX secolo fino alla seconda guerra mondiale, quando gli agenti dovevano usare carta e matita per codificare e decodificare i loro messaggi. (Ai giorni nostri, naturalmente, la crittografia è fatta di compatti algoritmi da computer utilizzati assieme a chiavi matematiche). Dopo aver sperimentato una serie di modelli, tra i quali la sostituzione polialfabetica, le matrici mutanti e la trasposizione, i due giunsero a una sorta di crittografia artigianale della vecchia scuola che, a loro avviso, avrebbe tenuto alla larga i solutori di codici abbastanza a lungo da generare una certa suspense. Sanborn, in ogni caso, era l'unico a conoscere le soluzioni, che non condivise con Scheidt: «Pensavo che le prime tre sezioni sarebbero state decifrate in qualche settimana, al massimo in qualche mese».

Durante i due anni di costruzione, ci furono momenti di complotti e paranoia, in sintonia con l'opera in questione e con il cliente. «Dovevamo giocare un po' in clandestinità», rivela Scheidt, che parla di osservatori sconosciuti, armati di telecamere a lungo raggio e microfoni ad alta intensità. «C'erano persone che salivano sui muri del mio studio per fotografare all'interno», dichiara Sanborn. Giunse a pensare che alcune fazioni all'interno della Cia volessero far morire il progetto sul nascere. Dovette superare ostacoli inspiegabili. Per esempio, dice «un giorno un enorme carico di pietre scomparve. Non venne mai ritrovato. Lo vidi la sera, tornai il mattino dopo ed era sparito. Nessuno mi disse cosa fosse successo».

Sanborn finì la scultura in tempo per l'inaugurazione nel novembre 1990. L'agenzia pubblicò il testo codificato e tutti i migliori e i più folli talenti critto-analitici si misero al lavoro.

Ma impiegarono più di sette anni, non i pochi mesi ipotizzati daSanborn, per decodificare le sezioni K1, K2, e K3. Il primo solutoredel codice, l'impiegato della Cia David Stein, trascorse 400 ore alavorare a mano nel suo tempo libero. Stein, che descrisse l'emergeredel primo passaggio come un'esperienza religiosa, rivelò la soluzioneparziale in una sala gremita a Langley, nel febbraio del 1998. Manemmeno una parola venne fatta trapelare alla stampa. Sedici mesi piùtardi Jim Gillogly, un critto-analista di Los Angeles, utilizzò uncomputer Pentium II e alcuni software personalizzati per decodificarele stesse tre sezioni. Quando la notizia del successo di Gilloglydivenne di dominio pubblico, la Cia diffuse la precedente decodifica diStein. Ma se qualcuno pensava che la soluzione delle prime tre sezioniavrebbe portato a una veloce risoluzione dell'intero puzzle, le suesperanze andarono presto in frantumi. Le soluzioni parziali ebbero ilsolo effetto di rendere più profonda la confusione.

Il K1 è un passaggio scritto da Sanborn. «Cercai di fare in modo che suonasse bene e che fosse abbastanza imperscrutabile da risultare interessante», afferma. Giudicate voi stessi quanto sia stato bravo: TRA LE DELICATE OMBREGGIATURE E L'ASSENZA DI LUCE GIACE LA SFUMATURA DELL'IQLUSIONE. Sì, "iqlusione", uno dei tanti errori di ortografia che Sanborn sostiene siano intenzionali. La seconda sezione assomiglia a una trasmissione telegrafica. C'è un riferimento a un campo magnetico e informazioni trasmesse a una data latitudine e longitudine, le coordinate di un luogo a una sessantina di metri a sud della scultura (dove però non c'è niente di interessante).

Il K3 parafrasa l'appunto su un diario dell'antropologo Howard Carter durante la sua scoperta della tomba di Re Tut nel 1922, concludendo con una domanda: RIESCI A VEDERE QUALCOSA? Quando Gillogly risolse quel passaggio, dice, provò «la stessa eccitazione e la stessa gioia descritta da Carter. In qualche modo, sembra che il testo principale sia una metafora del lavoro del solutore del codice, o forse della stessa Cia».

Rimangono impenetrabili i 97 caratteri del K4, Sono divenuti ormai l'Everest dei codici. Sia Scheidt sia Sanborn confermano che il segmento finale fu concepito come la sfida più difficile. Ci sono infinite teorie su come risolverlo. È necessario avere accesso alla scultura? Il codice Morse della sezione K2 è un indizio? Ogni aspetto del progetto è stato analizzato al microscopio, visto che migliaia di persone, veri e propri crittografi o solutori di codici dilettanti, l'hanno osservato attentamente. Alcuni sono giunti sino alla pazzia: un uomo del Michigan ha lasciato la sua azienda di software per pc per darsi all'edilizia e avere così più tempo per lavorarci su. Mille e trecento membri di un gruppo di Yahoo cercano di fare progressi con qualsiasi mezzo, dalla matematica complessa all'astrologia. Nel frattempo, alcuni dei cercatori cominciano a stancarsi. «Voglio solo vederlo risolto», dice Elonka Dunin, cinquant'anni, sviluppatore di videogiochi di Saint Louis, che gestisce un centro di informazioni e gossip sul Kryptos.

A rendere lo sforzo più complicato c'è il fatto che il creatore del puzzle è vivo e, almeno in teoria, è una potenziale risorsa. Da anni c'è un delicato rapporto tra l'artista e la rabbiosa comunità del Kryptos. Ogni parola di Sanborn viene esaminata in cerca di indizi. Ma bisognerebbe anche chiedersi se lui stia cercando di aiutare i solutori o di fuorviarli. Scheidt dice che questa vicenda è una metafora del lavoro della Cia: «L'immagine dell'intelligence include specchi e oscuramenti».

«Non è mia intenzione fare disinformazione», afferma Sanborn. «Sono un crittografo benevolo». Alcuni pensano il contrario, tanto che a volte riceve messaggi da persone infuriate per il solo motivo di ignorare il segreto che lui conosce. «Il fatto è che ho una sorta di potere», dice. «Non so come riescano a trovare il mio numero di cellulare e ogni dato attraverso internet, ma ci riescono. Alcuni mi hanno chiamato e mi hanno detto cose terribili. Altri mi accusano di essere un agente di Satana, perché ho un segreto che non ho intenzione di svelare». Sebbene l'abitudine di Sanborn sia di stare defilato, sempre più spesso si sente obbligato a commentare. Nel 2005 ha respinto la rivendicazione di Dan Brown secondo cui la "WW" nel testo principale del K3 potrebbe essere invertita in un "MM", suggerendo Maria Maddalena. Dal canto suo, Brown ha incluso alcune parti del Kryptos nella sopracopertina del Codice Da Vinci e ha accennato che il suo prossimo romanzo verterà sulla scultura della Cia, una prospettiva che infastidisce profondamente Sanborn. Che forse però non ha niente da temere: The lost symbol, il nuovo libro di Brown che uscirà il 15 settembre con una prima tiratura di cinque milioni di copie, e il cui contenuto è ancora top secret, forse parlerà di massoni e mormoni, ma non è detto che si occupi di Kryptos.

Torniamo a Sanborn. I suoi commenti (o la mancanza di essi) sembrano generare un ulteriore strato di confusione. Anche una semplice domanda (per esempio chi, oltre a lui, conosca la soluzione) apre nuove prospettive. La storia uffi ciale è che egli condivida la risposta con una persona sola, l'allora direttore della Cia William Webster. In effetti, il testo decodificato del K3 recita in parte, CHI CONOSCE L'ESATTO LUOGO SOLO WW. Sanborn ha confermato che queste lettere si riferiscono a Webster. E nel 1999 lo stesso Webster ha dichiarato al New York Times che la soluzione è «filosofica e oscura». Ma Sanborn sostiene anche che la busta che diede a Webster non conteneva la risposta completa. «Nessuno ha la soluzione intera», rivela. «Li ho fregati». Quindi Webster davvero non sa?

«No», risponde Sanborn, che ha preso le sue precauzioni per assicurarsi che qualcuno possa essere in grado di rivelare l'enigma dopo la sua morte. Aggiunge che nemmeno lui conosce più l'esatta soluzione. «Se qualcuno cercasse di torturarmi, non sarei in grado di dirgliela», giura. «Non guardo il testo principale del K4 da anni e non ho una buona memoria, così non so davvero che cosa ci sia scritto». Cosa se ne fa la Cia di tutto ciò? «Quando si giungerà alla soluzione», afferma la portavoce Marie Harf, «chi avrà bisogno di sapere, saprà».

Se qualcuno riuscirà a risolvere l'ultimo codice, non per questo la ricerca sulla verità del Kryptos potrà dirsi conclusa. «Potrebbe esserci qualcosa di più di ciò che si vede», dice Scheidt. Tutto ciò porta a chiedersi: esiste una soluzione? James Sanborn insiste di sì, ma sarebbe felice se nessuno la scoprisse. «Una volta che un'opera d'arte perde il proprio mistero, perde molto».

Il giorno in cui ho visitato il Kryptos una rara tempesta di neve in Virginia aveva coperto di bianco il cortile. Girai attorno alla scultura con attenzione, meravigliandomi di come i colori e la consistenza del panorama circostante influissero sui pannelli, come alcune serie di caratteri si evidenziassero nel bianco e altre frasi brillassero, riflettendo la luce opaca che rimbalzava sulle finestre. Esaminai tutti i pezzi, scostando la neve per scoprire il codice Morse e la bussola. Era come dissotterrare i geroglifici in qualche antica rovina. Gli agenti e i burocrati della Cia camminavano trascinando i piedi, immersi nei loro pensieri, stringendo tazze di caffè del vicino Starbucks. In mezzo a loro, la frase di James Sanborn, tra i resti di rame, legno e granito, prova che anche nella casa delle spie alcune verità potrebbero non essere mai svelate.

Steven Levy





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Postato il Lunedì, 27 luglio 2009 ore 14:00:00 CEST di Piero La Porta
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