Truffa tempo pieno: il grande business delle cattedre inutili
Centomila alunni fittizi alle medie. Ecco dove nasce la crisi del sistema
GIUSEPPE SALVAGGIULO
TORINO
È la scuola media il «buco nero» del sistema italiano dell’istruzione pubblica. Il luogo dove si apre la frattura, ormai unanimemente segnalata dai rapporti internazionali, tra Italia e resto del mondo. «Tra scuola elementare e media cambia radicalmente la struttura organizzativa, senza una progressione graduale - spiega Daniele Checchi, economista de Lavoce.info - poiché la media è una fotocopia organizzativa delle superiori». Gli alunni si trovano catapultati da un giorno all’altro da una scuola «prevalentemente ricreativa e con forti caratteri affettivi» a una organizzata con decine di insegnanti e altrettanti manuali in un contesto esigente e competitivo.
Risultato: un disastro che vanifica i buoni risultati delle elementari (dove nelle classifiche internazionali siamo nei primi cinque posti). A quel punto, spiega Checchi, «il divario si accentua: chi sceglie i licei può recuperare una preparazione d’eccellenza, chi si affida alla formazione tecnico-professionale è spacciato».
Conti sbagliati
Chiedere più soldi è fatica sprecata. La Finanziaria impone 7,8 miliardi di risparmi entro il 2012. Un inedito rapporto di Tuttoscuola (www.tuttoscuola.com), che sarà presentato domani a Roma, individua i punti critici dell’istruzione pubblica. Sprechi. Anomalie. A volte scandali.
Il più eclatante si annida proprio nella scuola media. È il tempo prolungato, equivalente del tempo pieno delle elementari. In realtà, «a differenza del tempo pieno, quello del tempo prolungato è un servizio ormai più offerto dal ministero che richiesto dalle famiglie». Non solo. Ufficialmente risultano 433 mila alunni di scuola media che frequentano classi a tempo prolungato. Ma l’incrocio con altri dati del ministero, compresi quelli sulle mense, rivela che la realtà è diversa: i ragazzi che effettivamente hanno orari da tempo prolungato sono solo 323 mila.
E gli altri 110 mila? «Evidentemente sono in classi solo fittiziamente a tempo prolungato». E visto che l’orario prolungato genera nuovi docenti, i conti non tornano. «Si può stimare che queste classi a tempo prolungato, sulla base di quei 110 mila alunni in meno, siano almeno 5500, corrispondenti a circa 6500 cattedre in più non giustificate».
Banchi vuoti
Diecimila scuole, un quarto del totale, hanno meno di cinquanta alunni. «Solo una parte sono in montagna o nelle piccole isole e vanno salvaguardate. Moltissime sono in pianura, a volte in zone industriali». Sintomatico il caso di Breme, in provincia di Pavia: 4 insegnanti e un bidello per undici alunni. Ciascuno di essi costa 8 mila euro l’anno, contro i 3300 di una scuola standard.
Un esempio segnalato dal rapporto è quello della provincia torinese: 78 Comuni su 300 hanno una scuola primaria con meno di cinquanta alunni. Per legge, a meno di casi eccezionali, le scuole con meno di 20 alunni dovrebbero chiudere. Ma sopravvivono per ragioni campanilistiche. E il ministero paga.
Inverso Pinasca (Torino) ha 13 iscritti alla scuola elementare, con cinque insegnanti. Nel raggio di cinque chilometri, ha ben cinque Comuni che potrebbero ospitarli. Il più vicino è a quattro chilometri. Basterebbe un pulmino. Eppure la microscuola resiste.
I corsi di recupero
Anche le superiori non brillano per efficienza. Gli istituti sono autorizzati da una circolare del 1979 a ridurre l’ora di lezione a 45-50 minuti «per cause di forza maggiore». Ma i docenti non recuperano il tempo non lavorato e regolarmente retribuito. Tuttoscuola stima in almeno 6 milioni le ore di docenza retribuite ma non prestate, per un importo di 200-245 milioni di euro.
«La restituzione delle ore non lavorate potrebbe contribuire a risolvere a costo zero» il problema dei corsi di recupero, che quest’estate sono saltati in molte scuole e per certe materie a causa della scarsità di soldi a disposizione.
Centomila alunni fittizi alle medie. Ecco dove nasce la crisi del sistema
GIUSEPPE SALVAGGIULO
TORINO
È la scuola media il «buco nero» del sistema italiano dell’istruzione pubblica. Il luogo dove si apre la frattura, ormai unanimemente segnalata dai rapporti internazionali, tra Italia e resto del mondo. «Tra scuola elementare e media cambia radicalmente la struttura organizzativa, senza una progressione graduale - spiega Daniele Checchi, economista de Lavoce.info - poiché la media è una fotocopia organizzativa delle superiori». Gli alunni si trovano catapultati da un giorno all’altro da una scuola «prevalentemente ricreativa e con forti caratteri affettivi» a una organizzata con decine di insegnanti e altrettanti manuali in un contesto esigente e competitivo.
Risultato: un disastro che vanifica i buoni risultati delle elementari (dove nelle classifiche internazionali siamo nei primi cinque posti). A quel punto, spiega Checchi, «il divario si accentua: chi sceglie i licei può recuperare una preparazione d’eccellenza, chi si affida alla formazione tecnico-professionale è spacciato».
Conti sbagliati
Chiedere più soldi è fatica sprecata. La Finanziaria impone 7,8 miliardi di risparmi entro il 2012. Un inedito rapporto di Tuttoscuola (www.tuttoscuola.com), che sarà presentato domani a Roma, individua i punti critici dell’istruzione pubblica. Sprechi. Anomalie. A volte scandali.
Il più eclatante si annida proprio nella scuola media. È il tempo prolungato, equivalente del tempo pieno delle elementari. In realtà, «a differenza del tempo pieno, quello del tempo prolungato è un servizio ormai più offerto dal ministero che richiesto dalle famiglie». Non solo. Ufficialmente risultano 433 mila alunni di scuola media che frequentano classi a tempo prolungato. Ma l’incrocio con altri dati del ministero, compresi quelli sulle mense, rivela che la realtà è diversa: i ragazzi che effettivamente hanno orari da tempo prolungato sono solo 323 mila.
E gli altri 110 mila? «Evidentemente sono in classi solo fittiziamente a tempo prolungato». E visto che l’orario prolungato genera nuovi docenti, i conti non tornano. «Si può stimare che queste classi a tempo prolungato, sulla base di quei 110 mila alunni in meno, siano almeno 5500, corrispondenti a circa 6500 cattedre in più non giustificate».
Banchi vuoti
Diecimila scuole, un quarto del totale, hanno meno di cinquanta alunni. «Solo una parte sono in montagna o nelle piccole isole e vanno salvaguardate. Moltissime sono in pianura, a volte in zone industriali». Sintomatico il caso di Breme, in provincia di Pavia: 4 insegnanti e un bidello per undici alunni. Ciascuno di essi costa 8 mila euro l’anno, contro i 3300 di una scuola standard.
Un esempio segnalato dal rapporto è quello della provincia torinese: 78 Comuni su 300 hanno una scuola primaria con meno di cinquanta alunni. Per legge, a meno di casi eccezionali, le scuole con meno di 20 alunni dovrebbero chiudere. Ma sopravvivono per ragioni campanilistiche. E il ministero paga.
Inverso Pinasca (Torino) ha 13 iscritti alla scuola elementare, con cinque insegnanti. Nel raggio di cinque chilometri, ha ben cinque Comuni che potrebbero ospitarli. Il più vicino è a quattro chilometri. Basterebbe un pulmino. Eppure la microscuola resiste.
I corsi di recupero
Anche le superiori non brillano per efficienza. Gli istituti sono autorizzati da una circolare del 1979 a ridurre l’ora di lezione a 45-50 minuti «per cause di forza maggiore». Ma i docenti non recuperano il tempo non lavorato e regolarmente retribuito. Tuttoscuola stima in almeno 6 milioni le ore di docenza retribuite ma non prestate, per un importo di 200-245 milioni di euro.
«La restituzione delle ore non lavorate potrebbe contribuire a risolvere a costo zero» il problema dei corsi di recupero, che quest’estate sono saltati in molte scuole e per certe materie a causa della scarsità di soldi a disposizione.