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News: Celebrato nella biblioteca Bellini il processo per giudicare un «prepotente» (e insegnare la legalità a scuola)

Rassegna stampa

Bruno, il protagonista di questa storia non è cattivo. Catanese, sedicenne, è un ragazzo come tanti altri. Ma è vissuto in un mondo - un quartiere della periferia sud - dove la violenza, la prepotenza, la sopraffazione, la "furbizia" sono il pane quotidiano, sono la normalità. Quindi, perché si ostinano a parlare di «bullismo »?

Un caso come tanti, come troppi, questo portato «in scena» nel corso di un dibattimento simulato ieri mattina nella biblioteca comunale Vincenzo Bellini, momento clou del progetto di educazione alla legalità contro il bullismo nelle scuole. Un progetto, finanziato dall’assessore comunale alle Politiche sociali e ideato da un giovane agente scelto di Polizia, Carlo Russello, una laurea il giurisprudenza in tasca, per dare una risposta ai tanti casi di bullismo dei quali era venuto a conoscenza.

«Mi ha colpito in particolare il racconto di un ragazzino che mi ha raccontato la sua angoscia nel doversi sempre "difendere". E ho pensato: ma davvero non si può fare niente?».

Da qui una «mattinata particolare» pensata per gli studenti degli ultimi anni della media inferiore, già «messa in scena» alla Leopardi, alla Meucci e al Convitto Cutelli e ieri dedicata ai ragazzi della III B dell’istituto comprensivo Mazzini-Di Bartolo.

Per cominciare (e per rompere il ghiaccio) una batteria di 50 domande sul bullismo: cos’è, come si riconosce, quando si verifica, dove e perché. Ragazzi e ragazze si dividono in due squadre, scatta lo spirito competitivo e «il gioco è fatto». E fra le domande «scivolano» una serie di informazioni sul bullismo e sui diritti di chi è fatto oggetto di atti di prepotenza. A seguire, un cartone de «I Simpson». Bart e i suoi amici sono simpatici, si ride e alla fine nessuno si fa male.

Infine, si fa sul serio con un processo per bullismo, o meglio per lesioni. C’è il giudice, ma anche il pubblico ministero, l’avvocato difensore, la vittima - Cristina - e lui, il bullo, Bruno, reo di avere fratturato un dito alla compagna, storcendoglielo per farsi dare i compiti a tutti i costi. Alla compagna ha poi fatto arrivare un biglietto con "Se parli con qualcuno ti ammazzo...".

La vicenda viene rievocata in aula, fra un silenzio assoluto. Cristina racconta come sono andate le cose e come si sia decisa a raccontare tutto al preside, Bruno prima nega, poi racconta la sua versione. Si assiste anche alla formazione delle prove: lo ha scritto lui quel biglietto che Cristina esibisce? Il raffronto con un compito in classe non lascia dubbi.

Infine, mentre le parti lasciano l’aula, la parola passa alla giuria popolare: gli stessi ragazzi della III B, chiamati a giudicare. Colpevole o innocente? La prima ipotesi raggiunge la (quasi) unanimità.

Quale pena per il reo? E qui la discussione si fa attenta e corposa. Tre mesi di carcere minorile? L’affidamento ai servizi sociali? Un supplemento di studio pomeridiano a scuola? Un ribaltamento del ruolo, da prepotente a vero amico di Cristina e di tutti i "deboli"?

I ragazzi scartano il carcere e l’affidamento ai servizi sociali e si lacerano fra le altre due proposte. Alla fine scelgono di essere clementi a patto che Bruno abbia capito che cosa ha fatto. E Bruno dice che sì, è pentito....

Giuseppe, uno dei ragazzi della classe, però della colpevolezza di Bruno non è convinto. Stava anche votando per l’innocenza, ma si è fermato perché ha visto che era solo. «Lui - spiega poi - faceva così solo perché gli sembrava normale....».

«Il progetto - gli fa eco Russello - è proprio dedicato a chi, come Gaetano, si ostina a vedere come una componente sociale accettabile il furbetto, il bullo, anche a fronte di prove schiaccianti di responsabilità. Ecco perchè è importante sviluppare il punto di vista critico sul fenomeno. E fare una sana autocritica».

ROSSELLA JANNELLO (da www.lasicilia.it)









Postato il Giovedì, 17 maggio 2007 ore 18:26:40 CEST di Renato Bonaccorso
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