da liberta.it
Lunedì, 9 Ottobre 2006
L'intervista
C'è chi non riconosce il problema
Il commento dello psicologo Giacomo Stella specialista di dislessia
Piacenza - Un tempo venivano chiamati "i ciechi della lettura". Sono bambini e adulti che, pur essendo capaci e intelligenti, incontrano difficoltà con la parola scritta. Un disturbo neurobiologico che si può ridurre con l'esercizio e compensare con strumenti informatici. Ma che ancora oggi non viene riconosciuto da molti insegnanti che, etichettano i bambini dislessici come svogliati, compromettono il loro percorso di studi. Per conoscere le ragioni dell'arretratezza della scuola italiana ci siamo rivolti a uno dei massimi studiosi di psicopatologia dell'apprendimento nonché relatore del corso organizzato dall'Aid. È Giacomo Stella, professore di psicologia clinica a Scienze della formazione di Modena e Reggio e direttore scientifico dell'Istituto di ricerca sulla dislessia presso l'Università di Urbino.
Ci parli della situazione in Italia.
«In tema di dislessia la scuola italiana è in fase di crescita, ma dobbiamo contare anni di arretratezza culturale che dipendono anche dalle peculiarità della nostra lingua. L'italiano non presenta difficoltà nel rapporto fra orale e scritto, diversamente ad esempio dall'Inglese e dal Francese. Davanti a classi di bambini che imparano a scrivere senza problemi, per anni gli insegnanti non hanno capito il disagio dei pochi che non ce la facevano».
Da cosa deriva questa difficoltà nel trasformare i segni in suoni?
«La dislessia è una disabilità con basi neurobiologiche di natura prevalentemente ereditaria. Alcune aree dell'emisfero del cervello funzionano diversamente, generando questo disturbo. Il dislessico incontra difficoltà a leggere, compie errori ortografici e talvolta fatica a svolgere calcoli mentali, eppure comprende e memorizza perfettamente frasi e concetti acquisiti attraverso l'ascolto».
Perché si faceva così fatica a riconoscere la dislessia?
«Perché si tratta di una disabilità invisibile. Userò un termine specifico: non esistono marcatori biologici che la evidenziano, vale a dire che i dislessici non hanno tratti somatici distintivi, dismorfismi facciali e nessuna menomazione visibile. Inoltre la dislessia non ha un'identità sociale al di fuori della scuola. Il bambino dislessico gioca e interagisce con i coetanei e non si nota alcuna differenza».
E la diagnosi arrivava in ritardo?
«Già, mentre è importantissimo che sia precoce. Prima che la frustrazione scolastica condizioni il bambino e affinché il logopedista possa aiutarlo per tempo: con un puntuale percorso di riabilitazione, infatti, sette dislessici su dieci recuperano le loro difficoltà. Oggi gli studenti dislessici possono trovare un grande aiuto anche nell'informatica: con scanner, sintetizzatori vocali e libri digitali riescono a leggere e studiare in autonomia. Il prossimo passo sarà garantire che possano sempre avere un computer sul banco».
Quali sono i pregiudizi più duri a morire in fatto di dislessia?
«Che la dislessia sia stata inventata per giustificare l'ignoranza dei bambini di oggi. Facendo formazione agli insegnanti, incontro ancora quelli che sostengono di non aver mai incontrato il problema senza essere toccati dal dubbio di non averlo semplicemente riconosciuto».
sa.bon.
Lunedì, 9 Ottobre 2006
L'intervista
C'è chi non riconosce il problema
Il commento dello psicologo Giacomo Stella specialista di dislessia
Piacenza - Un tempo venivano chiamati "i ciechi della lettura". Sono bambini e adulti che, pur essendo capaci e intelligenti, incontrano difficoltà con la parola scritta. Un disturbo neurobiologico che si può ridurre con l'esercizio e compensare con strumenti informatici. Ma che ancora oggi non viene riconosciuto da molti insegnanti che, etichettano i bambini dislessici come svogliati, compromettono il loro percorso di studi. Per conoscere le ragioni dell'arretratezza della scuola italiana ci siamo rivolti a uno dei massimi studiosi di psicopatologia dell'apprendimento nonché relatore del corso organizzato dall'Aid. È Giacomo Stella, professore di psicologia clinica a Scienze della formazione di Modena e Reggio e direttore scientifico dell'Istituto di ricerca sulla dislessia presso l'Università di Urbino.
Ci parli della situazione in Italia.
«In tema di dislessia la scuola italiana è in fase di crescita, ma dobbiamo contare anni di arretratezza culturale che dipendono anche dalle peculiarità della nostra lingua. L'italiano non presenta difficoltà nel rapporto fra orale e scritto, diversamente ad esempio dall'Inglese e dal Francese. Davanti a classi di bambini che imparano a scrivere senza problemi, per anni gli insegnanti non hanno capito il disagio dei pochi che non ce la facevano».
Da cosa deriva questa difficoltà nel trasformare i segni in suoni?
«La dislessia è una disabilità con basi neurobiologiche di natura prevalentemente ereditaria. Alcune aree dell'emisfero del cervello funzionano diversamente, generando questo disturbo. Il dislessico incontra difficoltà a leggere, compie errori ortografici e talvolta fatica a svolgere calcoli mentali, eppure comprende e memorizza perfettamente frasi e concetti acquisiti attraverso l'ascolto».
Perché si faceva così fatica a riconoscere la dislessia?
«Perché si tratta di una disabilità invisibile. Userò un termine specifico: non esistono marcatori biologici che la evidenziano, vale a dire che i dislessici non hanno tratti somatici distintivi, dismorfismi facciali e nessuna menomazione visibile. Inoltre la dislessia non ha un'identità sociale al di fuori della scuola. Il bambino dislessico gioca e interagisce con i coetanei e non si nota alcuna differenza».
E la diagnosi arrivava in ritardo?
«Già, mentre è importantissimo che sia precoce. Prima che la frustrazione scolastica condizioni il bambino e affinché il logopedista possa aiutarlo per tempo: con un puntuale percorso di riabilitazione, infatti, sette dislessici su dieci recuperano le loro difficoltà. Oggi gli studenti dislessici possono trovare un grande aiuto anche nell'informatica: con scanner, sintetizzatori vocali e libri digitali riescono a leggere e studiare in autonomia. Il prossimo passo sarà garantire che possano sempre avere un computer sul banco».
Quali sono i pregiudizi più duri a morire in fatto di dislessia?
«Che la dislessia sia stata inventata per giustificare l'ignoranza dei bambini di oggi. Facendo formazione agli insegnanti, incontro ancora quelli che sostengono di non aver mai incontrato il problema senza essere toccati dal dubbio di non averlo semplicemente riconosciuto».
sa.bon.