Il nostro
Paese ha bisogno di un forte rilancio dell’istruzione tecnica. Oggi
siamo di fronte ad un vero e proprio dramma: i nostri Istituti tecnici,
che hanno formato la classe di lavoratori e dirigenti dando certamente
un forte impulso al nostro sistema industriale vivono una profonda
crisi. Dal 1990 sul totale dei diplomati della scuola secondaria gli
allievi degli istituti tecnici sono passati dal 44% al 35%, mentre
quelli dei licei sono passati dal 30% al 45%: un calo drammatico
dell’istruzione tecnica che si è appena arrestato negli ultimi 3 anni.
Occorre mettere in chiara luce le cause di questo fenomeno.
La prima causa è la mentalità dei genitori che erroneamente ritengono
gli istituti tecnici scuole di serie B. C’è perfino chi ha pensato che
per frenare il calo forse dovremmo chiamarli “licei tecnici”: quando si
arriva a questo tipo di pur ingegnosa scappatoia vuol dire che c’è un
grande problema di incomprensione sociale. Per reagire mi sento di
suggerire una urgente e sistematica campagna pubblicitaria, tipo
Pubblicità Progresso, a favore degli istituti tecnici. Bisogna farla
proprio in chiave di salvataggio del futuro del Paese e del futuro dei
nostri giovani: serve per moltiplicare i posti di lavoro e mettere in
giusto rilievo la dignità e la grandezza del “fare”. Sentire genitori
che si vergognano del figlio che fa la scuola tecnica, che io ritengo
essere il futuro del Paese, per me è causa di sconforto nei confronti
della nostra Italia. La seconda causa è la scarsità di analisi e di
attenzione su questo fenomeno. Abbiamo bisogno di ricerche come quella
sul futuro dell’istruzione tecnica presentata di recente in ambienti
specializzati da Fondazione Rocca e Associazione TreeLLLe, ma anche di
una certa “diffusione popolare” di questi temi. Occorre far
“risuscitare” il concetto dell’apprendere mettendo in primo piano il
progresso tecnologico empirico continuo: elementi che si sono
completamente allontanati dal sentire della società italiana.
La terza causa riguarda lo stato dell’istruzione tecnica superiore. Da
anni in Italia esiste un problema irrisolto: creare un biennio o un
triennio di istruzione tecnica superiore professionalizzante
(post-scolastica). Mi ha colpito favorevolmente che in Francia si sia
riuscito a mantenere l’equilibrio tra l’impegno di alcune università -
che lo promuovono pur lasciando piena autonomia a queste istituzioni
post diploma (Institut Universitaire de Technologie) che hanno un forte
rapporto con le imprese.
Dalla mia esperienza di professore universitario, debbo confermare che
l’università ha fortemente contribuito a soffocare l’autonomia di una
possibile istruzione tecnica superiore. È un problema estremamente
delicato: escluso qualche caso raro, i professori universitari non
hanno rimesso in discussione la rigida tradizione accademica delle
università. Quando ero docente universitario seguivo i dibattiti in cui
si chiedeva di accorciare di un anno il sistema universitario per
permettere ai laureati italiani di competere con i laureati dei Paesi
europei dove si fa un anno di università in meno. Invece abbiamo
aggiunto un anno di università in più. Abbiamo contraddetto tutti gli
obiettivi che il buon senso e le regole europee proponevano. Bisogna
ritornare agli obiettivi iniziali e favorire lo sviluppo di titoli
professionalizzanti brevi.
La sperimentazione avviata nel 2010 degli Its (Istituti tecnici
superiori) serve moltissimo, ma rimane ancora con numeri di iscritti
troppo bassi. Moltiplicarli per venti sarebbe un primo obiettivo.
In Germania le Fachochschulen (laboratori e scuole di scienze
applicate) sono il luogo dell’upgrading tecnologico, connesso al mondo
delle imprese e fuori dalla ricerca pura tradizionale delle università.
Noi dovremmo fare subito 7 o 8 centri di ricerca applicata a servizio
delle imprese, centri orientati come le Fachochschulen in Lombardia, in
Emilia-Romagna, in Veneto e in altri luoghi del Centro Nord. Costano.
Ma sono un’indispensabile rete di rafforzamento di tutta la nostra
industria e un aiuto fondamentale per la sperimentazione e lo sviluppo
degli Its.
Il filone tecnologico applicato è praticamente inesistente nella nostra
istruzione terziaria. Per colmare questa lacuna dobbiamo lavorare
molto. Ma soprattutto dobbiamo far capire questo problema al mondo
politico, partendo dal fatto che queste scuole, pur operando in
contatto con i laboratori di ricerca dell’Università, non ne dipendono
nemmeno in un minimo aspetto. Il nostro Parlamento è lontano mille
miglia da questi problemi; quando alcuni specialisti ne parlano vengono
ritenuti difensori di cose che interessano a pochissime persone. O noi
rendiamo chiaro che l’istruzione tecnica applicata è la condizione
della sopravvivenza della struttura produttiva italiana o la nostra
industria è destinata a scomparire. Se non vediamo nell’alta formazione
tecnologica una fonte di approvvigionamento di risorse indispensabili,
non ce la faremo. La qualità della stretta correlazione esistente tra
ricerca e innovazione, impresa e scuola raggiunta in Germania, è
l’obiettivo a cui tendere. Abbiamo in Italia solo una “Fachochschule”,
non a caso a Bolzano, vicina anche per lingua alla Germania. Le
Fachochschulen sono strumenti che potrebbero essere molto graditi
dall'opinione pubblica. Bisogna semplicemente che le regioni si mettano
in rete per impostare una strategia comune.
Ci sono quindi ostacoli ben chiari che dobbiamo superare per rianimare
tutto il sistema dell'istruzione tecnica e professionale: il distacco
dell'opinione pubblica dalla scuola tecnica, l'abbraccio
dell'università che deve essere sinergico e non mortale, la
disattenzione delle Regioni, il poco interesse del mondo politico.
Romano Prodi
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