Ieri il Riformista
ha pubblicato un appello intitolato “Vogliamo liberare l’università”. I
firmatari includono i fratelli Ichino, Alesina Giavazzi e 62 altri
accademici. Utilizzando a mo’ di scudo una citazione di Luigi Einaudi
del 1947, i firmatari chiedono:
L’abolizione del Valore Legale del Titolo di Studio
La liberalizzazione delle rette universitarie
L’istituzione di un sistema di borse di studio e prestiti d’onore.
Di tutti questi temi abbiamo già parlato allo sfinimento, ma ci ritorno
perché tra i firmatari dell’appello c’è Margherita Hack, una donna che
per molti è un punto di riferimento nella nebbia intellettuale che
avvolge l’Italia. Vorrei chiedere apertamente a Margherita Hack di
ritirare la sua firma, e le spiego il perché.
Il primo punto, l’abolizione del valore legale del titolo di studio,
vorrebbe sostituire l’accreditamento giuridico del titolo di studio con
meccanismi altri in grado di consentire agli atenei di garantire la
qualità della formazione degli studenti. L’idea è che l’“uomo vergine
di bolli” è bello.
Certo è così, ma
ci sono dei problemi. Come questo: chi tra gli insigni firmatari
accetterebbe di essere operato a cuore aperto da un chirurgo laureato
in un istituto privo di monitoraggio? Perché di questo stiamo parlando.
Benedetto Coccia e Carlo Finocchietti ci spiegano che l’abolizione del
valore legale consente “l’adulterazione del retroterra formativo del
titolo accademico”, “l’elusione dei normali procedimenti di
monitoraggio, accreditamento, ispezione e sanzione”, e la relativa
“contraffazione dei curricula e falsificazione dei titoli”. In altre
parole, c’è il rischio che la rimozione del vincolo legale apra alla
proliferazione di “fabbriche di titoli” e “fabbriche di
accreditamento”, in grado di accreditare istituzioni d’istruzione
superiore prive di qualunque forma di legittimità. Del resto, chi
accrediterebbe queste università?
Si ripensi poi alle università telematiche: complice una legge
permissiva e l’assenza di programmazione di sistema, dal 2003 le
università telematiche sono proliferate in Italia con una velocità
senza pari nei paesi europei. Francesco Coniglione ci dice perché:
Unimarconi, la più strutturata tra queste, ha 33 mila iscritti e tasse
a 1.200 euro annue per studente. In tutto, gli ordinari di tutte le 11
università telematiche italiane sono 13, gli associati 18 e i
ricercatori 236. Insomma, poche spese, alti introiti. Lo
stesso Giavazzi aveva definito le università telematiche come una
truffa. Allora perché creare le condizioni per altri titolifici e altre
truffe?
Ma questo è il problema minore. Il problema vero è questo: l’abolizione
del valore legale del titolo di studio trasferisce al mercato il
giudizio di valore. In altre parole, sarà la competizione tra atenei a
selezionare le università migliori, e queste potranno con il loro
prestigio garantire il “valore” del titolo di studio, imporre tasse più
alte, offrire prestiti d’onore. La competizione di mercato selezionerà
così pochi atenei eccellenti. Dopodiché: si potrà lasciar andare in
malora gli altri, giustificare il definanziamento pubblico
all’università, portare le tasse universitarie a cifre vicine a 10 mila
euro l’anno, indebitare gli studenti prima ancora che abbiano un
lavoro, dimezzare il numero delle immatricolazioni, trasformare
l’università in una questione d’élite, e condannare il paese alla
barbarie.
Come qualcuno sa, con Ichino e Terlizzese, firmatari dell’appello, già
ci sono stati lunghi scambi su questo tema. È inutile, lo so. Ma vale
la pena ripeterlo: in un sistema caratterizzato da un tasso di
disoccupazione giovanile al 30% l’esito dei prestiti d’onore è sempre
negativo: violano l’Art. 34 della Costituzione, portano al crollo delle
immatricolazioni, la stessa Moody’s ne definisce gli effetti worrisome,
ovvero “preoccupanti”, e gli studenti continuano ad opporvisi.
La verità è che le priorità del sistema universitario italiano sono
altre. Le tasse universitarie già superano i limiti imposti per legge
nonché molti paesi europei quanto a importo complessivo. Bisogna
rifinanziare il diritto allo studio, garantire una borsa di studio agli
aventi diritto, porre fine alla raccapricciante anomalia italiana dello
studente idoneo senza borsa, integrare il Fondo previsto per il
2012 e gli anni a venire, reintegrare i tagli al diritto allo studio
che sono stati fatti negli ultimi anni.
È evidente che ai governi di destra e sinistra tutto questo importa
poco, ma Prof. ssa Hack, a lei importa? Gioverebbe a tutti se il mondo
della scienza si facesse portavoce di un sapere libero, più che di un
mercato libero. (da http://www.ilfattoquotidiano.it)
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