Per le strade di Catania insieme agli insegnanti che hanno preso parte
al No-Gelmini Day: i tagli alla scuola bruciano sulla pelle di chi
perde il lavoro. Ma, secondo i manifestanti, a sentirne il peso saranno
presto studenti e famiglie: «Senza di noi non si può andare avanti»
Un video di Daniele Palumbo e Luisa Santangelo da http://www.step1.it
Un
sabato mattina di ordinaria protesta, il 5 settembre, a Catania. Alle 9
del mattino, il tratto di via Etnea antistante la Prefettura è stato
invaso da più di un migliaio di manifestanti. Non erano studenti medi
con lo zaino in spalla e i libri dentro, non erano universitari
arrabbiati coi jeans strappati e le tasche vuote: erano insegnanti.
Vestiti di nero, a lutto, portavano in spalla una bara di cartone,
piangendo la morte della pubblica istruzione, quella che un tempo dava
loro lavoro, adesso non più. Dall'1 settembre hanno occupato il
Provveditorato e non intendono andarsene finché la loro protesta non
sarà ascoltata.
Il No Gelmini Day è nato spontaneamente, e ha portato in strada storie
di vita e di affanni, che avevano i volti di maestre delle elementari,
docenti di sostegno, professori delle scuole secondarie che dopo dieci,
quindici, vent'anni di precariato, quest'anno, per la prima volta, non
entreranno in aula per fare l'appello.
«A quarantotto anni, dopo quindici anni di precariato nella scuola
primaria, non ho un posto di lavoro». Si chiama Grazia Coco e non è una
storia diversa dalle altre, la sua. Nella sola provincia di Catania, si
parla di 1.500 nomi e cognomi che non firmeranno un contratto e, di
conseguenza, non percepiranno uno stipendio. In tutta la penisola, i
numeri si alzano incredibilmente, si arriva a 18.000 tagli e non è
difficile parlare del più grande licenziamento di Stato che l'Italia
abbia mai visto.
«La scuola italiana sta morendo, è in agonia. Bisogna sollecitare
l'opinione pubblica: noi abbiamo perso la nostra dignità di docenti, ma
le famiglie devono sapere che questo avrà una forte ricaduta sui loro
figli», conclude.
Fernanda Valenti è una docente di sostegno, «per scelta», ci tiene a
precisare. Precaria da sempre, cioè dieci anni, per la prima volta
dall'inizio di quest'anno scolastico non avrà nessuno da seguire. «Ho
sempre viaggiato tantissimo», ci racconta. «L'anno scorso ero a Vizzini
e avevo un'alunna meravigliosa, che ho dovuto lasciare perché è quello
che io e i miei colleghi siamo costretti a fare dopo aver lavorato per
un anno. Non ci è concessa la continuità didattica».
Per avere qualche punto in più, per salire in graduatoria, Fernanda
parla di corsi a pagamento: «Costano 650€, valgono tre punti, e ti
danno la possibilità di avere le risposte corrette prima ancora che tu
sappia le domande. È un furto legalizzato, cui siamo costretti a
piegarci per non rimanere indietro in quella graduatoria.» Graduatoria
che non ha lasciato fuori proprio tutti, però. Qualcuno che ha firmato
il contratto c'è stato, ma difficilmente è sceso in piazza,
probabilmente convinto che il problema fosse altrui e non lo
riguardasse.
Niente di più sbagliato, secondo Claudia Urzì, portavoce dei precari.
Era professoressa di educazione fisica alle medie, adesso fa
l'insegnante di sostegno. Ha avuto un posto ed è prossima
all'immissione in ruolo. Quando le chiediamo se intendono bloccare
l'inizio dell'anno scolastico, non esita: «Intendiamo porre
l'attenzione sul fatto che se si comincia a queste condizioni sarà un
avvio disastroso: è precario gran parte del personale che lavora nella
scuola in questo paese, quindi senza di noi non si può andare avanti».
I contratti di “disponibilità” di cui il ministro Gelmini ha parlato
giorni fa per placare le polemiche paiono un contentino. Si tratterebbe
di privilegiare nelle convocazioni per le supplenze brevi quei
lavoratori che, nell'anno scolastico 2008/2009, sono stati in servizio
fino al 30 giugno. Una presa in giro evidente, in base a quanto
sostiene Luigi De Carlo, trentasei anni, precario da sette, insegnante
di italiano e storia alle superiori, con un mutuo da pagare, una moglie
precaria anche lei e un figlio in arrivo.
La professoressa Chiaia, invece, insegna tecnologia alle scuole medie.
Con un marito e due figli a casa, dall'inizio dell'occupazione non ha
lasciato l'Ufficio Scolastico Provinciale. E non intende farlo. Come
lei, i suoi colleghi. Andranno avanti ad oltranza, in quest'inizio
d'autunno che si preannuncia caldissimo.