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Voce alla Scuola: ''I SINDACATI NON SONO UNA MASSA DI CIALTRONI E SCANSAFATICHE''

Opinioni
NON SIAMO QUELLI. Pacate osservazioni ad attacchi ingenerosi. Articolo di Francesco Scrima

Riportiamo, di seguito, il testo dell'articolo di Francesco Scrima (Segretario Generale CISL Scuola) - che sarà pubblicato sul numero di domani, 18 aprile, di "Conquiste del Lavoro" - con le "pacate riflessioni" che scaturiscono dalla lettura del recentissimo libro-inchiesta "L'altra casta" di Stefano Livadiotti.

* * *

NON SIAMO QUELLI.

Pacate osservazioni ad attacchi ingenerosi

di Francesco Scrima

 

I sindacati hanno rovinato l'Italia, sono una massa di cialtroni e scansafatiche, prima scompaiono meglio è.

E' il ritornello solito, molto caro ai comizianti da bar specie quando hanno bevuto.

Tanto noioso da suscitare solo un leggero moto di fastidio negli avventori.

Succede però che quando il clima civile di un paese si imbastardisce anche gli sfoghi dei qualunquisti di giornata trovino ascolto, divengano materia di analisi pensierose e di denunce allarmate, vere e proprie armi di scontro politico.

Viviamo uno di questi periodi e ignorarlo sarebbe grave.

L'offensiva odierna contro la "casta" sindacale non deve sorprendere.

Dopo i politici sarebbe toccato a noi, era nell'aria.

Che si facesse uso di identiche violenza verbale e povertà di idee era quasi inevitabile.

I libri su commissione e le campagne di stampa a comando indovinano sempre il momento in cui cadere.

Sono un tributo alla moda, ma danno voce a istinti che partono da lontano.

Dietro c'è l'umore nero di certa opinione plebea, eccitato con malizia.

C'è un vuoto lungo anni; un senso di sbandamento, di perdita di valori condivisi a cui bisogna reagire.

Per una reazione naturale di dignità, di difesa del nostro ruolo, e per salvaguardia doverosa dei nostri rappresentati, che ammontano a più di dieci milioni di persone vere, donne e uomini fra attivi e pensionati (almeno sui numeri non ci sono obiezioni).

I cosiddetti interessi e privilegi sindacali sono alla fine secondari, la buona convivenza del paese, la sua sanità e integrità democratiche sono invece un bene assoluto.

Le crociate periodiche contro di noi - l'ultima fatica, degna di miglior causa, è quella malandrina di Livadiotti .... - non sarebbero poi tanto pericolose se puntassero ai gruppi dirigenti soltanto.

Abbiamo invece il fondato timore che si miri al sindacato per colpire i lavoratori, le loro tutele, la loro fiducia.

In un'epoca in cui i cantori delle magnifiche e progressive sorti del mercato abbondano e i dogmi del pensiero unico globalista trionfano, il sindacato disturba, nuoce, è un'anomalia, culturale e fisica, da azzerare.

Diviene il capro espiatorio ideale, contro cui lanciare la condanna di conservatorismo, di fuga nel passato, di chiusura corporativa, di rifiuto dell'innovazione.

Ma non stracciamoci le vesti, siamo un falso bersaglio.

L'obiettivo reale sono i diritti individuali legati al lavoro e alla produzione, sono i contratti collettivi, è il potere d'interdizione delle RSU, è la concertazione.

Questa pare a noi la posta in gioco.

Se così stanno i fatti, la risposta deve essere ferma e netta.

Nel merito le accuse di Livadiotti e compagnia si somigliano tutte.

Sono facili da contestare, anche quando sembrano argomentate e non si esprimono nel linguaggio becero della destra demagogica.

L'idea innanzitutto che il sindacato sia un'oligarchia impenetrabile, una torre d'avorio senza porte e finestre, sorda alle regole democratiche, votata alla riproduzione autarchica di tessere e prebende, è una caricatura grossolana.

La smentita viene ogni giorno dal consenso guadagnato sul campo da schiere di militanti e quadri e corroborato dalle elezioni di migliaia di delegati aziendali, dalle consultazioni sulle vertenze, le piattaforme contrattuali, gli accordi con il governo.

Questo esercizio quotidiano di libertà e di solidarietà ha pochi eguali nella vita della comunità nazionale e fa premio sugli episodi di malfunzionamento e di lontananza dalla base che pure il sindacato registra.

Si dice che il ricambio al vertice dovrebbe essere più rapido e frequente.

Vero, ma siamo stati i primi a porre un termine ai mandati.

I politici sono arrivati dopo e male, i massimi dirigenti di grandi banche e imprese ci debbono pensare.

Per loro il ricambio è un girotondo, un salto confortevole da un posto all'altro, reso ogni volta più allegro da liquidazioni faraoniche (quale che sia il rendimento effettivo delle società, come è dimostrabile prove alla mano).

L'adesione al sindacato è libera e revocabile.

Niente di più normale che iscriversi e cancellarsi, come fanno migliaia di tesserati ogni anno, non avendo bisogno di consulenti speciali o di pratiche costose e defatiganti come invece sembra pensare Dario Di Vico, che pure è fra quelli seri e che un po' di meriti ce li riconosce.

Anche la richiesta di trasparenza dei conti economici, che allude a chissà quali rischi di abusi e di corruzione, è superata dagli eventi.

I nostri bilanci sono affidabili, grazie a controlli interni e a verifiche esterne.

Non è certo sul corretto impiego delle risorse che il sindacato manifesta segni di fragilità e di inefficienza.

E' piuttosto nella gestione dei servizi che siamo carenti; nell'offerta di una rete di protezione che sia pronta e diffusa nel territorio.

Di questo i soci chiedono ragione al sindacato.

Non invocano dai gruppi dirigenti onestà e moralità (doti che fanno parte dei requisiti minimi d'accesso), quanto fantasia ed energia operativa.

Potremmo dire che reclamano spirito imprenditoriale, ma è più giusto parlare di coinvolgimento partecipativo e di sussidiarietà.

Anche l'accusa al sindacato di essere poco responsabile, e indifferente verso i bisogni dei cittadini, ricalca un pigro luogo comune.

Per sindacati come il nostro, il codice di autoregolamentazione è sacro.

Gli scioperi nei pubblici servizi pesano sulle tasche degli iscritti e prevedono garanzie rigide per i cittadini, sempre rispettate da noi.

Lo stesso non vale per molti sindacati autonomi, spesso insignificanti per numero e qualità, che razzolano con la complicità disinvolta della controparte, e rimangono impuniti.

Potremmo replicare ancora e passare a fare l'elenco dei nostri meriti: dal contributo decisivo alla ricostruzione nel dopoguerra, alla lotta di emancipazione di contadini e operai negli anni della crescita industriale e del miracolo economico; alla difesa costante delle istituzioni repubblicane, alla lotta al terrorismo; alla strategia concertativa di politica dei redditi, di moderazione salariale e di contrasto all'inflazione nel periodo cruciale dell'ingresso nell'Unione Europea; agli accordi nazionali tripartiti con governo e padronato.

Tra essi, quello fondamentale e per noi irrinunciabile del 23 luglio 2007, sul regime previdenziale, la rivalutazione delle pensioni, l'occupazione giovanile.

Il sindacato confederale è molto più che una "sorta di pronto soccorso di socialità" presente nelle pieghe meno agevoli del tessuto comunitario (piccole imprese, cantieri edili, immigrati, ecc.).

Non abbiamo sottoscritto alcun patto faustiano, come vorrebbe Di Vico.

Abbiamo conservato la nostra anima e il potere non ci ha dato alla testa.

Siamo un presidio permanente a favore dei deboli e degli emarginati, dei nuovi poveri, occupati e non.

Un motivo forte di speranza nella legalità e nella giustizia, un esempio raro di democrazia attiva e coesiva.

Non siamo una consorteria, o un ordine cavalleresco, ma un grande movimento che è entrato nelle fibre più intime del paese (il paragone coi carabinieri ci piace, ma è limitativo...), nella sua storia e nel suo costume.

Su questo, ripetiamo, anche gli avversari sono a malincuore d'accordo.

Salvo poi a lasciarsi prendere dagli spiriti animali.

Per parte nostra faremmo bene a non cedere alla tentazione della polemica astiosa e della requisitoria cieca.

Le critiche, pure quelle sbagliate, inducono a riflettere e rivedere se stessi.

Chiarezza e linearità nelle parole (la nostra comunicazione è contorta e fa a gara con quella ondivaga dei politici) e nei comportamenti; massima pubblicità nell'uso delle risorse; fluidità negli avvicendamenti al vertice; rapporto assiduo con gli iscritti; uso attento della nostra forza rivendicativa; interazione positiva con le altre istanze associative; autonomia e dialogo costruttivo con i poteri istituzionali; allargamento dei nostri spazi di presenza e di iniziativa ai mondi (giovani, precariato, atipici, professioni, volontariato) che stanno al di qua o al di là del lavoro strutturato: sono caratteristiche che dobbiamo incarnare e migliorare, avendo a riferimento i principi costitutivi.

Abbiamo margini di miglioramento rilevanti.

La nostra scomparsa non è all'orizzonte, a dispetto dei profeti di sventura.

Il futuro ci sorriderà ancora, se sapremo sfidarlo a viso aperto.

 

Francesco Scrima, Segretario Generale CISL Scuola

 











Postato il Lunedì, 05 maggio 2008 ore 00:05:00 CEST di Silvana La Porta
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