Don Luigi Ciotti accende il cellulare e ci legge l'ultimo sms arrivato dalla Valle di Susa: «Viviamo in un clima di guerra civile, le comunità si dividono e anche nelle famiglie gli schieramenti impediscono normali relazioni che diventano sempre più difficili...». Esemplare e drammatico.
Don Luigi, in Valle, c'è andato una volta sola, ad agosto. Era a Palermo a commemorare il commissario Ninni Cassarà ucciso dalla mafia quando lo hanno chiamato con urgenza: un pacifista s'era arrampicato su un albero a trenta metri d'altezza. Diceva che sarebbe sceso solo se veniva a prenderlo don Ciotti. Lui è arrivato, l'ha fatto scendere e alla fine s'è preso gli applausi da quelli che lui chiama «le persone buone» e gli insulti da «quegli altri», quelli che tirano le pietre ai poliziotti, perché era venuto in Valle scortato dagli «sbirri».
Don Luigi, si può andare avanti così? Lei ha toccato con mano il clima della valle: non le sembra il caso di prendere nettamente le distanze da chi ha trasformato il dissenso di una parte della popolazione in una guerra civile?
«Certo, io non ho nessun dubbio, mi sono sempre ispirato a un maestro della non violenza come Danilo Dolci. Bisogna isolare le frange dei violenti, di quelli che non sanno nemmeno cosa sia la Tav».
Il problema è che in Val di Susa molte delle «persone buone» che manifestano si sono accompagnate con quelle frange e hanno lasciato che siano loro a scandire ormai i tempi della lotta. Quelli che scrivono sui muri «Caselli boia». Da quanti anni conosce Giancarlo Caselli?
«Da quarant'anni, dai tempi dell'Università della strada del gruppo Abele. Si può dire una vita insieme, un uomo generoso e coraggioso, non si è mai sottratto all'impegno, con la nostra associazione Libera ha girato tutta l'Italia per parlare ai giovani».
E cosa pensa della sua inchiesta che ha portato in carcere ventisei persone per le violenze alle manifestazioni No Tav?
«La magistratura deve intervenire quando rileva comportamenti criminosi. E tutti abbiamo il dovere politico e morale di prendere le distanze dagli episodi di violenza. Conosco l'integrità morale e lo scrupolo professionale di Caselli, lui applica le leggi, se c'è un reato deve cercare la verità. È stato chiaro fin dall'inizio nel dire che non ha mai voluto colpire il movimento. Provo disgusto, non solo sdegno, verso questi che ingiuriano, non si può permettere tutto questo».
Ma in Valle anche poliziotti e carabinieri vengono insultati e presi a sassate come truppe di occupazione. C'è stato il video dell'attivista che irrideva un giovanissimo militare chiamandolo «pecorella», ci sono ovunque le scritte con l'acronimo che significa: tutti i poliziotti sono bastardi. Lei vive da una vita con la scorta: come giudica questi comportamenti?
«Intollerabili. Mi sento vicino agli uomini e alle donne delle forze di polizia. Tanti ne ho conosciuti in questi anni che svolgono la loro funzione con generosità, equilibrio, senso del dovere. E lo stesso dico per i tanti giornalisti che lavorano con coscienza e con scrupolo nel raccontare i fatti e le opinioni».
Nei giorni scorsi lei ha firmato un appello con altre associazioni per la «riapertura del dialogo» a cui hanno aderito Vendola, Di Pietro, il sindaco di Bari e di Napoli, il segretario della Fiom. È un appello politico?
«Noi non apparteniamo a nessuna bandiera politica e io non voglio essere preso per la giacchetta da nessuno. Come altre associazioni lavoriamo per il bene comune. Ma non si fa politica solo nei partiti, bisogna lavorare per un risveglio delle coscienze».
In Valle sono presenti molte associazioni che fanno riferimento a voi. Che posizione hanno?
«Ci sono Sì Tav e No Tav. Molti di noi del gruppo Abele o di Libera abitano lì, sono partecipi e preoccupati di quello che sta accadendo e non parlano per “sentito dire”. C’è una responsabilità delle parole di cui siamo profondamente coscienti. Le parole possono essere molto pericolose quando non nascono da un’analisi onesta, da un approfondimento vero, da intenzioni ambigue, non trasparenti».
E lei che cosa pensa?
«La prima cosa che mi sta a cuore dire su questa vicenda è che, come su tante altre, ho tanti dubbi e bisogno di capire. Non ho certezze né risposte, ma solo la speranza che parlando insieme, ascoltando le ragioni degli uni e degli altri si possa arrivare a una soluzione».
Don Ciotti, sono anni e anni che si parla, è stato istituito un Osservatorio, sono stati ascoltati i sindaci, è stato modificato il percorso del treno. Mai nessuna opera pubblica in Italia e forse all'estero ha avuto tanta attenzione al territorio. Pensa davvero che una nuova riflessione porti da qualche parte?
«Conosco tante persone integre e generose della Val di Susa. Chiedono di essere ascoltate. Di manifestare le loro preoccupazioni, di esporre ragioni che hanno una loro legittimità, che siano contrari o favorevoli alla Tav. Perché non farlo una volta di più? Non è mai scaduto il tempo del dialogo. È bella gente: ci vuole un supplemento di ascolto. Fuori dai piedi i violenti e riapriamo il dialogo. Mi sembra importante».
Ma come si fa a isolare i violenti?
«Riaprendo il dialogo: dove finisce il confronto, può iniziare l’odio e il fanatismo. E poi c'è il problema delle ricadute educative. Mi hanno molto colpito le parole di Anna Allasio, sindaco di Bussoleno: “In questa valle c’è una generazione di giovani che sta crescendo nel segno dell’anti-Stato, della contrapposizione violenta alle istituzioni”. Io vado quasi ogni giorno nelle scuole di tutta Italia, Libera organizza percorsi e seminari, d’estate i campi sui beni confiscati alle mafie si riempiono di ragazzi che vengono da ogni parte d’Italia: i giovani hanno “fame” di cose positive».
La linea Torino-Lione non è un capriccio per andare a Parigi in tre ore, è una maglia integrante della rete di trasporti che si sta costruendo in Europa per i prossimi anni. Va vista in questa prospettiva. Se non si fa, l'Italia, ma soprattutto Torino e il Piemonte, saranno tagliati fuori. Lei che ne pensa?
«Io non dico che la Tav non deve essere fatta e sono convinto che l'Italia non deve perdere il treno dell'Europa. Ma è sul modo e anche sui tempi che si può discutere. Noi tocchiamo con mano ogni giorno la crescita della povertà. Il grande pericolo di oggi è che mentre si accorciano le distanze materiali con i treni ad alta velocità, con le telecomunicazioni sempre più potenti, si allungano le distanze sociali. E questo non ha niente a che vedere con i violenti».
postato da Giusi Rasà
Don Luigi, in Valle, c'è andato una volta sola, ad agosto. Era a Palermo a commemorare il commissario Ninni Cassarà ucciso dalla mafia quando lo hanno chiamato con urgenza: un pacifista s'era arrampicato su un albero a trenta metri d'altezza. Diceva che sarebbe sceso solo se veniva a prenderlo don Ciotti. Lui è arrivato, l'ha fatto scendere e alla fine s'è preso gli applausi da quelli che lui chiama «le persone buone» e gli insulti da «quegli altri», quelli che tirano le pietre ai poliziotti, perché era venuto in Valle scortato dagli «sbirri».
Don Luigi, si può andare avanti così? Lei ha toccato con mano il clima della valle: non le sembra il caso di prendere nettamente le distanze da chi ha trasformato il dissenso di una parte della popolazione in una guerra civile?
«Certo, io non ho nessun dubbio, mi sono sempre ispirato a un maestro della non violenza come Danilo Dolci. Bisogna isolare le frange dei violenti, di quelli che non sanno nemmeno cosa sia la Tav».
Il problema è che in Val di Susa molte delle «persone buone» che manifestano si sono accompagnate con quelle frange e hanno lasciato che siano loro a scandire ormai i tempi della lotta. Quelli che scrivono sui muri «Caselli boia». Da quanti anni conosce Giancarlo Caselli?
«Da quarant'anni, dai tempi dell'Università della strada del gruppo Abele. Si può dire una vita insieme, un uomo generoso e coraggioso, non si è mai sottratto all'impegno, con la nostra associazione Libera ha girato tutta l'Italia per parlare ai giovani».
E cosa pensa della sua inchiesta che ha portato in carcere ventisei persone per le violenze alle manifestazioni No Tav?
«La magistratura deve intervenire quando rileva comportamenti criminosi. E tutti abbiamo il dovere politico e morale di prendere le distanze dagli episodi di violenza. Conosco l'integrità morale e lo scrupolo professionale di Caselli, lui applica le leggi, se c'è un reato deve cercare la verità. È stato chiaro fin dall'inizio nel dire che non ha mai voluto colpire il movimento. Provo disgusto, non solo sdegno, verso questi che ingiuriano, non si può permettere tutto questo».
Ma in Valle anche poliziotti e carabinieri vengono insultati e presi a sassate come truppe di occupazione. C'è stato il video dell'attivista che irrideva un giovanissimo militare chiamandolo «pecorella», ci sono ovunque le scritte con l'acronimo che significa: tutti i poliziotti sono bastardi. Lei vive da una vita con la scorta: come giudica questi comportamenti?
«Intollerabili. Mi sento vicino agli uomini e alle donne delle forze di polizia. Tanti ne ho conosciuti in questi anni che svolgono la loro funzione con generosità, equilibrio, senso del dovere. E lo stesso dico per i tanti giornalisti che lavorano con coscienza e con scrupolo nel raccontare i fatti e le opinioni».
Nei giorni scorsi lei ha firmato un appello con altre associazioni per la «riapertura del dialogo» a cui hanno aderito Vendola, Di Pietro, il sindaco di Bari e di Napoli, il segretario della Fiom. È un appello politico?
«Noi non apparteniamo a nessuna bandiera politica e io non voglio essere preso per la giacchetta da nessuno. Come altre associazioni lavoriamo per il bene comune. Ma non si fa politica solo nei partiti, bisogna lavorare per un risveglio delle coscienze».
In Valle sono presenti molte associazioni che fanno riferimento a voi. Che posizione hanno?
«Ci sono Sì Tav e No Tav. Molti di noi del gruppo Abele o di Libera abitano lì, sono partecipi e preoccupati di quello che sta accadendo e non parlano per “sentito dire”. C’è una responsabilità delle parole di cui siamo profondamente coscienti. Le parole possono essere molto pericolose quando non nascono da un’analisi onesta, da un approfondimento vero, da intenzioni ambigue, non trasparenti».
E lei che cosa pensa?
«La prima cosa che mi sta a cuore dire su questa vicenda è che, come su tante altre, ho tanti dubbi e bisogno di capire. Non ho certezze né risposte, ma solo la speranza che parlando insieme, ascoltando le ragioni degli uni e degli altri si possa arrivare a una soluzione».
Don Ciotti, sono anni e anni che si parla, è stato istituito un Osservatorio, sono stati ascoltati i sindaci, è stato modificato il percorso del treno. Mai nessuna opera pubblica in Italia e forse all'estero ha avuto tanta attenzione al territorio. Pensa davvero che una nuova riflessione porti da qualche parte?
«Conosco tante persone integre e generose della Val di Susa. Chiedono di essere ascoltate. Di manifestare le loro preoccupazioni, di esporre ragioni che hanno una loro legittimità, che siano contrari o favorevoli alla Tav. Perché non farlo una volta di più? Non è mai scaduto il tempo del dialogo. È bella gente: ci vuole un supplemento di ascolto. Fuori dai piedi i violenti e riapriamo il dialogo. Mi sembra importante».
Ma come si fa a isolare i violenti?
«Riaprendo il dialogo: dove finisce il confronto, può iniziare l’odio e il fanatismo. E poi c'è il problema delle ricadute educative. Mi hanno molto colpito le parole di Anna Allasio, sindaco di Bussoleno: “In questa valle c’è una generazione di giovani che sta crescendo nel segno dell’anti-Stato, della contrapposizione violenta alle istituzioni”. Io vado quasi ogni giorno nelle scuole di tutta Italia, Libera organizza percorsi e seminari, d’estate i campi sui beni confiscati alle mafie si riempiono di ragazzi che vengono da ogni parte d’Italia: i giovani hanno “fame” di cose positive».
La linea Torino-Lione non è un capriccio per andare a Parigi in tre ore, è una maglia integrante della rete di trasporti che si sta costruendo in Europa per i prossimi anni. Va vista in questa prospettiva. Se non si fa, l'Italia, ma soprattutto Torino e il Piemonte, saranno tagliati fuori. Lei che ne pensa?
«Io non dico che la Tav non deve essere fatta e sono convinto che l'Italia non deve perdere il treno dell'Europa. Ma è sul modo e anche sui tempi che si può discutere. Noi tocchiamo con mano ogni giorno la crescita della povertà. Il grande pericolo di oggi è che mentre si accorciano le distanze materiali con i treni ad alta velocità, con le telecomunicazioni sempre più potenti, si allungano le distanze sociali. E questo non ha niente a che vedere con i violenti».
postato da Giusi Rasà