Sotto la Gelmini, l'Università
italiana ha perso un quinto dei suoi corsi
- Nella stagione in corso l'università italiana ha tagliato 348 corsi
di laurea. Sono 863 in meno se il periodo di riferimento si fissa alle
ultime quattro stagioni. In un solo anno sono scomparse 170 lauree
triennali di primo livello e 214 lauree magistrali o specialistiche. E
con loro 148 corsi di area scientifica, 129 umanistici, 125 sociali.
"La razionalizzazione dell'università italiana ha raggiunto un punto
oltre al quale non si può andare", dice Andrea Lenzi presidente del
Cun, "consigliere", appunto, del sistema università che illustra la sua
ricerca commentando: "Adesso basta, bisogna tornare a investire". di
Corrado Zunino da http://www.repubblica.it/
I numeri messi in fila fanno impressione: l'università pubblica sotto
la Gelmini ha perso un quinto dei suoi corsi, solo nell'ultimo anno
l'8,9% dei corsi di laurea (gli atenei privati, invece, hanno tagliato
solo il 4,4%). Al Sud, dove si è sprecato di più, si è anche tagliato
di più. E gli atenei medi (10-20 mila iscritti) hanno dovuto ridurre e
accorpare con maggiore incisività rispetto ai "big" e ai "mega" (oltre
40 mila studenti). Per comprendere, l'iperSapienza di Roma con la
riforma Gelmini è passata da ventitré facoltà a undici ricorrendo al
massiccio uso dell'accorpamento.
Oggi i corsi di laurea negli atenei italiani sono 4.597. I tagli più
forti si sono avuti in Ingegneria informatica e industriale, scienze
economiche e scienze della formazione fra i corsi triennali.
Segno della crisi, dicono al Cun: le assunzioni informatiche e
industriali nel paese stanno segnando il passo. E per quanto riguarda i
corsi quadriennali le riduzioni hanno toccato soprattutto le aree di
filologia, storia antica, letteratura antica. In controtendenza l'area
sanitaria con 13 corsi in più nell'ultimo anno e le lauree a ciclo
unico (medicina e chirurgia, odontoiatria e protesi dentaria,
veterinaria, farmacia, chimica e tecnologie farmaceutiche,
architettura, ingegneria edile e giurisprudenza): qui i corsi totali
sono passati da 250 a 266. Dice ancora Andrea Lenzi: "Sono stati
eliminati i percorsi di nicchia, superflui o con pochi iscritti. In un
comparto dello Stato che ora abbiamo razionalizzato ci vogliono, però,
risorse. Da cinque anni l'Università ha un serio problema di
finanziamenti , ma lo Stato deve trovarli".
Gli atenei potano i rami secchi: in 4
anni cancellati 800 corsi di laurea, inutili.
I corsi di laurea sono passati da 5.460 a 4.597. La dieta drastica
imposta a partire dal 2001 agli Atenei dal governo comincia a dare i
suoi frutti. «Eliminati i percorsi superflui e con pochi iscritti»,
assicura il presidente del Consiglio Universitario Nazionale Andrea
Lenzi.
Meno 863 in quattro anni: da 5.460 corsi a 4.597. La dieta drastica
imposta agli Atenei dal governo comincia a dare i suoi frutti. Il
ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, aveva annunciato le sue
intenzioni non appena insediata a viale Trastevere: troppi i corsi
inutili nelle Università italiane, a volte frequentati anche da un solo
studente. Uno spreco assurdo che oltretutto assorbe risorse,
sottraendole invece ai settori che ne hanno davvero bisogno. (da
http://www.ilgiornale.it di Francesca Angeli)
Il numero dei corsi di laurea era cresciuto in modo esponenziale
soprattutto dopo l'introduzione della riforma del 3 più 2, la laurea
triennale e poi la specializzazione. Erano proliferati soprattutto i
corsi sconclusionati, dedicati a discipline improbabili, evidentemente
con l'unico scopo di garantire una cattedra a qualcuno.
Ora il presidente del Consiglio Universitario Nazionale (Cun), Andrea
Lenzi, rende noti gli ultimi dati sui tagli, evidenzati da un'analisi
elaborata dal Servizio informazione e comunicazione, Comunicare
Università, del Cun.
«I corsi di laurea sono decisamente diminuiti eliminando quei percorsi
troppo di nicchia, superflui o con pochi iscritti -tiene a
puntualizzare Lenzi- Assistiamo così ad una radicale trasformazione in
nome della qualità, dell'economicità, della razionalizzazione e del
miglioramento della offerta formativa delle università italiane».
Dunque soltanto nell'ultimo anno accademico sono stati eliminati 384
corsi di laurea, pari a meno7,8 per cento nel 2010/2011.I corsi di
laurea passano da cosi in un anno da 4.986 a 4.597 Completamente
cancellate 170 lauree triennali di primo livello: dai 2.411 corsi
dell'anno accademico 2009-2010 ai 2.241 attuali, (meno 7,1). Soppresse
anche 214 lauree magistrali o specialistiche, da 2.304 a 2.090 (meno
9,3) in un solo anno.Ma la potatura dei rami secchi era già iniziata
dal 2007 e da allora complessivamente sono stati tagliati 863 corsi di
laurea.
Dove sono stati operati i tagli? Sia nelle aree scientifiche (meno 148
corsi), sia in quelle umanistiche (meno 129) e sociali (meno 125 corsi).
Aumenta invece l'offerta dell' area sanitaria. Aperti 13 nuovi corsi e
le lauree a ciclo unico che aumentano del 5,8 per quanto riguarda il
numero dei corsi (più 16 corsi) nell'anno accademico 2010/2011.
L'andare in controdenza appare però una scelta nella giusta direzione
visto che proprio negli ultimi mesi dal settore sanitario è stato
lanciato un grido d'allarme sulla carenza di medici. Tra il 2012 e il
2014 è stato calcolato che mancheranno circa 20.000 medici.
A tagliare sono stati soprattutto gli Atenei statali: eliminati l'8,9
per cento dei corsi di laurea, a fronte di una riduzione del 4,4 delle
università private. Gli atenei pubblici, complessivamente negli ultimi
4 anni, hanno perso il 19,7 dei corsi di laurea contro una riduzione
del 9,7 delle università private.
Si è tagliato di più al sud: meno 11,7 per cento di corsi nell'ultimo
anno). Poi le isole, meno 8,9; il nord est, 8,9; il nord ovest, meno 7;
il centro, 6,8.
Per Lenzi è la dimostrazione che «il mondo dell'università ha reagito
alla richiesta della politica, delle famiglie e del mondo produttivo di
delineare corsi di laurea più in linea con criteri formativi di qualità
e di razionalità. E' stato raggiunto un risultato anche superiore alle
attese e al quale il CUN ha contributo con un attento monitoraggio dei
corsi di laurea». Ora, conclude Lenzi, «si deve tornare ad investire
nel sistema dell'alta formazione».