Il 7
novembre del 1909 “Il Marzocco” pubblica
una intervista a Federico Enriques sul congresso della società
filosofica italiana che si è chiuso a Roma pochi giorni prima e che, a
detta del giornalista, ha “lasciato odore di polvere” per la foga di
uno scontro, più che di un confronto, tra intellettuali che comunque
cercano di misurare le proprie teorie con quello che si agita nel
“mondo” al di là degli spazi della speculazione. Il giornalista registra con stupore lo
scalpore suscitato sulla stampa e l’interesse e la partecipazione
vivace di un pubblico di non specialisti. L’intervista è un
modello di rispetto e sobrietà e si svolge su toni cui non siamo più
abituati.
Il presidente della società filosofica, pur non rinunciando a
esprimere con chiarezza le sue posizioni, pone, come condizione per
aprire il colloquio, la salvaguardia del suo ruolo, che gli ha imposto
nel congresso e gli impone ancor più nella intervista di agevolare e
mantenere vivo il confronto, senza far pesare i suoi convincimenti:
“devo distinguere il ruolo dell’organizzatore da quello dell’uomo di
pensiero”. Enriques è convinto che solo una collaborazione tra scienza
e filosofia potrà portare la cultura italiana a misurarsi con le grandi
questioni teoriche del presente “un rinnovamento vero della filosofia
potrà avvenire attraverso la scienza”, o meglio attraverso una
collaborazione tra filosofi e scienziati. Due sono i riferimenti di
Enriques, Poincaré, che ha sentito il bisogno di impostare
filosoficamente i suoi studi su problemi di matematica, e Bergson, che
si “accosta” alla scienza, questo non è ancora accaduto in Italia, ma
Enriques vede nel dibattito, che si è appena aperto, l’avvio di una
nuova fase; del resto Croce non aveva partecipato perché trattenuto a
Napoli e Gentile, che pure si era affacciato perché a Roma per una
commissione, era dovuto ripartire perché impegnato con gli esami (fondo
Enriques – http://enriques.mat.uniroma2.it/).
In una lettera a Vailati, richiamata da Bottazzini, all’inizio del
secolo aveva espresso la convinzione che la filosofia dovesse essere
fatta da “spiriti scientifici e in servigio della scienza”. La sua
filosofia scientifica aveva preso le mosse dalla riflessione critica
sui principi della geometria e sulla natura dello spazio che gli
avevano fatto abbandonare “i campi della geometria ove il pensiero
riposa tranquillo nella sicurezza degli acquisiti”, per verificare come
“le geometrie non euclidee avessero reso evidente che le nostre nozioni
geometriche, in quanto si riferiscono alla realtà sensibile, non
possono in alcun modo pretendere a quella rigorosa certezza che fu
tenuta come uno dei più forti argomenti in favore del loro carattere a
priori”. I progressi di questi pensieri si sentono nel 1906 quando a
Guido Fusinato, allora ministro della pubblica istruzione nel terzo
governo Giolitti (l’uomo politico veneto sarà poi protagonista nel 1912
del trattato di Ouchy alla conclusione della guerra libica) contestava
“l’assurdità di preparare i futuri filosofi con una esclusiva
educazione storica e letteraria” e
affermava che la matematica avrebbe dovuto avere un “posto d’onore” tra
le discipline che preparano agli studi filosofici. Quando poi
Croce e Gentile arrivarono di persona al quarto congresso della società
filosofica Italia del 1911, il confronto tra filosofia e scienza venne
chiuso con altezzosa sicurezza.
Enriques, ma chi è? “un professore di matematica che si diletta di
filosofia”. Non si capisce se per Croce fosse più grave essere
professore di matematica o dilettarsi di una cosa seria come la
filosofia. Gentile rincarò la dose, accusando Enriques di dilettantismo
scientifico, perché “dirige una rivista eclettica” (“Scientia”), che
affianca nello stesso fascicolo studi di elettromagnetismo, di chimica
e di biologia, di economia e di psicologia e quant’altro, tanto da
nuocere anche alla scienza. Del tutto trascurabile appariva agli occhi
dei nostri idealisti che a “Scientia” collaborassero Carnap, Russell,
lo stesso Einstein per fare solo alcuni nomi, come ricorda Massarenti.
Il guaio è che poi Croce e Gentile abbiano avuto la ventura di essere,
sicuramente in contesti molto diversi, non solo punti di riferimento
culturali indiscussi, ma anche ministri della pubblica istruzione (qui
Gentile porta più colpe di Croce), ma la condanna dei saperi teorici
della cultura del Novecento pesa ancora sulla formazione dei nostri
giovani.
Approfittare del centocinquantenario per recuperare qualche pezzo che
abbiamo perso cento anni fa, non sarebbe male.(di Vittoria Gallina da
Educazionepuntozero)
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