L’imbarazzo
che in modo sempre più evidente le forze politiche di maggioranza
manifestano nei confronti delle celebrazioni per il centocinquantesimo
anniversario della proclamazione dello Stato unitario sta avendo come
conseguenza la rinuncia a considerare la ricorrenza come un’occasione
per riflettere su che cosa è cambiato nel secolo e mezzo che ci separa
dal 1861. Invece di porre l’attenzione sui processi di trasformazione
che hanno interessato la struttura della popolazione e le condizioni
della vita quotidiana, la cultura e le attività produttive, si sta
assistendo all’evocazione più o meno convinta di eventi ormai lontani,
ma che sembrano ancora più lontani se si prescinde dal coglierne le
implicazioni su quanto è avvenuto nel seguito. Ne deriva che l’enfasi
sia posta sugli eventi che segnarono il compimento del disegno
unitario, e che restino sullo sfondo, o siano del tutto ignorati,
aspetti della realtà nazionale che costituivano un problema e che anche
oggi richiedono risposte
complesse.
E sono risposte che suppongono interpretazioni non rituali
dell’identità nazionale e del modo in cui tale identità si è venuta
evolvendo. Se oggi ricordiamo il 1861 non è perché in quell’anno
qualcosa si è concluso, ma perché qualche altra cosa, ben più
rilevante, quell'anno ha avuto inizio. È proprio ciò che nel 1861 ha
avuto inizio la ragione dell’imbarazzo che si manifesta nella Destra al
governo: lo Stato unitario ha avviato processi di trasformazione e di
modernizzazione che nel tempo hanno prodotto i tratti distintivi della
popolazione italiana, quei tratti che si vorrebbero negare col richiamo
ad una fantasiosa antropologia localista per affermare altre supposte
identità. Del resto, il raggiungimento dell’Unità nazionale di per sé
non risolveva alcuna delle difficoltà che segnavano la vita quotidiana
in un paese arretrato, in gran parte analfabeta, toccato ancora solo
marginalmente dallo sviluppo dell’industria e dei trasporti. Semmai,
disporre di più ampi riferimenti faceva apparire ancora più gravi
questi limiti. In quel contesto risultò evidente che lo sviluppo
dell’istruzione avrebbe rappresentato una condizione centrale per la
crescita sociale ed economica. Non che da questa consapevolezza siano
derivati atteggiamenti unanimi e decisioni subito coerenti. Ma, anche
se in modo incerto e contraddittorio, con l’Unità si avviava la
costruzione del sistema scolastico italiano. La scuola sarebbe stata
alla base del diffondersi di unnuovo sentire, nel quale il superamento
di una condizione secolare di ignoranza appariva strettamente associato
all’affermazione di un’idea di progresso. Alla crescita della scuola
corrispose il diffondersi nelle diverse classi sociali della conoscenza
della lingua italiana, prima limitata a poche aree del paese o agli
strati favoriti della popolazione che avevano ricevuto almeno alcuni
rudimenti di istruzione. Fu ben presto evidente che le scuole sarebbero
state uno strumento essenziale di crescita non solo per ciò che
riguardava la diffusione dell’alfabeto,ma anche per modificare gli
stili e le pratiche della vita quotidiana. Ben presto tuttavia si
manifestò il conflitto che avrebbe a lungo caratterizzato lo sviluppo
dell’educazione scolastica in Italia (più che in altri paesi) fra
quanti sostenevano che la popolazione destinata a svolgere attività
subalterne e ripetitive non avesse bisogno di istruzione e i
sostenitori della sua necessità non solo ai fini produttivi,ma anche
della vita sociale e politica. Al liberismo economico, che dominava lo
scenario politico nello stato unitario lasciando che bambini e ragazzi
fossero avviati precocemente al lavoro e dovessero subire le
conseguenze della fatica fisica e della permanenza prolungata in
ambienti malsani, si andava opponendola consapevolezza che attraverso
le scuole si sarebbe potuta ottenere una migliore qualità delle
condizioni di esistenza. Anche se con lentezza, fu questa
consapevolezza che finì con l’affermarsi. A scuola i bambini impararono
non solo a leggere, scrivere e far di conto, ma ad aver cura del
proprio corpo, a osservare alcune importanti norme igieniche, a
eseguire esercizi fisici. Le scuole, soprattutto al livello primario,
non si limitavano a incoraggiare comportamenti che avrebbero avuto
ricadute positive nel seguito della vita, ma assumevano funzioni
diagnostiche che sarebbe stato molto improbabile fossero svolte da
altri: ai maestri si chiedeva di verificare i progressi nella
dentizione, la crescita della statura, l'eventuale apparire di
malformazioni nella struttura ossea, di ghiandole linfattiche, di
lunette sulle unghie eccetera. Sulle cattedre comparvero le bottiglie
di olio di fegato di merluzzo, che ebbero sullo sviluppo di più
generazioni un ruolo altrettanto positivo dell’istruzione. Chi
consideri le caratteristiche attuali della popolazione italiana e le
ponga a confronto con quelle che i documenti d'epoca indicavano come
correnti negli anni attorno all'Unità non può che prendere atto che i
cambiamenti intervenuti hanno mutato sostanzialmente il profilo
sociale, culturale e fisico degli italiani. Certo, non tutto si deve
solo alla scuola; o, meglio, non tutto si deve solo alla scuola, ma è
certo che quanto oggi appare positivamente trasformato non avrebbe
potuto esserlo senza la scuola. L'imbarazzo che circonda l'anniversario
del raggiungimento dell'Unità è più che mai evidente se si considera
l'ostinazione con la quale i governi della Destra stanno cercando di
contrastare il ruolo che la scuola, e in particolare la scuola dello
stato, ha assunto nel progresso del paese e nel prodursi del profilo
della popolazione italiana. La scuola ha proseguito e perfezionato il
disegno unitario del Risorgimento, conferendo significato di
cittadinanza all'uso della lingua e all'acquisizione della cultura
tramandata dalla tradizione. Ridurre il ricordo del 1861 all'evocazione
di eventi lontani, o respingere del tutto tale ricordo, non è possibile
fin quando il sistema scolastico, per quanto mortificato da interventi
poveri di interpretazioni e solo preoccupati di limitare la spesa,
continuerà ad affermare il valore della scelta nazionale compiuta
centocinquanta anni fa. (Da L'Unità di Benedetto Vertecchi)
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