Tutto nasce dalla
proposta di Giuseppe Pellegrino assessore alla Cultura e all'Istruzione
del Comune di Chieri, in Piemonte, provenienza UDC, che in un forum ha
dichiarato che "non serve a nulla insistere nell'integrazione
scolastica di alunni con disabilità psichiche". A peggiorare la
situazione è intervenuto un insegnante di armonia al Conservatorio di
Milano, che ha subito specificato di "non essere nazista" (excusatio
non petita…), ma di pensare che "un sano ritorno alla rupe Tarpea ci
vorrebbe, anche perché è ora di finirla con il buonismo".
"Io oggi sono molto critico - e non sono il solo - nei confronti di una
scuola che penalizza i migliori. Bisognerebbe fare delle classi
differenziate per loro, altro che balle..." ha scritto l’insegnante
sensibile all’arte, sul social network Facebook. Sollevato il polverone
di polemiche, più o meno senza seguito, sono arrivate le
giustificazioni. Per il primo la colpa è stata di un giornalista della
'Stampa', l’uomo-artista invece, si è scagliato contro Facebook e il
suo tono colloquiale. Nel fraintendimento generale, né il politico né
l’uomo di ‘cultura’ si sono preoccupati di scusarsi con i disabili in
primis e poi con le loro famiglie. Hanno, invece, continuato una
polemica più soft sostenendo le loro bizzarre (anche noi siamo dei
buonisti è evidente) teorie su come una persona con disabilità psichica
possa frenare l’apprendimento di quegli alunni, detti 'normali', che
popolano le nostre scuole.
La presenza del disabile, secondo la loro opinione, infatti, ridurrebbe
la capacità i apprendimento di chi frequenta la stessa classe. Ecco
quindi il luogo separato, lontano dalla vista e dal cuore, dunque. Non
importa che si chiami ghetto, lager o scuola speciale, l’importante è
che questa distinzione, questa separazione, avvenga per garantire ai
'normali' il diritto allo studio e forse anche a diventare dei piccoli
Einstein. La domanda, però, ci sorge quasi spontanea. Come è possibile
che nelle classi dove non ci sia la presenza di un ragazzo con
disabilità, nessun Manzoni, nessun Quaismodo o Pascoli sia emerso? Come
è invece possibile che in classi dove ci sia stato un buon lavoro di
integrazione, i ragazzi trattino il disabile come ‘uno di loro’, siano
capaci di sopportare lo stress, imparino a convivere con i più deboli
mostrando una spiccata capacità di intraprendenza e determinazione?
Siamo nel 2010, ma la nostra amara considerazione è che questi siano
discorsi da anni ’60. All’epoca non c’erano i potenti mezzi di oggi,
per studiare, capire, comprendere. Anni bui hanno attraversato la
storia dell’umanità. Anni in cui avere un disabile in casa era una
vergogna, una punizione divina (come diceva la Chiesa fino a qualche
anno fa) per i peccati commessi o peggio era la gente del paese ad
escludere ed emarginare tutta la familia. Pensavamo di aver fatto dei
passi in avanti e, soprattutto, eravamo certi che l’opinione pubblica,
i nostri colleghi, avrebbero reagito con una sollevazione unanime, con
un moto di rabbia che avrebbe sepolto le polemiche. Invece ritroviamo
poche righe su internet. Sarà vero, come dicono in molti, che
l'opinione pubblica comincia ad assorbire senza reagire questi segnali
di deterioramento civile, di ritorno a un clima che alimenta le
peggiori paure?
Abbiamo voluto rivolgere qualche domanda una insegnante di italiano
nella scuola media inferiore e mamma di una disabile ‘psichica’ che ha
preferito non divulgare il suo nome.
G - "Prof.ssa, lei è da 30 anni nella scuola. Perché riaprire le scuole
speciali sarebbe un passo indietro per l'istruzione in questo Paese?"
P - "Proprio perché sono da molto nella scuola, so che tutti questi
anni hanno dimostrato le buone pratiche dell'integrazione. Non è stata
una crescita solo per i ragazzi disabili, ma soprattutto per tutti gli
altri, che si sono dovuti confrontare da subito con una realtà diversa
dalla propria. Questo non può che essere positivo per l'armonia (vera)
di una classe. Vede, l'errore è pensare che i disabili siano un
problema nelle scuole, rappresentano, al contrario, un'importante
risorsa. Vorrei, però mi scusi, subito sottolineare che l’insegnante
del conservatorio ha commesso un grave errore sottolineando quello che
pensa. Non so come ci si comporti nei conservatori, ma da noi, nella
scuola pubblica intendo, ogni ragazzo ha obiettivi diversi. Non si può
parlare di una classe se prima non si sono individuate le particolarità
di ognuno. È così anche per gli alunni disabili. Forse quel professore
dovrebbe chiedere all’insegnante dei suoi figli se non sono loro a
costringere gli altri a rimanere indietro".
G - "Ci spieghi meglio per favore".
P - "Vede, non è la scoperta dell’uovo di Colombo. Ogni professore lo
sa, lo insegnano ai corsi di aggiornamento e non solo. La didattica di
una classe è basata su un programma, certo, ma la bravura
dell’insegnante sta proprio nell’adattare il programma a tutti gli
alunni. Ognuno ha capacità diverse. Esistono vari tipi di intelligenze.
Intelligenze tecniche, intuitive, e così via. Ognuno di noi è dotato di
particolarità specifiche e non potrà mai essere uguale ad un altro. Per
questo ogni ragazzo ha obiettivi diversi che, se raggiunti tutti, sono
la motivazione di un voto eccellente. Ecco spiegata anche la differenza
tra un buono dato a due ragazzi differenti. Lo stesso voto non ha la
stessa valenza. Certo questo si traduce in un lavoro doppio, anzi
triplo, per l’insegnante e non tutti sono disposti a farlo. Alla luce
di questo discorso, mi sorprende come un professore possa dire che i
disabili rallentino una classe. Questo non è vero. Anche loro hanno
obiettivi e finalità personali, come tutti".
G - "Come crede che si possa gestire una classe con più di 10 alunni
con disabilità diverse?"
P - "Non prendiamoci in giro. Una classe del genere non si gestisce. E'
impossibile garantire a tutti l’attenzione, la disponibilità. Guardi
cosa succede da quando hanno ridotto le ore degli insegnanti di
sostegno. Le classi, che dovrebbero lavorare con l’insegnante in
sostegno al ragazzo disabile, vengono trascurate. Ovviamente così si
penalizza il processo di integrazione per il quale quel professore è
fondamentale. E poi, c'è stata una motivazione all'epoca, che ha fatto
chiudere. Non ce lo ricordiamo più? Si chiama integrazione e mi sembra
validissima. Immagini un ghetto, dove si mischiano esigenze e disturbi
diversi. Ci vorrebbe un insegnante personale per ognuno. E se ci fosse,
non ci sarebbe il problema degli insegnanti di sostegno nelle scuole
pubbliche. Quindi sappiamo che questo non è possibile. E questi
ragazzi, che non si confronterebbero mai con il ‘mondo normale’, usciti
da una scuola del genere cosa andrebbero a fare? ".
G - "Se sua figlia avesse frequentato una scuola speciale. Come sarebbe
andata?".
P - "Mia figlia, che essendo disabile psichica rientra nella categoria
di persone per le quali si vorrebbe reinserire la Rupe Tarpea, non
sarebbe stata la stessa persona che è oggi. Non avrebbe fatto i
percorsi che ha fatto, le conoscenze, le amicizie, non avrebbe scoperto
la passione per il disegno e non avrebbe frequentato una scuola per
affinare le sue tecniche. Forse non avrebbe neanche pubblicato un libro
illustrato da lei. Credo che l’idea di fondo sia una eliminazione non
di tipo fisico, ma di tipo morale. I disabili sono un peso per la
società, non una risorsa, quindi vanno nascosti agli occhi di tutti,
vanno relegati in posti più consoni, che poi consoni non sono. Questa è
un’idea non solo desueta, ma del tutto folle. Diciamo pure, senza
remore, da paese sottosviluppato. Il mio rammarico e che davanti a
queste provocazioni stupide, le associazioni non occupino le piazze, i
luoghi istituzionali con determinazione, ma lascino che il popolino si
abitui a questi tipi di violenza".
(Da http://www.irispress.it/ Mariangela Di Nicol)
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