Tra le
pieghe del tempo incontriamo un grande personaggio vissuto tra la fine
del I sec. a.C. e gli inizi del I sec. d.C., un valoroso condottiero,
un patrizio romano appartenente alla dinastia Giulio-Claudia, tra le
più antiche e nobili gens dell’antica Roma: Nerone Claudio Druso
Germanico Giulio Cesare. Lo storico Tacito, molti anni dopo, dirà di
lui, “Il giovane possedeva un carattere mite, una straordinaria
affabilità, tutt’altra cosa dall’aspetto e dal parlare di Tiberio,
superbo e impenetrabile”, ma Tiberio (suo zio paterno) diventò
imperatore (14-37 d.C.), mentre lui morì a soli 34 anni, in circostanze
non chiare.
Germanico Giulio Cesare, mancato imperatore, avrebbe potuto dare un
nuovo volto all’impero romano e cambiare il corso della storia.
Germanico è stato anche un fine studioso e traduttore del poeta greco
Arato di Soli, vissuto tra il IV e il III sec a: C., di lui ci
rimangono 725 esametri, scritti in prosa e in versi, di una libera
versione in latino del I libro del poema greco sull’astronomia,
“Phainomena” (I fenomeni), e cinque frammenti di una versione del poema
“Diosemeia” (I segni del tempo). Nato il 24 maggio del 15 a.C., con il
nome di Nerone Claudio Druso, e morto ad Antiochia di Siria il 10
ottobre del 19 d.C., Germanico è stato tra i maggiori e più importanti
politici e generali del suo tempo, amato dal popolo e dai suoi soldati,
adottato come figlio dall’imperatore Augusto, avrebbe potuto assurgere
alla carica imperiale se non fosse stato “fermato” da un male oscuro
all’apice del suo successo politico e militare mentre si trovava nelle
province orientali dell’impero, dove ricopriva la carica di Proconsole.
Figlio di Druso Maggiore, che morì nel 9 a.C., a soli 29 anni (a sua
volta figlio di Tiberio Claudio Nerone e di Livia Drusilla, che in
seconde nozze fu la terza moglie dell’imperatore Augusto. Oltre a
Germanico ebbe altri due figli, Claudia Livilla e Claudio, futuro
quarto imperatore. Si sospettava che fosse figlio illegittimo di
Augusto, che lo amò e lo adottò come figlio), e di Antonia minore
(figlia di Marco Antonio e di Ottavia minore, sorella dell’imperatore
Augusto). Il cognomen Germanicus gli fu dato in seguito ai successi
riportati dal padre in Germania, tra il 12 ed il 9 a.C. Il Senato, nel
9 a.C., dopo la morte del padre, decretò che gli fosse attribuito il
cognomen “Germanico”, insieme ai suoi discendenti. Nel 4 a.C., insieme
allo zio paterno Tiberio, venne adottato dall’imperatore Augusto,
probabilmente su “indicazione” della moglie Livia (nonna paterna di
Germanico). Nello stesso anno sposò Agrippina maggiore (figlia di Marco
Vipsanio Agrippa e di Giulia maggiore, a sua volta figlia di Augusto,
l’unica sua figlia naturale, avuta con la seconda moglie, Scibonia),
dalla quale ebbe nove figli (il primogenito Nerone (nato nel 4-5, morto
nel 30), Druso (nato nel 7-8, morto nel 31), Caligola (futuro terzo
imperatore), Agrippina minore (moglie di Claudio, di cui era anche
nipote e madre di Nerone, futuro quinto imperatore), Giulia Drusilla e
Giulia Livilla).
Ebbe un’esaltante carriera militare iniziata il 7 a.C. con la carica di
Questore (“Quaestura” costituiva il primo grado del cursus honorum e
richiedeva un’età minima di 30 anni. All’inizio aveva soltanto una
giurisdizione criminale, in seguito competenze amministrative ed
economiche, e gestiva il tesoro e le finanze pubbliche); nel 12 d.C.
ebbe il consolato (la più importante carica tra le magistrature
maggiori della Repubblica romana. Ogni anno venivano eletti due consoli
che esercitavano, collegialmente, il supremo potere civile e militare
dello Stato, ed erano quindi dotati di “potestas e imperium”); dal 13
divenne Proconsole (pro magistrato romano, a volte ex console
incaricato di governare una provincia romana. Agiva “al posto di”,
“pro”, un magistrato ufficiale ed aveva tutta l’autorità di un
console), nel 13 in Gallia, dal 14 al 16 in Germania, e dal 17 sino
alla morte, avvenuta nel 19, su tutte le province orientali
dell’impero. Le virtù militare di Germanico si mostrarono già durante
la rivolta delle popolazioni dalmato-pannoniche, scoppiata il 6 d.C. e
conclusasi con la definitiva sottomissione dei barbari, il 9.
All’inizio della ribellione delle popolazioni indigene, l’imperatore
Augusto inviò sul teatro delle operazioni, oltre a Tiberio, anche il
nipote Germanico, che all’epoca era solamente Questore, per “farsi le
ossa” a fianco del padre adottivo, e anche per “controllare” Tiberio,
in quanto temeva che quest’ultimo potesse indugiare, pur potendo
battere in breve tempo la popolazione barbara. Dopo una lunga marcia e
dopo aver aggredito e sconfitto numerose città dalmate, Tiberio giunse
nei pressi di Andretium, cingendola d’assedio. Qui si ricongiunse con
Lepido, e dopo una lunga e sanguinosa battaglia i ribelli furono
sconfitti e costretti a chiedere la fine delle ostilità. Con il
definitivo trionfo delle legioni romane, Augusto e Tiberio ricevettero
l’acclamazione di “imperator”, mentre Germanico e gli altri generali
romani solamente gli “ornamenta triumphalia”, cioè le decorazioni, i
distintivi, le insegne di un triumphator (trionfatore): la corona
aurea, la toga picta (toga dipinta), la tunica palmata (tunica decorata
con foglie di palma, attributo di Giove Capitolino), e lo scipio
eburneus (bastone d’avorio).
Successivamente, Germanico si recò in Germania per la prima volta,
insieme a Tiberio, negli anni 10-13, in seguito alla disfatta subita
dall’armata romana al comando di Pubblio Quintilio Varo, nella foresta
di Teutoburgo, nel 9 d.C. Dopo quella clamorosa sconfitta, la prima
battuta d’arresto della storia di Roma, si impose la necessità di
reagire per impedire alle popolazioni germaniche di prendere coraggio e
di invadere i territori della Gallia e magari dell’Italia, mettendo a
rischio non solo una provincia ma l’esistenza stessa dell’impero
romano. Tiberio dimostrò, ancora una volta, di essere un generale
particolarmente geniale, riuscendo a frenare i propositi di una nuova
invasione da parte dei barbari vittoriosi. Negli anni successivi,
infatti, dal 10 al 13 d.C., Tiberio e Germanico, quest’ultimo in
qualità di Proconsole, condussero gli eserciti romani al di là del Reno
per tre nuove campagne militari, riuscendo a recuperare parte dei
territori di quell’estrema provincia dell’impero, conquistati prima
della disfatta di Varo. Germanico, con il suo esercito, addirittura,
rafforzò i territori della Gallia, oltrepassò il fiume Reno, mentre
l’imperatore Augusto si sarebbe accontento di rimanere sulla difensiva,
e avanzò verso l’interno, aprì nuove strade, devastò campi, bruciò
villaggi, mettendo in fuga le orde nemiche e ritornando vittorioso
negli accampamenti senza aver perso nessun soldato. Tornato a Roma, nel
12, Germanico fu eletto Console, a soli 28 anni, ossia 5 anni prima del
normale “corsus honorus”.
Nel 13 Germanico fu nominato comandante delle truppe del Reno. Alla
morte dell’imperatore Augusto, avvenuta il 19 agosto del 14, durante la
seduta del Senato del 17 settembre, Tiberio divenne il nuovo imperatore
romano, mantenendo la “tribunicia potestas” e “l’imperium proconsulare
maius”, insieme agli altri poteri di cui aveva usufruito Augusto, e
assumendo il titolo di “princeps”. Tiberio, fra i suoi primi atti,
sollecitò il senato a concedere “l’imperium proconsolare” a Germanico
che così poteva godere di grande autonomia rispetto allo stesso
imperatore, e disporre soprattutto di mani libere nell’impostazione
della guerra in Germania. Ben presto si presentò a Germanico
l’occasione di far valere il suo potere, infatti nel 14, mentre era in
corso una rivolta delle legioni in Pannonia, anche le truppe stanziate
lungo il confine germanico si ribellarono ai loro comandanti, dando
inizio ad un’efferata serie di violenze e massacri.
Germanico che era a capo dell’esercito stanziato in Germania e godeva
di grande prestigio, si incaricò di riportare alla calma la situazione,
confrontandosi personalmente con i soldati in rivolta, decise di
concedere loro il congedo dopo venti anni di servizio e di inserire
nella riserva tutti i soldati che avevano combattuto per oltre sedici
anni, esonerandoli così da ogni obbligo ad eccezione di quello di
respingere gli assalti nemici; inoltre, raddoppiò i lasciti a cui,
secondo il testamento di Augusto, i militari avevano diritto. Le
legioni, che avevano da poco appreso della recente morte di Augusto,
arrivarono addirittura a garantire pieno appoggio al generale se avesse
desiderato impadronirsi del potere con la forza, ma egli rifiutò
dimostrando allo stesso tempo grande rispetto per il padre adottivo
Tiberio e una grande fermezza. La rivolta, che aveva attecchito tra
molte delle legioni di stanza in Germania, risultò comunque difficile
da reprimere, e si concluse con la strage di molti legionari ribelli.
I provvedimenti presi da Germanico per soddisfare le esigenze dei
legionari furono poi ufficializzati in un secondo momento da Tiberio,
che assegnò le stesse indennità anche ai soldati pannoni. Fin
dall’inizio del suo principato, pertanto, Tiberio si trovò a dover
convivere con l’incredibile prestigio che riscuoteva il nipote
Germanico presso il popolo di Roma, il quale, peraltro, era suo figlio
adottivo, per espresso ordine di Augusto. Ripreso il controllo della
situazione, Germanico decise di organizzare una spedizione contro le
popolazioni germaniche che, venute a conoscenza delle notizie della
morte di Augusto e della ribellione delle legioni, avrebbero potuto
sferrare un nuovo attacco all’impero. Insieme ai suoi generali,
sconfisse nuovamente molte tribù germaniche, compiendo stragi e
pacificando la regione ad ovest del Reno. In questo modo poté
progettare, per il 15, una nuova spedizione ad est del grande fiume,
per vendicare Varo e frenare ogni volontà espansionistica dei Germani,
i quali, con il loro capo Arminio, principe della tribù dei Cherusci,
dopo la vittoria di Teutoburgo, non aveva smesso di incitare tutte le
popolazioni germaniche alla rivolta, invitandole a combattere contro
gli invasori romani.
Tuttavia, tra le tribù barbare, si formò anche un piccolo partito
filoromano, guidato dal suocero di Arminio, che offrì il proprio aiuto
a Germanico. Questi si diresse verso Teutoburgo, dove poté ritrovare
una delle aquile legionarie perdute nella battaglia di sei anni prima,
e rese gli onori funebri ai caduti le cui ossa erano rimaste insepolte.
Decise, poi, di inseguire Arminio per affrontarlo in battaglia; ma i
barbari attaccarono gli squadroni di cavalleria che Germanico aveva
mandato in avanscoperta, sicuro di poter cogliere il nemico
impreparato, e fu necessario che l’intera spedizione romana
intervenisse per evitare una nuova disastrosa sconfitta. Germanico,
allora, decise di tornare ad ovest del Reno assieme ai suoi uomini, ma
mentre si trovava sulla strada del ritorno, presso i cosiddetti “Pontes
Longi”, una colonna romana, comandata da Cecina, fu attaccata e
sconfitta da Arminio, costringendoli a retrocedere all’interno del loro
accampamento. I Germani, allora, convinti di poter avere la meglio
sull’esercito romano, assaltarono l’accampamento stesso, ma furono a
loro volta duramente sconfitti, e Cecina poté condurre le legioni sane
e salve ad ovest del Reno.
Nonostante avesse riportato un’importante vittoria, Germanico era
cosciente che i Germani erano ancora in grado di riorganizzarsi e
decise, nel 16, di condurre una nuova spedizione con l’obiettivo di
annientare definitivamente le tribù barbare tra il Reno e l’Elba. Per
giungere indisturbato nelle terre dei nemici, decise di approntare una
flotta che conducesse le legioni fino alla foce del fiume Amisia, in
tempi rapidi furono approntate oltre mille navi agili e veloci in grado
di trasportare le truppe ma dotate anche di macchine da guerra per la
difesa. Non appena i romani sbarcarono in Germania, le tribù del luogo,
riunite ancora sotto il comando di Arminio, si prepararono a
fronteggiare gli invasori, ma gli uomini di Germanico, ben più
preparati, riuscirono a riportare una schiacciante vittoria. Arminio e
i suoi si ritirarono presso il Vallo Angrivariano, ma subirono un’altra
durissima sconfitta: Varo era stato vendicato e i barbari, che
abitavano tra il Reno e l’Elba, erano annientati. Germanico ricondusse
dunque i suoi in Gallia, ma, sulla strada del ritorno, la flotta romana
fu dispersa da una tempesta e costretta a subire notevoli perdite;
l’inconveniente accorso ai Romani diede nuovamente ai Germani la
speranza di poter ribaltare le sorti della guerra, ma i luogotenenti di
Germanico poterono facilmente avere la meglio sui loro nemici.
Le numerose e alterne vicende militari non riuscirono però a riportare
i territori tra il Reno e l’Elba sotto le insegne di Roma. Tiberio,
malgrado le aspettative del giovane generale, ritenne opportuno
rinunciare a nuovi piani di conquista di quei territori. Del resto il
nipote Germanico non aveva raggiunto gli obiettivi militari auspicati,
non essendo riuscito a battere in maniera risolutiva Arminio e la
coalizione da lui guidata. Ma soprattutto la Germania, terra selvaggia
e primitiva, era un territorio inospitale, ricoperto da paludi e
foreste, con limitate risorse naturali e, quindi, non particolarmente
appetibile da un punto di vista economico. La Germania fu così perduta
per sempre e Germanico, nel 16, venne richiamato a Roma. Tiberio
ritenne che il fiume Reno dovesse essere il limes nord dell’impero
romano, così come peraltro indicato da Augusto, e che del fiume Elba
non se ne facesse più menzione. Germanico, che avrebbe preferito
continuare la lotta, si arrese alla decisione imperiale, anche se la
sua popolarità era tale da consentirgli, se avesse voluto, di prendere
il potere, scacciando il padre adottivo, che già, in alcuni contesti,
era malvisto (la sua ascesa al principato era stata segnata dalla morte
di tutti i parenti indicati da Augusto come suoi possibili eredi).
Il risentimento, sicuramente, spinse Tiberio ad affidare al figlio
adottivo uno speciale compito in Oriente, in modo da allontanarlo
ulteriormente da Roma. E così, dopo aver concesso a Germanico il
“trionfo”, il 26 maggio del 17 gli affidò il nuovo comando di tutte le
province d’Oriente. A turbare, infatti, la situazione nelle regioni
orientali erano state le morti dei rispettivi re della Cappadocia,
Commagene e Cilicia: i tre Stati, che erano vassalli di Roma, si
trovavano così in una condizione di instabilità politica da non
sottovalutare. Si rese quindi necessario un intervento romano e
Tiberio, nel 18, inviò il figlio adottivo, Germanico, cui fu concesso
“l’imperium proconsulare maius” su tutte le province orientali.
Tiberio, tuttavia, non aveva fiducia in Germanico, che in Oriente si
sarebbe trovato lontano da qualsiasi controllo ed esposto alle
influenze dell’intraprendente moglie Agrippina maggiore, e decise di
affiancargli un suo uomo: Gneo Calpurnio Pisone, che era stato, nel 7
a.C., insieme a lui, un console molto deciso ed energico. A Pisone, che
venne nominato governatore della provincia di Siria, era affidato il
compito di consigliare Germanico durante la sua missione, ma,
segretamente, di tenerlo a freno, evitando attriti con i Parti,
considerando il suo carattere particolarmente emotivo ed impulsivo.
Probabilmente, Tiberio temeva che Germanico, dopo i successi conseguiti
in Germania, desiderasse emulare Alessandro Magno.
Appena giunto in Oriente, Germanico, con il consenso dei Parti,
incoronò il giovane filoromano Zenone nuovo sovrano d’Armenia. Stabilì,
inoltre, che la Cappadocia fosse istituita come provincia a sé stante,
e che la Cilicia entrasse invece a far parte della provincia di Siria.
Germanico aveva così brillantemente risolto tutti i problemi che
avrebbero potuto far precipitare l’intera area in una situazione di
instabilità. In seguito all’annessione della provincia di Cappadocia
furono posti, lungo il fiume Eufrate, alcuni presidi militari a difesa
del limes nord-orientale dell’impero. In Siria aprì, inoltre, dei
negoziati con il sovrano Artabano II, desideroso di rinnovare il
trattato di amicizia con Roma. Anche altri Stati intavolarono negoziati
con il principe romano, ma si avvicinava l’inverno e Germanico decise
di riposarsi in Egitto.
Tornato in Siria, agli inizi del 19, entrò in aperto conflitto con
Pisone, che aveva annullato tutti i suoi precedenti provvedimenti. Per
tutta risposta, Pisone decise di lasciare la provincia per rientrare a
Roma. Poco dopo la partenza di Pisone, Germanico cadde, improvvisamente
e misteriosamente, ammalato ad Antiochia di Siria e morì il 10 ottobre
dello stesso anno, dopo lunghe sofferenze, ma poco prima di spirare,
confessò la propria convinzione di essere stato avvelenato da Pisone, e
rivolse un ultimo desiderio ad Agrippina affinché vendicasse la sua
morte. Officiati i funerali, Agrippina tornò con le ceneri del marito a
Roma, dove immenso fu il compianto del popolo romano per l’amato
condottiero.
Le sue ceneri vennero riposte nel mausoleo di Augusto. Intanto,
l’imperatore Tiberio evitò di manifestare pubblicamente i suoi
sentimenti, e non partecipò neppure alla cerimonia funebre. Sin da
subito, infatti, si diffuse a Roma il sospetto, alimentato dalle parole
pronunciate da Germanico morente, che fosse stato proprio Pisone a
causarne la morte, avvelenandolo, con il coinvolgimento
dell’imperatore, quale “mandate” del delitto. Pertanto, sull’onda
dell’emozione popolare, Pisone venne processato, e accusato anche di
numerosi precedenti reati commessi. Tiberio, per l’occasione, tenne un
discorso particolarmente moderato, defilandosi ed evitando di
schierarsi a favore o contro la condanna del governatore. Tuttavia, in
mancanza di prove certe, Pisone non poté essere condannato con l’accusa
di “veneficio”, ma temendo di essere ugualmente condannato per gli
altri reati commessi, decise di suicidarsi prima che venisse emesso il
verdetto.
Non sapremo mai se Germanico morì avvelenato o di morte naturale, ma la
crescente popolarità ne enfatizzò molto la tragica fine, resa più
celebre, anche in seguito, dallo storico Tacito. Mentre il consenso a
Tiberio ne uscì fortemente compromesso, proprio perché Germanico era
molto amato. I due, infatti, avevano modi di fare completamente
diversi: Tiberio si distingueva per la freddezza, la riservatezza e il
pragmatismo, Germanico per la semplicità e il fascino. Ma la storia dà
torto e dà ragione a tutti. E Germanico verrà ricordato dalla storia
come un grande e amato condottiero e un “mancato imperatore”, che tanto
avrebbe potuto dare a Roma e al mondo intero.
Angelo Battiato