Penso
che l’intervento di Biondi sia più che altro banale e antiquatissimo,
oltre che di spessore minimo. Tralascio peraltro il suo uso della
lingua, tanto più che, Biondi a parte, vorrei invece provare a
commentare questa questione cruciale che mi sta molto a cuore: la
didattica delle discipline. Per quanto mi riguarda, si fa sempre lo
stesso errore, e cioè quello di contrapporre la tradizione
all’innovazione che la dovrebbe sostituire; e altresì, l’innovazione
alla tradizione che dovrebbe essere preservata. Non capisco
l’antinomia, che peraltro nessun docente serio contempla davvero, nel
suo approccio didattico. Fino a quando ragioneremo in questi termini,
non arriveremo da nessuna parte. Mi spiego: quando un docente
‘trasmette’ per esempio il suo sapere in una lezione frontale,
generalmente trasmette un sistema di informazioni ben (si spera!)
strutturate, organizzate in anni e anni di studi. Un sistema a cui si
arriva per molti gradi e che l’allievo non può raggiungere da sé, in
quanto non ne ha gli strumenti. Il docente cioè, non gli mostra il
processo della ricerca, ma gli ‘trasmette’ i risultati già organizzati,
gliene offre cioè una preziosissima ‘sintesi’.
La lezione frontale dell’adulto è per uno studente giovane una grande
occasione di risparmio di tempo di energie, ma soprattutto di
osservazione di cosa significa un sistema strutturato di informazioni.
Chiarirei inoltre una questione fondamentale: un docente di scuola
minimamente capace evita sempre una lezione esclusivamente frontale, e
favorisce semmai la partecipazione degli allievi che è assicurata dalle
loro domande o interventi. Questo genere di lezione, questo approccio
didattico, non potrà mai (e non dovrà soprattutto), prescindere dalla
figura del docente. Il docente, l’adulto che possiede e generosamente
mette a disposizione dei giovani un sapere strutturato, è
insostituibile, prezioso, dovrebbe essere una ‘specie protetta’ (in
questo senso, risulta condivisibile il riferimento all’ ‘empatia’ che
fa Biondi nella sua intervista, quando parla della lezione scaricata
sul Cloud).
Procediamo: uno studente di oggi rispetto ad uno del passato non si
accontenta (e non deve farlo) di un sapere già espresso in forme
organizzate. Nel nostro tempo, in cui grande importanza hanno le
competenze affiancate alle conoscenze (ed è giusto, a mio modo di
vedere), un allievo ha bisogno di una guida per fare personale e
diretta esperienza anche di come si raggiunge un ‘sapere strutturato’.
Questo obbliga il docente ad affiancare alle lezioni ‘frontali’, delle
lezioni ‘laboratoriali’. Esse trasmettono un minor numero di
conoscenze: chi ha tenuto almeno una lezione-laboratorio nella vita sa
perfettamente quanto tempo in più richiedono le lezioni-laboratorio,
rispetto a quelle frontali. Le lezioni-laboratorio inoltre trasmettono
le conoscenze in modo meno sistematico, e però sono imprescindibili per
‘trasmettere’ all’allievo anche delle competenze: l’allievo impara nei
laboratori come si fa a sistematizzare le conoscenze. Ovviamente la mia
è una schematizzazione: si apprendono conoscenze e competenze sia nel
caso della lezione frontale, che in quella della lezione laboratoriale.
Diciamo che il primo tipo è imperniato più sulle ‘conoscenze’ e il
secondo, sulle ‘competenze’, i ‘metodi’ per raggiungerle.
Ma veniamo alla didattica ‘tecnologizzata’. Qui c’è davvero pochissimo
da dire. Le tecnologie sono necessarie e utilissime come qualunque
docente sa perfettamente. Il problema è come sempre quello della
‘sostituzione’ del nuovo rispetto al ‘vecchio’, o della ‘resistenza’
del ‘vecchio’, che deve esser preservato sul nuovo (la scrittura a mano
vs la videoscrittura, e viceversa; la ricerca in biblioteca vs quella
su google e viceversa, etc.) Nulla di più banale. Per quanto mi
riguarda, un docente oggi deve soprattutto imparare la flessibilità
didattica. Ci sono autori, lezioni, teoremi, leggi, principi, teorie,
opere, fenomeni che vanno sintetizzati con una lezione frontale utile a
una sistematizzazione; ce ne sono altri che vanno estrapolati da tutto
e cui va dedicato un laboratorio specialistico ed esclusivo, certosino;
altri che possono essere trattati con modalità di didattica breve;
altri che necessitano di software specializzati; altri che possono
essere utilizzati per scopi trasversali e che dunque richiedono altre
strategie didattiche.
Nessuna disciplina dovrebbe essere affrontata con un unico approccio
didattico. La ‘destrutturazione delle aule’ di cui parla Biondi non mi
pare né grave né opportuna. Mi sembra più che altro una cosa di una
ovvietà spaventosa. Tutti noi montiamo o smontiamo la classe a seconda
delle esigenze didattiche, mi sembra ovvio. Infatti, secondo me io ho
detto solo ovvietà. Sono cose che i docenti fanno già. Semmai, sono a
favore di una revisione dei programmi, tanto più che il monte ore è
vergognosamente risicato rispetto alle loro proporzioni. Ma già lo so
che il rischio della didattica fai-da-te in cui un docente possa
decidere di saltare a piè pari Petrarca o la termodinamica, è alle
porte.
La maestra Margherita