Nel mezzo delle feste di
primavera, giovedì alla Camera, si inizia a votare il Documento di
economia e Finanza del 2011. Lì dentro
c'è lo spianamento della scuola pubblica italiana. Quattro miliardi e 561 milioni di
tagli previsti ogni anno dal 2012 al 2014 (tabellone a pagina 37
del documento del Programma nazionale di riforme già approvato in
Consiglio dei ministri).
Tredici
miliardi e 683 milioni succhiati via a un organismo in grave crisi di
ossigeno a cui dal 2009 al 2011 ne sono stati portati via già otto
miliardi e 13 milioni (con 87 mila cattedre annesse e 42 mila
posti di personale amministrativo, tecnico, ausiliario).
Tredici
miliardi e 683 milioni più otto miliardi e 13: sono ventidue miliardi
succhiati alla scuola pubblica italiana in una stagione di governo di
centro-destra. Con numeri di
questa entità si renderà così fragile e dissestata la nostra scuola
pubblica da trasformarla in un istituto sostituibile. Con che cosa? Con
la scuola privata italiana.
Il Def di Giulio Tremonti, diventato
cosa nota a "Ballarò" grazie a un colpo di teatro di Enrico Letta (il
ministro Gelmini necessitava di un suggeritore alle spalle per riuscire
a dire che quei tagli, meglio, "minori spese", erano già previsti dal
2008), attinge ancora una volta dalla
scuola perché sa che lì ci sono numeri grossi: se si taglia sulla
scuola, è il ragionamento, vi è certezza di ritorno economico. Su 60
miliardi per il risanamento generale nei prossimi tre anni, tredici
e sette vengono da lì.
Tutti gli stati occidentali avanzati hanno affrontato la crisi
economica mondiale non toccando tre strutture: la scuola, l'università,
la ricerca. Barak Obama ha sottratto risorse, per dire, al ministero
degli Interni americano, ma ha fatto crescere gli investimenti pubblici
nei tre campi dei giovani e del futuro: scuola, università, ricerca. Da
noi, si spiana. Altri documenti di governo che sottendono il Def
tremontiano hanno detto qualcosa sul nostro futuro, qualcosa di
angosciante: "Nei prossimi trent'anni ci sarà una riduzione strutturale
della popolazione scolastica". Perché? Perché strutturale? Dobbiamo
arrenderci al fatto che facciamo (e quindi faremo) meno figli? Ma non è
forse che la gioventù strutturalmente precaria fa meno figli perché non
ha idea di come potrebbe precariamente mantenerli? O forse la riduzione
scolastica immaginata da Tremonti è figlia dell'idea che la gioventù
precaria tornerà a fare lavori manuali, ben pagati peraltro,
abbandonando un'utopia sessantottesca di accrescimento culturale e
potenziamento della cittadinanza attraverso la scuola? Ancora, i
migranti, che comunque hanno riportato la soglia della popolazione
italiana intorno ai sessanta milioni, secondo questo governo non
andranno nei prossimi trent'anni al liceo e all'università in Italia?
Queste stime non tengono conto che negli ultimi anni la popolazione
della scuola in verità è sempre cresciuta.
Riassumendo. La quota del Pil oggi impegnata nell'istruzione, il 4,2
per cento, secondo il nuovo Def calerà al 3,7 per cento nel 2015 e al
3,4 nel 2060. Ovviamente, per consentire questo non ci sarà contratto
per i maestri e i prof fino al 2013 e il blocco degli scatti
d'anzianità resterà tale: 320 milioni in meno a bilancio del Miur per i
"prof" nel 2011, 640 in meno nel 2012 e 960 nel 2013. Prof più
poveri per una scuola con meno alunni.
Ci scrive Enrico Letta, in un sms: "La cosa più pesante è che dalle
tabelle del documento governativo emerge come la riduzione da un
miliardo a 30 milioni della quota riservata per il diritto allo studio
sia confermata anche per i prossimi tre anni". Le dichiarazioni a
raffica del ministro Gelmini - al termine del primo
triennio di sacrifici reinvestiremo in una scuola più snella e
migliore con i risparmi realizzati - si sono rivelate
bugie. Arrivano nuovi tagli, i più duri, perché portati su un organismo
boccheggiante.
Scrive la Rete 29 aprile, i ricercatori universitari precari che alla
precarietà non si arrendono: "Quattordici miliardi di euro, a valori
correnti, è quanto il Piano Marshall diede all'Italia dal 1948 al
1952". Il Piano Tremonti, all'Italia e al suo futuro, li toglie.
(da http://www.repubblica.it/ di Corrado Zuino)
redazione@aetnanet.org