Nell'articolo di
Ichino sul Corriere del 31 marzo si nota che la preoccupazione è quella
di sanare una vergogna pubblica con la regolarizzazione dei contratti
dei precari. Cioè in pratica rendendoli tutti a tempo determinato,
altro che indeterminato come pubblicizzato.
In realtà anche oggi nessuno è inamovibile, i licenziamenti ci sono
anche nella scuola, certo solo per gravi motivi. Ma in questo caso la parte da cui si
cerca di sanare il problema è quello a vantaggio dell'imprenditore, a
cui dare tutele e vantaggi perché non si trovi sul groppone
ingombranti dipendenti. Ha senso nella scuola un principio del genere?
Io credo che nella nostra società, lenta e stanziale, molto più di
quella americana, non sia per ora possibile una proposta di questo
tipo. Parlo per il settore che conosco, la scuola, ma in verità mi
sembra deleteria anche per i lavoratori degli altri settori e mi
chiedo come un partito nato come partito di massa che tutela i
lavoratori possa ridursi a farsi strumento delle imprese come una
succursale di Confindustria, ma mi limito a ciò che conosco.
Innanzitutto la colossale ingiustizia, quella che è stata portata
avanti con faccia tosta imbarazzante nei confronti dei colleghi più
giovani: i contratti “instabili” saranno solo quelli fatti d'ora in
avanti, come se un collega quarantenne dopo essersi adeguato e inserito
nell'insegnamento avesse molte più possibilità di un cinquantenne
di riciclarsi in altro lavoro. In realtà la scuola si brucia molte
nostre energie che non sono più rinnovabili, cioè altrimenti
utilizzabili, se non in casi molto sporadici.
Lo spostamento dell'incarico poi sfiora il sadismo: prendendo spunto
dalla migrazione dei precari che girano l'Italia per trovare lavoro,
Ichino generalizza la risorsa dicendo: "se occorre l'insegnante, nel
nuovo regime, può essere trasferito da un posto a un altro"
dimenticando che non siamo proprio così intercambiabili tra
scuole e province e le persone hanno anche diritto a una
stabilità che solo in parte tutela dalla miseria: il trasferimento
d'ufficio avrebbe alti costi per il dipendente, anche a prescindere
dallo stress fisico e psicologico.
Ma andiamo sulla didattica: la declamata libertà di insegnamento dove
andrebbe a finire se temessimo il licenziamento? Già così la categoria
"garantita" degli insegnanti è tra le più timide, e timorose che si
conoscano, togli le garanzie alla nostra indipendenza e resterà una
pletora di signorsì. Conosco persone che tengono conto nella
valutazione del formarsi della classe l'anno successivo, è umano, ma
quanto sbagliato nel nostro difficile mestiere! Mestiere che dovrebbe
essere considerato socialmente elevato per renderci, al di là di ogni
dubbio, felici e lontano anche dalle più velate forme di “interesse
personale” come quello citato.
Concludendo: se una riforma del lavoro
è necessaria (e non è detto che lo sia) perché iniziare proprio dalla
scuola, il settore che maggiormente ne soffrirebbe senza avere recato
alcun vantaggio perché la popolazione scolastica è in aumento e non
accenna a diminuire, mente si finge che i posti calino con
provvedimenti di peggioramento del servizio?
Professione Insegnante Libero Tassella
Libero Tassella
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