Su proposta di Nicola D’Agostino del Movimento Per
l’Autonomia, nelle scuole d’ogni ordine e grado della
Sicilia saranno introdotte due ore settimanali di studio
obbligatorio del dialetto siculo. L’idea è discutibile
nella genericità della proposta , peraltro molto
pretenziosa, ma duce Lombardo, emulo dei leghisti in salsa
catanese, non è detto che non passi come legge del Parlamento
Siciliano. Così, anche D’Agostino si potrà vantare di avere fatto
anche lui per la scuola qualcosa di “epocale”!
Quale offerta migliore, e più preziosa, culturalmente parlando, si
poteva fare agli studenti siciliani in occasione delle celebrazioni per
i 150 anni dell’unità d’Italia, se non quello di far loro studiare a
scuola il loro dialetto come una vera e propria lingua per
non dimenticare la nostra identità? Un paradosso? Una intempestiva e
futuristica stravaganza? Una sprovveduta o
provocatoria incongruenza ? Unni e quannu! Niente affatto! A fil
di logica, sembra che il D’Agostino abbia così ragionato: tutti
difendono i dialetti della propria regione, e noi
no?! I tempi sono maturi! E se non ora, quando? L’eredità
del patrimonio ideale e politico del Risorgimento è fuori discussione,
perché da tutti condivisa; siamo un popolo solidale e coeso, che va
d’amore e d’accordo; oggi più che mai, in ogni sua parte,
dall’Alpi a Scilla, l’Italia è “ una d’arme, di lingua,
d’altare, /di memorie, di sangue e di cor”; tra Nord e Sud i
rapporti sono fraterni ( l’inno che cantiamo ne è testimone :
fratelli d’Italia!), e le progettualità dello sviluppo sociale,
economico e culturale condivise; l’unità della lingua
e l’educazione linguistica sono fatti da sempre acquisiti e
consolidati, come testimoniano gli ottimi livelli
attuali raggiunti dagli studenti nella loro padronanza della madre
lingua, la facilità con la quale riescono a scrivere la lingua che
parlano, e l’ abilità di produrre dei “testi” scritti, autonomi e
specifici rispetto ai “testi” parlati, senza errori o strafalcioni
concettuali. Infine, alle scuole elementari, e non solo, si parla un
“buon italiano” e sono scomparsi affatto i bambini dialettofoni,
soprattutto nei quartieri periferici. Sic stantibus rebus, acculturati
come siamo, lo studio di un’altra lingua, il siciliano, è un valore
aggiunto “ ‘na ggrazzia “ che non si può rifiutare. Se non ora,
il dialetto in cattedra, quando?
Siamo pronti, signor D’Agostino on .Nicola! Le scuole della Sicilia
trepidano in attesa di aggiungere alle famose tre “I” di
berlusconiana memoria, una quarta: “ I” come idioletto! Pardon , come
lingua( immagino parlata e scritta) ! Faccio un augurio sincero: che
non venga ai nostri studenti una diarrea diglossica!
Nel frattempo che la proposta diventi legge, facciamo finta di ignorare
che ci sono ancora legioni di persone nella nostra meravigliosa terra
di Sicilia che, non solo parlano il meno possibile,
inibite dalla paura di sbagliare, ma per lo stesso motivo non scrivono
affatto .perché non possiedono tecniche e modalità espressive adeguate,
perché non hanno sviluppate le capacità di organizzare la struttura dei
discorsi parlati e scritti nelle rispettive caratteristiche.
Persone che, pur scolarizzate e alfabetizzate, non hanno raggiunto né
la padronanza del parlato, né la padronanza della “ scrittura
profonda”. Tra queste persone, studenti universitari, e anche, ahimé,
laureati: una massa di parlanti sommersa e anonima che percorre,
lo sa Iddio con quanta fatica, da semianalfabeta la cultura
alfabeta! Questo, sì, è il vero dramma!
Nuccio Palumbo
antoninopal@katamail.com