Dal mio “riposo dorato”,
assorbito dalla lettura di libri e di riviste, ho scelto di pubblicare,
senza tagli o censure, una lettera che mi ha colpito molto per diversi
aspetti. In primo luogo mi ha toccato “direttamente” e, inoltre, penso
che culturalmente tocchi un po’ tutti essendo un epitaffio della
cultura tradizionalmente intesa. Non so se io sia semplicemente
ingenuo, illuso, idealista, ma reputo la Cultura uno dei valori
fondamentali dell’uomo; è ciò che ci distingue da un animale o da una
pianta, è la sola ricchezza spirituale che resta in questo mondo
miseramente materiale.
Vorrei capire quale tipo di persona si voglia formare oggi. Tecnici,
automi, calcolatrici umani? Oggi si deve essere furbi invece che
preparati? Cosa bisogna insegnare oggi a dei ragazzi che si affacciano
sul mondo? Ma soprattutto, in cosa e chi bisogna credere oggi?
«Diciassette febbraio, giovedì,
primo pomeriggio. Appena tornata da scuola. Mi chiedo spesso se ai
giorni nostri valga o no la pena di insegnare la letteratura e, nel mio
caso, il latino. Per me come docente, in quanto precaria e in quanto
docente di lettere, la risposta è no. Alla luce della mia esperienza
personale posso dire che il latino, la letteratura e la filosofia non
servono a nulla.
Togliete queste materie dalla scuola,
eviterete di far perdere tempo a quei pochi che passano i loro
pomeriggi a spaccarsi la schiena su versioni, poesie e filosofi anziché
fare altro di più divertente. Io non me la sento più di dire ai miei
studenti di sacrificare ore di studio per il latino. L’ho fatto io, non
fatelo voi ragazzi. Altrimenti farete la mia fine. Vi ritrovereste con
un pugno d’aria, di parole che ormai oggi non hanno più senso per
nessuno.
Pro patria mori… cantava il poeta. Ma
chi vuole oggi, non dico morire, ma anche solo sacrificarsi per la
patria? E cosa significa patria oggi? Io per prima sorrido di fronte a
questo concetto astratto e lontano. E fallace, soprattutto.
Ingannatore. Io non ho nessuna voglia di sacrificarmi per la terra dei
padri, questa terra che mi ha preso in giro, che continua a prendermi
in giro giorno dopo giorno, visto che un lavoro stabile non me lo sa
dare, e nemmeno uno stipendio che gratifichi i sacrifici che ho fatto
da ragazza, studiando.
Tutti i giorni questa patria si burla
di me, del mio lavorare per 1.250 euro al mese (se sono fortunata e ho
la supplenza a tempo pieno, cosa che non accade sempre). E già, devo
pure evitare di lamentarmi troppo, perché io sono tra i fortunati
precari del Nord che almeno una supplenzina qua e là la becca, magari a
metà novembre, ma tanto con la disoccupazione si campa, precari a non
far niente alla soglia dei 40 anni. Pro patria mori… bisogna essere
fessi… E io sento invece di morire dentro di me ogni giorno di più, di
non crederci ogni giorno di più, ogni mattina quando entro a scuola non
vedo l’ora di uscirne e di fare altro, perché non sopporto più di dover
prendere in giro me stessa e gli studenti.
Non dovete imparare a usare il
cervello, perché vivrete male, sempre critici verso tutto, poco furbi,
poco scaltri, poco sfrontati, sempre onesti, sempre fessi e sempre più
soli. Come mi sento io. Onesta e fessa…e sola. Debole, sempre senza
soldi, sensibile alle belle parole e alle romanticherie. E poi stanca.
Stanca di tutto. Stanca di questa maledetta terra dei padri, che quando
sono lontana mi manca terribilmente con tutti i suoi difetti.
Arrabbiarsi non serve. Io personalmente non guardo nemmeno più il
telegiornale. La politica italiana mi fa, nel migliore dei casi,
sorridere. Cosa volete che insegni ai ragazzi? Ditemelo, io non lo so
più..”.
(liberamente adattata da, Qualcosa di
Sinistra di Martina Caccia)