Mi ha
colpito molto la recensione che Paolo Nori ha scritto due giorni fa
all’ultimo libro di Paola Mastrocola, Togliamo il disturbo.
Saggio sulla libertà di non studiare (Guanda, 2011). Mi ha colpito non
solo perché la recensione è ironica e bella, ma perchè Paolo Nori ci
accompagna delicatamente nell’immaginario della signora Mastrocola, che
insegna lettere in un liceo scientifico di Torino, e parla dei suoi
studenti. Gli studenti sono così, dice: “ammassati fuori a parlare,
parlottare, stazionare, sfumacchiare. Ombre, lemuri. Spettrali. […] Lo
sguardo perduto nel nulla, la bocca semiaperta, i capelli stanchi, le
orecchie assenti. Anche i brufoli, chi li ha, sono scoraggiati, pallidi
brufoli, muti, apatici. [...] Forse una stanchezza cosmica impedisce
loro la posizione eretta. [...] Il loro modo di portare le mutande
(siano Armani o Intimissimi) fuori dai pantaloni è orribile, servile e
volgare. [...] Nessuna battaglia increspa mai le loro menti, le loro
voci, i loro gesti [...] Fanno versi gutturali, mezze sillabe.
Gracchiano, ululano, grugniscono, ruttano. [...] Sono entità fittizie,
immagini virtuali, fantasmi, zombie che popolano le aule”. Sono ragazzi
“pressoché muti”, che “parlano anche se non hanno niente da dire”. Insomma, che cosa turba la Mastrocola?
La scuola italiana non insegna più, dice. “Forse tutti in Italia
(o meglio, in Europa) hanno deciso questo [...] e si sono dimenticati
di dirlo anche a me, e allora io sono l’ultima a fare una cosa che non
interessa più nessuno, e quindi è bene che smetta. Dunque questo libro
è una battaglia [non ce n'eravamo accorti, ndr.], perché la cultura non
abbandoni la nostra vita e prima di ogni altro luogo la nostra scuola
[...]. È anche un atto di accusa alla mia generazione, che ha compiuto
alcune scelte disastrose e non manifesta oggi il minimo pentimento”.
Infine (e qui viene il bello) “è la mia personale preghiera ai
giovani”. Ovvero… “in un mondo che li vezzeggia, li compatisce, e ne
alimenta ogni giorno il vittimismo, essi con un gesto coraggioso e
rivoluzionario si riprendano la libertà di scegliere se studiare o no”.
La signora Mastrocola è confusa,
oppure è in malafede, o forse entrambe le cose. Critica il
declino della scuola italiana così pieno di “marketing”, di “progetti”,
di “strategie educative” e “recuperi”. E
poi cosa fa? Non se la prende con il ministero, ma con gli studenti.
Dopo ancora, da docente propositiva e rivoluzionaria qual è, offre la
soluzione per la scuola italiana: smettano di studiare. Non serve
studiare Kant, dice, vadano a fare i falegnami. Ecco così risolta la
grande responsabilità della sua generazione: demoliamo la scuola,
denigriamo gli studenti, e vendiamoci su.
Personalmente credo che la signora Mastrocola non sia in malafede, ma
che il suo problema sia il vezzo imbarazzante degli inconsapevoli. Mastrocola è evidentemente inconsapevole di
tutto quanto sta avvenendo a livello economico e politico nel nostro
mondo, eppure persa tra mille domande cui non sa rispondere, scrive,
che è esattamente l’unica cosa che una persona confusa NON dovrebbe
fare. Ora, nostro malgrado la signora Mastrocola è diventata,
precisamente per questa sua affilata innocenza, la donna giusta al
momento giusto, ed in questo momento
le sue argomentazioni sciatte sono precisamente l’humus
giustificazionista su cui poggia la politica demolitrice del Governo.
Le mutande degli studenti sono orribili? Allora smettano di studiare,
dice la Mastrocola. E nel frattempo smantelliamo la scuola, che con
questi studenti non serve più.
Per quanto grettamente assurdo, il ragionamento della Mastrocola è
fortemente in voga, e rimbalza sulla bocca di tutti quei personaggi
che, come lei, non sanno nulla di pedagogia, nulla di politiche
sociali, nulla di buon senso, ma ne parlano. Da Zecchi ad Abravanel (2008), tutti
ribadiscono la necessità di educare meno. Dietro ai loro
ragionamenti pretestuosi, non si nasconde il problema di “come”
allocare le risorse – per capacità, bisogno, merito o desiderio – ma la
volontà esplicita di non allocarne più. Viene da pensare che la
politica governativa debba per forza servirsi di ideologi tanto
malconci, in quanto la scuola e l’università pubblica sono due
istituzioni che anche i principali teorici del mercato e della
meritocrazia hanno sempre difeso. Da Musgrave a Hayek, il sistema
scolastico viene sempre salvaguardato come l’unica istituzione che deve
rispondere a criteri altri rispetto a quelli neoliberisti della
competizione, in quanto una “buona società”, che si interessa al futuro
e al bene di tutti, deve salvaguardare la spesa pubblica per
“l’istruzione e il sostengo delle attività artistiche” a prescindere da
qualunque contingenza. Così scrive Musgrave (1959, p. 181), che di
lavoro non faceva beneficienza, ma insegnava finanza ad Harvard. Cose
affini scriveva Michael Young, che Abravanel (deformandone in maniera
imbarazzante il pensiero) eleva a profeta della meritocrazia. Young in
realtà avvisava dei pericoli di un’istruzione meritocratica, dicendo
che i meritocrati non solo tendono a diventare “insopportabilmente
arroganti”, ma che quello di meritocrazia è un concetto
discriminatorio, che giustifica una drammatica diseguaglianza (come del
resto ammette pure Abravanel a p. 62 del suo testo), sino a che una
società meritocratica diventa “l’esatta antitesi della democrazia”,
come ha scritto puntualmente Mannucci nella prefazione italiana al
libro di Young. La politica del
governo in termini di istruzione è pertanto disinvoltamente barbarica a
prescindere dal fatto che tutti i teorici più rispettabili, da destra a
sinistra, abbiano sempre sostenuto il diritto universale
all’istruzione. Sarà forse per questo che vanno tanto di moda gli
opinionisti pourparler, come la Mastrocola.
In questo gioco malizioso, ove si consuma quello che Baccelli,
applauditissimo, davanti al Ministro Gelmini ha descritto l’altro
giorno come “il più grande licenziamento di massa congegnato da un
Governo”, e nel contempo prolifera il finanziamento di enti privati ad
personam (si legga Francesco Sylos Labini sull’IIT), personaggi come la
Mastrocola offrono il muro di nebbia dietro al quale lasciar
proliferare come un virus le stesse politiche antisociali che lei vede
trasformarsi in malessere nei suoi studenti. Ci pensino un pò, dunque,
quelli che, come la Mastrocola, sembrano muti “ma parlano anche se non
hanno niente da dire”. Lieve, infatti, è il confine tra la beata
innocenza e la più bieca complicità.
*Rete29Aprile(di Francesca Coin da http://www.ilfattoquotidiano.it/)
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