La libertà
d’insegnamento, mantra del docente, trae la sua origine
dall’interpretazione dell’art. 33 della nostra Costituzione: “L’arte e
la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Si tratta di un
principio posto a fondamento della vita e dell’attività delle scuole a
cui il comune sentire attribuisce il seguente contenuto:
“L’affermazione che l’arte e la scienza sono libere significa che nel
sistema costituzionale italiano non sono ammesse una cultura ed un’arte
di Stato. Secondo il nostro diritto positivo l’insegnamento è
necessariamente attività personale che non appartiene alla scuola nella
cui organizzazione l’insegnamento risulti inquadrato”. Avv. P.
Guadagni, Consulenza e assistenza in materia di diritto civile, 2009
“La libertà di insegnamento consiste nel garantire il docente
contro ogni costrizione o condizionamento da parte dei pubblici
poteri”. Enciclopedia del Diritto De Agostini
“Al riconoscimento di tale libertà corrisponde l’attribuzione di un
diritto soggettivo al singolo docente, il quale, in piena autonomia e
senza condizionamenti, proprio perché libero, deve poter decidere -
entro i limiti fissati dalla legge- sia le modalità tecnico didattiche
del proprio insegnamento, sia i valori formativi che intende
trasmettere ai propri allievi”. Federazione nazionale Gilda 2006
Impressionante la sovrapponibilità di tali proposizioni con una
concezione anarchica, che scaturisce dall’idea di un ordine fondato
sull’autonomia e sulla libertà degli individui.
L’immaturità è la prima ragione del pensiero deviante: alle scuole, a
partire dalla fine degli anni ‘60, è stata assegnata una propria,
specifica “mission” che le ha differenziate dalle università di cui,
fino ad allora, erano state sorelle minori.
“Lo sviluppo della persona umana” è la loro nuova responsabilità
istituzionale: la conoscenza, da fine dell’insegnamento, è diventata
mezzo per far evolvere, per stimolare e per promuovere le qualità
dei giovani. Nelle scuole, però, tutto si è fermato agli inizi del
novecento. I lavori di classe sono tutt’ora ancorati ai libri di testo
i cui capitoli ne scandiscono gli avanzamenti; i docenti si riparano,
velandosi, sotto il mantello degli accademici e degli editori, non
fronteggiano le responsabilità dell’insegnamento nel XXI secolo.
La mancanza di professionalità è la seconda causa della degenerazione:
il termine “scuola” non è stato sostituito con “Sistema educativo di
formazione e istruzione” per una questione di acustica, ma perché è
stata riconosciuta la complessità del suo compito che, come tale, deve
essere affrontato. Sono stati infatti individuati, definiti e
gerarchizzati i problemi di cui si sostanzia e, per ognuno di essi, è
stato costituito un soggetto responsabile della relativa soluzione.
Nei Piani dell’Offerta Formativa delle singole scuole, visibili in
rete, invece, di tale concezione non c’è alcuna traccia.
La diretta conseguenza dell’assunzione dell’ottica sistemica da parte
del legislatore riguarda il significato di “insegnamento”. Questo è da
ricercare all’interno del suo naturale campo di definizione: la
progressione formazione - educazione - istruzione - insegnamento. Prima
sono da individuare e da specificare le competenze generali che gli
studenti devono acquisire per entrare da protagonisti nel vortice della
società contemporanea, successivamente sono da ricercare e da
identificare le capacità necessarie alla maturazione e all’esercizio di
detti comportamenti, in seguito sono da individuare i saperi, le
strumentazioni idonee all’ideazione di processi d’apprendimento mirati,
infine sono da coordinare, da progettare e da realizzare gli
insegnamenti.
Si può pertanto affermare che la libertà di insegnamento si sostanzia
dell’ideazione, della gestione e del controllo dell’efficacia di
“occasioni d’apprendimento”, un mix finalizzato di problemi, argomenti,
metodi disciplinari e metodi didattici.
In tale direzione si era mosso il regolamento dei licei che ha fissato,
tra i “punti fondamentali e imprescindibili: lo studio delle discipline
in una prospettiva sistematica, storica e critica; la pratica dei
metodi di indagine propri dei diversi ambiti disciplinari; l’uso
costante del laboratorio per l’insegnamento delle discipline
scientifiche che solo la pratica didattica è in grado di integrare e
sviluppare”. Il successivo raffinamento del regolamento di riordino,
che ha condotto alla redazione delle indicazioni nazionali,
irresponsabilmente, non ha tenuto in alcuna considerazione tale
orientamento e ha riaffermato il primato della conoscenza
sull’apprendimento.
Tra gli obiettivi specifici, infatti, manca ogni riferimento alla
capacità di assumere punti di vista differenti, di modellare, di
formulare ipotesi, di operare scelte, di esercitare il controllo, di
documentare, di astrarre, di generalizzare, di leggere la realtà in
ottica sistemica...
Tale divergenza evidenzia come gli universitari, membri della
commissione ministeriale, abbiano difeso il loro dominio sulla scuola
secondaria e abbiano prefigurato un servizio in aperto contrasto con lo
spirito e con la lettera delle norme.(Enrico Maranzana da Il
Sussidiario)
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