La Sicilia è stata sempre appellata, sin dai tempi più remoti, come la terra della mafia e del banditismo. All’estero,
quando si parla di mafia, ci si riferisce spesso ai delitti commessi contro Falcone e Borsellino, ma che cos’è la mafia
e quali sono le sue origini? E il banditismo quale ruolo ha avuto in Sicilia? Se è difficile per un siciliano capire l’essenza
di questi due fenomeni, figuriamoci a metà Ottocento cosa potevano captare e come, i viaggiatori stranieri
che arrivavano in questa terra aspra e selvaggia, fatta di sequestri di persona e morti violente! Essi appartenevano
sempre alla cultura del Grand Tour, cioè il viaggiare per allargare i propri orizzonti del sapere, ma in loro, c’era
anche il desiderio di capire cosa stava succedendo in Sicilia. D’altra parte il "Times" di Londra aveva già parlato di
banditismo e mafia. Comunque è assai interessante scoprire come questi turisti più o meno sfaccendati, percorressero
le nostre strade e guardassero con curiosità quello che noi non riusciamo a vedere per abitudine, o ad
apprezzare. Questi i temi affrontati dalla Dott.ssa Maria Laura Pennisi (foto), dottoranda
del dipartimento Scienze della cultura, dell’uomo e del territorio, della Facoltà
di Lingue e Letterature Straniere di Catania presieduta dal Professore Nunzio
Famoso, alla Conferenza Annuale dell’ISHA tenutasi alla National University di
Maynooth in Irlanda, il 6 e il 7 marzo. Il convegno internazionale dell’ ISHA (Irish
Student History Association), organizzato dalla Irish Committee for Historical
Sciences, è il più importante incontro tra gli studiosi (tra ricercatori, professori, studenti
) di storia in Irlanda. Partecipano non solo le università irlandesi, ma anche
americane, inglesi, italiane ecc. Quest’anno hanno partecipato 55 studiosi provenienti
dal St. Antony’s College di Oxford, dal Mary Immaculate College di Limerick,
dalla National University di Galway, dal Trinity College di Dublino, dalla Queen’s
University di Belfast, dalla Northumbria University, dalla European University
Institute Florence, e, per la prima volta, dall’Università di Catania. I viaggiatori analizzati
dalla dottoressa Pennisi sono stati principalmente 3: Frances Elliot, Rene
Bazin e Gaston Vuillier, e tutti, sia per estrazione sociale, sia per elevazione culturale
differente, hanno dato una diversa interpretazione dei fenomeni su citati. E’
sicuramente interessante vedere come René Bazin, arrivato in Sicilia nel 1891, veda
la mafia dandone una doppia figurazione, aneddotica e sociologica. Per lui il brigantaggio siciliano è ormai inesistente,
e dimostra come una delle cause della sua nascita e sviluppo era stata la mala gestione del Regno borbonico.
Dunque uno straniero aveva saputo fare una giusta analisi della situazione, cosa non facile per un osservatore
momentaneo. La cosa però ci stupisce non in particolar modo, in quanto Bazin è figlio del suo tempo, l’epoca
naturalista, in cui fine di ogni studioso, era quello di "fotografare" la realtà, cioè di descriverla in maniera assolutamente
oggettiva. Quindi non può fare altro che giudicare ciò che vede: un mondo dove la gente è costretta a chiedere
alla mafia, il permesso per fare qualsiasi cosa ; un mondo dove la gente vede il mafioso come un vero signore
che bisogna rispettare; un mondo dove la legge vigente è l’omertà, di cui anche i bambini, sin da piccoli hanno
coscienza. E anche nei processi vige l’omertà: non si riesce, di solito, mai a scoprire chi sia l’assassino. Più attento
al problema mafia - brigantaggio, è invece G. Vuillier, giunto in Sicilia nel 1893, il quale, osservando le idee di N.
Colajanni, dà una lettura storicistica e sociologica del fenomeno
mafioso, da lui considerato un fatto nato nel Medioevo, come
forza organizzata che, continuamente oppressa dalla tirannide,
sfidava la giustizia e che non si era trasformata nel tempo e
sopravviveva ancora. Quindi è un qualcosa "che è nel sangue e,
si può dire nei costumi". Attinge anche alla letteratura locale. Parla
anche dell’omertà, tenendo conto certamente delle chiose di
Giuseppe Pitrè. La nostra Milady, Frances Elliot, invece, arrivata
in Sicilia nel 1879, sembra essere una donna molto dura e snob;
certamente è cresciuta in una realtà molto diversa da quella siciliana
per capirne realmente i problemi. Le sue affermazioni sono
quindi prive di ogni riscontro obiettivo, a differenza di quelle di
Bazin e, in fondo, ella non ha alcun interesse a capire il comportamento
dei siciliani! Lei è in Sicilia per diletto, per svago, sta
facendo un viaggio, a più di cinquanta anni, per mettere a confronto
ciò che ha studiato sui libri e la realtà che le si presenta
davanti. La sua grande fame di conoscenza arriva fino ad occuparsi
del problema mafia, di cui ha capito il codice e il potere. Per
Frances, la mafia è segno di un distacco dei siciliani dai popoli
civili. Infatti i siciliani sono da lei chiamati "pirati, squali, briganti,
bugiardi, bestie", tutti indistintamente, e sono quindi catalogati
come tali, come se non ci fosse alcuna speranza per loro e per la
loro terra. Attraverso questi stranieri che hanno visitato nella
seconda metà dell’Ottocento la nostra isola, dunque, possiamo
riscontrare quattro diversi archetipi di viaggiatore: un attento
osservatore della realtà sociale, Bazin; un profondo conoscitore -
grazie anche alla sua amicizia con G. Pitrè - della situazione isolana,
Vuillier; ed infine una nobildonna abituata a guardare dall’alto
in basso la gente del luogo, perché infarcita di preconcetti e
prevenzioni, F. Elliot. Tutto ciò è servito a far comprendere come,
in fondo, viaggi simili, possano provocare sensazioni assai differenti
in tipi umani caratterizzati da indoli diverse. Cambiano i
tempi, ma gli uomini no!
Corrado Patti da AKIS