Ogni tanto
una bella notizia in mezzo alle catastrofi - vedi gli
allagamenti in un Paese che non fa manutenzione, che costruisce
scriteriatamente cementificando il territorio - una notizia che ci
rallegra ma che ci fa anche arrabbiare, per il vuoto in cui cade e il
conto che ne tengono i politici. Parlo della lingua italiana, da molti
considerata una morticina, tanto malridotta da doverla rinvigorire
infarcendola di termini stranieri considerati prestigiosi e innovatori.
Arrivare a chiamare un ministero "Welfare" è veramente una forma di
servilismo linguistico. Ebbene, le statistiche ci dicono che questa
morticina è oggi la quarta lingua mondiale in fatto di richiesta di
apprendimento. E la sua popolarità non nasce dalla potenza economica o
militare del Paese, ma dalla sua prevalenza nel campo culturale.
Da questa popolarità possono venire molte risorse. Cosa trascuratissima
dai nostri governanti, tutti intendi a chiudere le sedi degli Istituti
di all'estero, quasi rappresentassero un atto di vanità nazionale e non
un importantissimo strumento di diffusione della nostra cultura. La
domanda di insegnamento dell'italiano all'estero è in crescita, come ha
spiegato il sottosegretario Mario Giro in un vivacissimo convegno
guidata da Marino Sinibaldi, tenutosi per volontà del ministro degli
Esteri Emma Bonino pochi giorni fa alla Farnesina. Quello che manca, ha
spiegato Simonetta Giordani, è il coordinamento fra i vari enti
pubblici e privati che insegnano l'italiano ma lavorano ciascuno per
proprio conto. "Voglio l'Italia", è stata chiamata da Marco Rossi Doria
questa richiesta in crescita, ricordando che nel 2013 si è registrato
un aumento del 5% delle visite nelle città turistiche. Da non
dimenticare poi la nuova emigrazione intellettuale, che parla un
italiano colto: scienziati, medici, ingegneri, architetti, artisti che
si fanno apprezzare per la serietà del lavoro. Pensare di togliere loro
un punto di riferimento come gli istituti di cultura è masochismo
politico.
Solo in Francia, ha spiegato Fabio Cappelli, ci sono oggi 4 milioni di
persone di origine italiana. Vogliamo dare loro l'orgoglio di una
memoria storica che appartiene all'Europa ma affonda le sue radici nel
suolo italiano? Insomma: bocciata in pieno la teoria del sangue. È un
arcaismo inconciliabile con la globalizzazione. Non si è italiani per
diritto di sangue, ma per diritto di linguaggio e di cultura, due cose
che si apprendono e fanno parte del patrimonio di un pensiero elaborato
e conquistato. E per chi crede che con la cultura non si mangia, un
dato solo: gli studenti americani che si specializzano nella nostra
lingua hanno speso l'anno scorso quasi 700 milioni nel nostro Paese. E
siamo, come specifica Paolo Fallai, "il secondo esportatore di
audiovisione in America dopo la Francia". Per non parlare della lirica,
che come ha testimoniato Tosca, è popolarissima fra i giovani di tutto
il mondo, salvo che da noi. Che dire se non: vogliamo smettere di
piangere sul nostro ombelico per mettere il naso fuori? Abbiamo
ricchezze immense che sistematicamente tentiamo di buttare dalla
finestra.
Dacia Maraini (Corriere della Sera)