Agostino d’Ippona,
ti conobbi nell’età che più di tutte tormentò anche te, la giovinezza
delle passioni che ci segna con le sue esperienze. Mi domando: possiamo
il ragazzo che fui e il giovane che oggi vedo di fronte a me, lo
studente dall’altra parte della cattedra, rispecchiarci in un uomo
dell’antichità? In te Agostino, gigante del pensiero, ma prima ancora
del vissuto umano alla ricerca inquieta della verità. Nascesti a
Tagaste, nell’attuale Algeria, perciò oggi, a prima vista, saresti un
extracomunitario, una faccia maghrebina tra le tante. A 17 anni eri già
immerso nell’ozio e nella degenerazione morale; avesti una relazione
illecita con una giovane donna e diventasti padre di Adeodato,
Adeodatus, che chiamasti così perché lo consideravi un “dono di Dio”.
Eccolo qua, dispiegato attraverso 17 secoli, come un universale
idealtipico nel tempo, il profilo del giovane di oggi: un piccolo dio
di se stesso, intrappolato nella finitezza delle proprie pretese. Monco
nella propria imperfezione ma nel frattempo anelante a qualcosa
d’infinito. Così eri tu, Augustinus, grande retore, dotato di un’arte
oratoria e sottigliezza psicologica fuori dal comune; entrambi
sostenuti da un inarrestabile bisogno di conoscere. Tu, un emblema
esistenziale nell’odierna crescente sfida educativa. Perché accanto a
tutto il resto, noi come te, da sempre, mentre la viviamo ci poniamo la
stessa domanda sul senso della vita. E perché poi? Perché da allora non
è cambiato niente: anche se crede, l’uomo ha necessità di capire. Anche
qui ci hai lasciato un insegnamento memorabile: “Prega per comprendere”.
Su questa esigenza di capire, di spiegare non si fa che citare quando
dice Pietro nella sua lettera: «Pronti sempre a rispondere a chiunque
vi domandi ragione della speranza che è in voi». Ed è sacrosanto, ma
pochi aggiungono le parole che seguono: «Tuttavia questo sia fatto con
dolcezza e rispetto, con una retta coscienza». Di questa dolcezza e
rispetto, nel loro percorso verso il capire, hanno bisogno anche i
ragazzi smarriti in cui ti rivedo oggi, Agostino. Persone che non si
vogliono riconoscere negli “adulti” logori che li circondano e di cui
si trascinano le sfiducie; nelle mamme ossessionate dai tacchi a
spillo, nei padri afflitti dal tempo che passa a cui si oppongono con
un patetico tentativo di fermalo. Come dargli torto?
Sono i ragazzi che “educo” in una scuola che si è lasciata intorpidire
dalle pratiche trasmissive che mortificano l’originalità e la
differenza, soffocando il confronto e la discussione; i tanti Agostino
anonimi che urlano dietro fugaci post lasciati su bacheche virtuali di
cui farebbero a meno se solo avessero una credibile alternativa
sociale, familiare. Quando al contrario si dà spazio al confronto si
crea relazione. I giovani sperduti nel nichilismo autolesionista sono i
primi che ne avvertono il peso insostenibile. Infatti, non tutti si
sono arresi; come non lo fosti tu. I ragazzi, più dei grandi, sono
stanchi di formule e strategie, di strutture e contenitori; ricercano
sorgenti che spargano acqua fresca sulle loro anime aride, non perché
sterili, ma perché lasciate incolte. C’è in essi, come c’era in te, una
domanda di ragioni a cui non si possono dare risposte preconfezionate.
Sono afflitti da conformismo e pessimismo striscianti (camuffati
dall’onnipotenza dei “subisci l’attimo fuggente”), nascosti dietro a un
gioco di ruoli e maschere da cui nessuno può dirsi estraneo. Ma proprio
perché è così, gli Agostino d’oggi, acuti osservatori ma indolenti
nell’azione, rifuggono da chi non sa creare relazione; da chi non sa
provare a tirare fuori il meglio da sé e dagli altri. Da chi non sa
fare incontri, da chi non ama fermarsi e salutare, stringere la mano e
sorridere con gli occhi, da chi non conosce la luminosità dell’incontro
e non è portatore di buone notizie da raccontare. Il che è faticoso,
sia ben chiaro. Di questo si accorgono in molti, perciò ci provano in
pochi.
Anche tu cercavi risposte, Agostino, con coscienza, come quando fosti
tra i manichei e dicesti: «Fu così che mi imbattei in uomini
farneticanti nella loro presunzione, carnali e parolai. Il loro cuore
era vuoto di verità. Ripetevano: “Verità, verità”. E me ne parlavano
molti, ma non la possedevano; anzi, insegnavano falsità non solo su di
Te, che sei la verità, ma anche sulla essenza del mondo». Tutti
rifuggiamo dei falsi maestri, particolarmente i giovani che più degli
adulti li riconoscono a pelle.
Gesù diceva: «Guardatevi dagli scribi, che vogliono passeggiare in
lunghe vesti e si compiacciono di essere salutati nelle piazze, di
avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti;
divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi
riceveranno una condanna più severa». Infatti, non si può dare agli
altri ciò che noi per primi non possediamo.
Alen
Custovic - Tempi.it