Antonio Socci
- “Libero”- intervista al Professore e Scrittore Alessandro
D'Avenia
Mi folgora così
Alessandro
D’Avenia. Invece la mentalità dominante vede, esalta e amplifica solo i
desideri della carne fino a renderli ossessivi, alla fine malati perché
non
appagano.
Perché anche il
piacere più
sublime, lascia alla fine insoddisfatti e soli. L’uomo è l’unica
creatura sulla
terra che non trovi in natura ciò che esaudisce totalmente il suo
desiderio e
la sua attesa.
Così bisogna vedere
le
immagini di quel milione di giovani che sono andati a Madrid per
ascoltare il
papa, a ferragosto. O quelli che la settimana prossima andranno al
Meeting di
Rimini.
Portati fin lì da
“l’amor che
move il sole e l’altre stelle”, quell’amore misterioso che fa correre
vertiginosamente le galassie, che fa ruotare i pianeti e fa vibrare
l’infinitamente piccolo. E non ci fa star quieti.
Il desiderio arde
nelle fibre
più intime di questi ragazzi arrivati a Madrid esattamente come nella
carne dei
loro coetanei di Ibiza.
Loro, però – che
magari
stavano essi pure su qualche spiaggia – sono partiti per Madrid e se lo
portano
in quelle infuocate piazze spagnole, sotto il sole cocente, perché
hanno
intuito, più o meno confusamente, che ciò che infiamma la carne, che dà
fame e
sete anche di abbracci e di baci e di amore fisico, che sembra così
forte, è
solo una piccola scintilla del vero, infinito, Amore che tutti gli
uomini
cercano.
Quel “Sommo Piacere”
(come
Dante chiama Dio) che è finalmente appagante e ristoratore.
Sono pazzi? Il
dettaglio più
impressionante delle cronache, per me, sono quei 40 gradi di
temperatura,
sommati alle altissime temperature della carne nella giovinezza.
Cosa ci dicono?
Che cercano davvero
il dolce
refrigerio, dell’unica sorgente inesauribile di acqua fresca: Gesù, “il
più
bello fra i figli degli uomini”, il cui volto hanno intravisto fra la
folla.
E lo stanno cercando
soprattutto perché hanno saputo che Lui sta cercando loro, ciascuno di
loro,
chiamando ognuno per nome.
Perché sono
affascinati da
questa notizia?
Alessandro D’Avenia,
autore di
un romanzo bellissimo, “Bianca come il latte, rossa come il sangue”
(Mondadori), che è il vero caso editoriale di questi anni, ama appunto
raccontare gli adolescenti, i quali saranno al centro pure del suo
prossimo
romanzo, “Cose che nessuno sa”, in uscita a novembre: “quella è l’età
nella
quale le cose sono nude, senza sfumature. Dunque è una straordinaria
lente di
ingrandimento di ciò che veramente interessa a uomini e donne: la
scoperta di
sé come corpo e come anima”.
Aggiunge: “ogni
stagione della
vita è un po’ come la nascita: in ogni stagione veniamo un po’ alla
luce e ci
facciamo un pianto. Ma mentre il primo pianto, quello della nascita,
passa con
l’abbraccio della madre, quando si diventa adolescenti si viene alla
luce con
un dolore ancor più vivo a lenire e confortare il quale non bastano più
la
mamma e il babbo”.
E dunque?
“Allora sei
costretto a
toccare con mano la tua solitudine, quindi scopri la bruciante
necessità
dell’altro, dell’amicizia, dell’amore”.
Anche nella ricerca
del corpo
dell’altro, che è una scoperta che incanta, si cerca quell’abbraccio
che fa
sentire “a casa”, che fa ritrovare se stessi.
Ma paradossalmente
si trova in
realtà un altro “io” che anche lui, brancolando nel buio, cerca di
lenire il
suo dolore e cerca la sua anima e così è una miscela esplosiva, perché
può
essere una grande avventura di verità, ma pure un’esperienza che
provoca nuove
ferite.
O spesso tutte e due
le cose
insieme.
D’Avenia però
sottolinea il
positivo: che in questa stagione della vita c’è la verità di noi, siamo
allo
stato creaturale, nudi, col nostro splendore e la nostra povertà.
“Mi ha colpito” dice
“un
pensiero di Benedetto XVI che ha detto: la giovinezza è l’età in cui
capire
cosa mantenere quando la giovinezza finisce. E’ così, perché poi
l’abitudine
dissecca l’anima e si perde quell’antica freschezza”.
A D’Avenia – che pur
essendo
un professore e uno scrittore è molto giovane (ha solo 34 anni) e che
ha
partecipato a due “Giornate mondiali della gioventù” – domando perché i
media
fanno così fatica a raccontare un evento come quello che porta un
milione di giovani
a Madrid a ferragosto.
“Perché dall’esterno
vedi solo
un movimento di masse giovanili simile a quello dei concerti rock. Però
dovrebbero almeno cogliere la diversità. Perché qui i ragazzi sono
sorridenti e
quieti?”
E’ vero, non hanno
bisogno di
urlare o sballarsi, non lasciano sporcizia e non spaccano, non cercano
di
lenire il dolore della vita affogandosi nel gruppo.
“Perché qui non si
tratta di
consumare un’emozione e stop. C’è qualcosa che sfugge al colpo
d’occhio”.
Forse perché è una
domanda che
si agita nella singolarità, unica e irripetibile, di ogni cuore?
“Sì. Perché è un
evento di
massa, ma è tutto e solo personale. Pur fra un milione di coetanei ti
sembra
che Qualcuno ti stia dando del ‘tu’ e questo non accade con il cantante
rock
che urla sul palco. Qui, allo stesso tempo, siamo insieme, ma anche in
un
solitario faccia a faccia col Mistero”.
La mia sensazione è
che sia
proprio questa sincerità, questa nudità personale di fronte alla vita,
alla
morte, all’amore e a Dio, il materiale altamente infiammabile che i
media non
sono capaci di trattare.
Li imbarazza. Non
sono
attrezzati. Fuggono spaventati.
Perciò, come
scriveva Rilke:
“Tutto cospira a tacere di noi/ un po’ come si tace un’onta/ forse un
po’ come
si tace/ una speranza ineffabile”.
Dio e la propria
infelicità
personale sono l’unico argomento di fronte al quale l’intellettuale
medio si
ritrae scandalizzato come le signorine perbene facevano una volta se si
parlava
di sesso.
Forse è per questo
che anche
il successo del romanzo di D’Avenia –
che ha colpito tanti giovani – è stato accolto da un certo imbarazzo
dei media
e dei salotti letterari. Omaggi frettolosi alla qualità della
scrittura, ma poi
via a gambe levate a chiacchierare dei soliti romanzetti conformisti su
questi
nostri anni tristi.
D’Avenia
mi spiega: “alcune persone, addetti
ai lavori, molto attenti, mi hanno detto: lei ha scritto un romanzo
trasgressivo. Ah, bene, ho detto. E perché? Mi hanno risposto: il libro
parla
di un professore che ama il suo lavoro, di dolore e di Dio. E’ vero, ho
pensato, la vita ordinaria è diventata la vera trasgressione”.
Io ho sentito
parlare molto di
“Bianca come il latte, rossa come il sangue”. L’ho letto però quando mi
è stato
consigliato da mio figlio di 14 anni che mi ha detto: “leggilo. Mi ha
cambiato
la vita!”. E mi ha stupito che tutti i suoi amici lo avessero letto e
ne
fossero rimasti affascinati. Questi sono fenomeni importanti.
“Anche a me” dice
D’Avenia
“colpiscono molto le lettere che ricevo dai ragazzi ed è bellissimo
incontrarli
quando mi invitano a parlare del libro nelle scuole”.
Perché?
“Sono straordinari.
Loro si
sentono autorizzati ad andare subito al cuore del problema e non si
vergognano
di chiedermi durante queste assemblee: ‘che rapporti hai con Dio?’,
‘perché mia
mamma si è ammalata di tumore?’, ‘perché mio fratello si droga?’. Loro
hanno il
coraggio di tirar fuori questo. E tantissimi ragazzi dicono di volere
un amore
grande come quello di Leo per Beatrice”.
Malgrado la
rappresentazione
mediatica della realtà che invita i giovani a prendere, consumare e
buttare
l’amore come una lattina di Coca Cola?
“Malgrado questo
quell’amore
che è ‘per sempre’ lo desiderano tutti, è ciò che il cuore di tutti
brama”.
E siccome si ha
paura di
guardare dentro il proprio cuore si evita di fare i conti con chi ti
parla di
te, fino al punto di protestare – come
fanno gli “indignados” in Spagna –
contro i giovani venuti dal Papa.
Con tutti i problemi
che ha
provocato Zapatero, vanno a protestare contro la giovinezza.
L’ideologia è
capace pure di scioperare contro la primavera.