Sospendere gli insegnanti
che fanno politica in classe? Sorge qualche perplessità. Non tanto
perché la Cgil ha immediatamente alzato le barricate, o perché certi
parlamentari della sinistra si sono subito stracciati le vesti; è
inutile che facciano gli scandalizzati fingendo che sia l’ennesimo
attacco del centrodestra alla scuola “pubblica”... Si sa che accade, ed
è cosa che non dovrebbe accadere. Tuttavia, non è così che si risolve
il
problema.
È un problema antico, forse quanto la scuola stessa. La
tentazione di formare le giovani menti piegandole alle proprie idee è
sempre esistita, e non solo nei singoli insegnanti. In qualche caso è
diventata quasi parte del sistema. Pensiamo a com’è nata, per esempio,
la scuola statale italiana: “Fatta l’Italia, facciamo gli italiani!”. E
giù a chiudere le istituzioni educative cattoliche. Non è forse un
programma politico divenuto sistema? È innegabile, tanto più che - come
la storia ci insegna - il dibattito per una scuola improntata a valori
laici(sti) e civili che escludessero - per esempio - qualsiasi apertura
alla dimensione religiosa, ha accompagnato sin dall’inizio (e
accompagna tuttora in molti casi) il cammino del nostro sistema
nazionale di istruzione. Non è politica, questa?
È normale, verrebbe da dire. Rassegnamoci. E poi, bisogna capirlo, non
è questo il pericolo più grande. Ogni docente, nel proprio modo di
essere, di rapportarsi agli alunni, di impostare il programma
scegliendo o privilegiando determinati aspetti, di selezionare certe
parti e scartarne altre, comunica inevitabilmente il proprio modo di
vedere le cose, il proprio pensiero. Anche quello politico, perché no?
E allora, è quasi meglio che la cosa sia esplicita. Come insegnante, ho
avuto colleghi - stimatissimi e stimabilissimi - che non facevano
mistero coi ragazzi della loro appartenenza politica e spesso ne
dibattevano con loro. In qualche caso sfiorando il ridicolo, come
quello del prof. che si definiva “maoista” e portava sempre con sé,
nella borsa insieme ai registri e al materiale per l’insegnamento, il
famoso libretto rosso. Qualche ragazzo si indignava, qualcun altro ci
rideva su e lo prendeva per i fondelli; altri, forse, l’avranno seguito
convinti che Mao fosse un grande benefattore dell’umanità. Ma, ripeto,
il pericolo più grande non è questo; è, semmai, quando la questione si
gioca occultamente, le famiglie non lo sanno e i giovani “assorbono”
senza capire e senza scegliere.
Ricordo, quando ero al liceo, un docente di italiano di grande fascino.
Preparato, solido, capace di dominare la situazione e di appassionare
alla letteratura. Sempre con la sigaretta in bocca (allora si
poteva...), otteneva l’attenzione e il silenzio, anche da parte dei più
agitati, con l’ironia e qualche sferzante battuta. Era sindaco di un
paese vicino a Rimini, ovviamente un comune “rosso”. In pochi mesi
divenne un “mito” per tutti noi, e i suoi motti correvano di bocca in
bocca. Non faceva politica apertamente in classe, ma - lo capisco a
posteriori - il suo pensiero scorreva sotterraneo nella letteratura, in
certe affermazioni, nel modo di approcciare le cose. E noi eravamo
affascinati, lo avremmo seguito ovunque. Per fortuna stette solo un
anno.
No, non si risolve la questione con le sospensioni. Va affrontata,
certo, ma non così. È una questione analoga a quella dei libri di
testo. Possiamo forse pensare di mettere all’indice tutti i libri
scolastici che storpiano la realtà storica, scientifica, umanistica,
giuridica, eccetera? Non scherziamo, rimarrebbe ben poco. È inutile,
anche in questo caso, che si finga che non sia vero; gli esempi sono
innumerevoli, già dalle elementari. Comunque, la libertà degli editori
di stampare le scempiaggini che vogliono non si può togliere, su questo
hanno ragione.
Allora, come si fa? È semplice: restituiamo alle famiglie la
possibilità/responsabilità di scegliere, a vera parità di condizioni, a
chi affidare la formazione/educazione scolastica dei propri figli,
senza fare mistero dell’identità del soggetto educante.
La scuola di Stato, per sua natura, è e sarà sempre così: luogo di
molteplici identità e idealità, di discordanti idee politiche, di
possibile e probabile comunicazione di valori contrastanti con quelli
della famiglia. Non è pensabile e non è ragionevole un controllo a
tutti i livelli. Se i genitori desiderano per i figli un luogo e degli
insegnanti così, sapendo bene qual è la situazione, hanno il sacrosanto
diritto di mandarglieli. Ma se altri non lo desiderano e cercano scuole
che rispettino i propri valori, devono avere delle alternative valide e
a parità di condizioni economiche. È un diritto altrettanto sacrosanto.
E la libertà di scegliere, ancora una volta, è l’unica soluzione. Chi
governa ne tenga conto, invece di proporre soluzioni impraticabili e
irragionevoli; e chi si straccia le vesti, per favore, ci risparmi lo
spettacolo. (di Marco Lepore da Il sussidiario.net)
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