Il mito del
«posto fisso», il pubblico dipendente inamovibile, intrasferibile, non
licenziabile, potrebbe tramontare. Il condizionale è d’obbligo, visti i
precedenti tentativi di riforma. Ma i germi del cambiamento nei
provvedimenti sulla Pubblica amministrazione approvati venerdì 13 dal
governo Renzi, ci sono tutti. Una delle misure, passata quasi
inosservata, è per esempio quella del «demansionamento» dei dipendenti
statali.
Un lavoratore considerato in «eccesso» nella sua amministrazione, per
salvare il suo posto di lavoro ed evitare di essere trasformato in un
esubero ed essere alla fine licenziato, potrà scegliere di di essere
ricollocato in un’altra amministrazione a svolgere una nuova mansione,
anche inferiore a quella svolta fino al giorno prima.
Lo stesso principio vale anche all’interno della stessa
amministrazione. Un esempio, a caso, potrebbe essere quello
dell’infermiere degradato a portantino. Chi accetterà la mansione
inferiore per non essere messo in esubero dovrà anche accettare di
guadagnare meno.
TUTTE LE MISURE
Per attuare il demansionamento la riforma della pubblica
amministrazione proposta dal ministro della funzione pubblica Maria
Anna Madìa, prevede l’introduzione di un’eccezione all’articolo 2103
del Codice civile, che prevede che un lavoratore «deve essere adibito
alle mansioni per le quali è stato assunto» oppure «a quelle
corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente
acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente
svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione».
Non è come detto l’unica norma in grado di modificare quelli che fino
ad oggi erano considerato postulati immodificabili del lavoro pubblico.
Anche le norme sulla mobilità obbligatoria degli statali sono molto
incisive. Le sedi della amministrazioni pubbliche che si trovano nello
stesso Comune di quella in cui è impiegato il lavoratore, saranno
considerate una unica «unità produttiva». E lo stesso discorso sarà
valido per quelle che si trovano ad una distanza fino a 50 chilometri.
Significa che ogni lavoratore, in questo raggio, potrà essere spostato
da una sede all’altra dell’amministrazione (statale o locale che sia)
come se venisse trasferito da un piano all’altro dello stesso stabile.
In pratica la stessa regola che oggi vale per i lavoratori del privato.
Alle proposte di trasferimento sarà difficile dire no, perché, come nel
caso del demansionamento, l’alternativa è passare da una condizione di
personale in eccesso a personale in esubero, con tutte le conseguenze
che questo comporta. Se per i dipendenti e i funzionari la
licenziabilità, altro tabù della pubblica amministrazione, sarà legato
solo ai possibili esuberi, per i dirigenti, invece, la tagliola è più
concreta. Chi resterà senza un incarico sarà messo fuori ruolo e
percepirà solo la parte fissa della sua retribuzione. Dopo un certo
numero di anni durante i quali il dirigente non riesce a ricollocarsi
all’interno dei ranghi dell’amministrazione, potrà vedere sciolto il
suo rapporto di lavoro.
Andrea Bassi
Economia.ilmessaggero.it