CONDANNATO ALLA LETTURA: PERCHE' CALVINO E RIGONI STERN?
Data: Venerd́, 15 febbraio 2008 ore 15:34:04 CET
Argomento: Comunicati


 

Condannato alla lettura Sì, è accaduto: un diciassettenne che aveva rubato quattro libri a un antiquario, è stato condannato dal giudice alla lettura del Marcovaldo di Calvino, del Sergente nella neve di Rigoni Stern e di altri due libri a scelta. È accaduto all'Aquila .
Condannato a leggere per avere rubato dei libri. La decisione è del giudice per le udienze preliminari del tribunale dei minorenni dell'Aquila, Federico Eramo, che ha deciso di impartire una lezione a un diciassettenne di Pescara sorpreso a rubare. Per evitare il quasi certo rinvio a giudizio con l'accusa di furto il ragazzo è stato "condannato" a leggere quattro opere di narrativa e a chiedere scusa all'antiquario pescarese al quale aveva sottratto quattro volumi molto rari.
Il giudice, che è figlio di una bibliotecaria, non si è limitato a infliggere la "pena" ma ha indicato anche i titoli di due dei quattro volumi da leggere entro dicembre. Gli altri due saranno scelti a piacere dal condannato. Quelli obbligatori sono Marcovaldo di Italo Calvino e Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern. Il ragazzo dovrà anche dimostrare di aver assimilato adeguatamente il contenuto dei due libri.
Ma perché il giudice ha scelto Calvino e Rigoni Stern? «Sono libri molto diffusi nelle scuole – risponde Federico Eramo – e costituiscono un ottimo strumento educativo. Ricordo di aver letto Marcovaldo in gioventù e di averlo trovato interessante. Il sergente nella neve, inoltre, è un testo in cui l’autore descrive la sofferenza e credo che possa essere d’insegnamento per i giovani. E poi non volevo fargli leggere i volumi che aveva rubato, è roba da studiosi». Al ragazzo sono stati trovati un codice del Regno delle Due Sicilie, una raccolta di poesie di Carlo Maria Maggi, la Oratio a Papa Urbano VIII e un libro di storia del 1769.
Che tipo di insegnamento potrà trarre il giovane dalla lettura di questi libri? «Ho una grande considerazione della lettura in genere – puntualizza il magistrato – poiché credo che possa lasciare un segno nell’animo di ognuno. Un furto di libri non può essere paragonato al furto di motorini. Il giovanotto si renderà conto che i testi letterari non sono solo merce ma hanno un valore che va al di là di quello commerciale. È questo lo spirito della prova». A questo stesso sistema si ispirava anche Che Guevara che puniva i suoi luogotenenti Pombo e Urbano obbligandoli a leggere i capolavori della letteratura mondiale. E a leggerli bene.
Nel caso del giovane pescarese sarà il giudice stesso a vigilare sull’avvenuta lettura: «Verificherò che la lettura sia stata approfondita – conclude Eramo – altrimenti il ragazzo verrà processato». Il diciassettenne dovrà chiedere scusa al derubato ed evitare cattive compagnie. Per questo sarà tenuto sotto controllo da un assistente sociale.(Da La Repubblica) Maria Allo


Un autore da avvicinare nel periodo post adolescenza inizio giovinezza? Calvino sì, forse

 

Non cerco una sintesi, non si può ridurre la letteratura. La letteratura parla per sé non in sé, con tutto il portato di evidenti paradossi e reciproche ripetizioni. Chi copia chi è comunque arduo da stabilire, quello che si può fare più agevolmente è delimitare stili e aggregare generi. In questo Calvino non si discosta molto da quello che altri autori hanno fatto. Tendenzialmente orientato a raccontare in uno stile epico, non può essere tuttavia considerato un autore fantastico perché manca di effettiva inventiva nella ri-configurazione e codifica di universi alternativi. Riscrive epicamente le gesta quotidiane, e questo è già letteratura, ma non inventa niente.
Calvino non è un autore totale, un genio della realtà ri-costruita, “di quelli a cui vorresti telefonare per parlarci” come diceva il giovane Holden (che non c’entra nulla con Baricco, come sappiamo), ma un autore di formazione di quelli che leggi per entrare in un certo mondo, quello dei grandi. Ti dà le chiavi per vedere in un certo modo, sottostando categoricamente al portato stilistico del primo dopoguerra.
Colto, raffinato, un uomo di immagine: senza dubbio. Un autore che non può essere considerato senza considerare la sua vita di intellettuale organico impegnato nella costruzione di un modello culturale preciso.
Poi, improvvisamente, venendo a mancare la spinta dal basso, leggasi rivoluzione (alla quale fra l’altro non si può pensare che lui stesso credesse), il modello culturale della sinistra italiana come conduttore di cambiamenti totali, è piombato in una convalescenza lunga tutti gli anni 70 e 80.
Il progetto è ripartito, con i disinganni del caso e con prospettive diverse, con gli anni 90 per poi arenarsi di nuovo di fronte ad una recrudescenza del rampantismo da un lato e alla limitatezza degli orizzonti dall’altro (non mi riferisco alla sinistra di governo: a buon intenditore….).
Fissato a sommi capi il contesto, è necessario scavare nella produzione di Calvino per cercare di classificarlo, perché capirlo non è poi così difficile.
Calvino - secondo me, è un po’ il Bukowski della letteratura italiana. Poco originale in tutto, fortemente ancorato su standard che altri hanno introdotto - non può essere considerato geniale ma ottimo sì.
Come Bukowski è una lettura da avvicinare nel periodo post adolescenza - inizio giovinezza, diciamo dai diciassette ai vent'anni. Dopo i vent'anni, se cogli in quelle pagine emozioni formidabili, vuol dire che sei ancora un po’ immaturo ma rispettabilissimo. Se non senti nulla di particolarmente significativo ma ti orienti nelle metafore e sorridi al grottesco, vuol dire che cominci a capire qualcosa.
Se non provi nulla di tutto ciò ma analizzi con parsimonia ogni ovvietà, probabilmente ti stai avviando ad una carriera da critico letterario ma non è che sei poi tanto simpatico.
La costruzione del prodotto editoriale di successo è sempre programmata con intelligenza. Dopo tutto è Calvino stesso ad ammettere che il su primo romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno, è stato scritto in venticinque giorni su invito di Pavese, dopo l’avvallo da parte della Einaudi.
In questo il Calvino narratore è sì esemplare per stile ma nel contempo poco incline all'innovazione. Inserito in un quadro già fatto, partecipe di un progetto: costruisce il prodotto con la sapienza dell’artigiano ma non con la genialità dell’artista.
Un po’ Bukowski che al di là del maledettismo cronico (peraltro ereditato e riprodotto) di certa letteratura americana, non fa altro che rileggere Miller e adattarlo agli anni 60. Indice di poca perseveranza verso l’innovazione è il fatto che si chiude nel mondo alcolico senza sondare quello degli stupefacenti che in quegli anni spopolano. Anche lui si muove in un modello.
Il passo seguente per Calvino è la trilogia composta dagli acclamati Il barone rampante, Il visconte dimezzato e Il cavaliere inesistente. È una saga ben orchestrata, con chiari tentativi di indottrinamento ideologico che però appare troppo lunga e alla fine stanca. Dopo aver finito il terzo romanzo sullo stesso genere, sei da un lato contento per non essere uscito del tutto dal contesto dell’epicità dei racconti ma dall’altro lato ti accorgi che qualcosa manca. È come un amore giovanile durato troppo che diventa noioso nel momento in cui i giovani amanti vogliono fingersi grandi accasandosi rispettivamente e presentandosi alle famiglie. Sì, rimane l’affetto, ma qualcosa sfuma irrimediabilmente.
Secondo me bastava un solo romanzo del genere, senza voler strafare con la trilogia, che irrimediabilmente appare come un'imposizione di mercato.
Meglio sarebbe stato fermarsi in tempo, come un grande di quel periodo ha effettivamente fatto. Il Paolo Monelli delle Scarpe al sole (Cappelli, Bologna, 1921) è l’esempio che, accostato a Calvino, fa vedere come le cose potevano andare. Non a caso questo giornalista quasi miope si impone con un bellissimo romanzo di guerra (la prima guerra mondiale) per poi rifuggire la logica del prodotto editoriale ripetibile e ritornare al giornalismo. L’umiltà di riconoscere di non aver altro da dire su quegli argomenti ne fa un apprezzabile, quanto bistrattato, maestro del Novecento. Calvino lo cita a proposito delle olimpiadi di Helsinki del 1956 ma solo in considerazione del fatto che si tratta di un ottimo giornalista.
La produzione saggistica conferma l’impostazione dell’intellettuale inquadrato in un modello ben definito. Collezione di sabbia e Lezioni americane sono sintesi ben congeniate e riproducono sensazioni condivisibili. Non peccano in nulla in quanto a critica ragionata e spunto di riflessione sul contemporaneo, frutti anche questi dell'appartenenza a un contesto che si propone un’alternativa.
Preferisco, fra tutti, il posteriore Eremita a Parigi, che, per uno strano gioco editoriale, racchiude il Diario americano. È un esempio efficace di come scrivere di sé e forse per sé. Non per un pubblico identificato e fedele.
Analizzando l’America degli anni 50 attraverso poche pagine Calvino offre una lettura illuminante dell’editoria americana e del mondo culturale del periodo beat. Punta il dito con distacco e seleziona il buono che c’è, in un mondo che riconosce, con una punta di malinconia, come più avanzato del nostro dal punto di vista dell’industria culturale.
Sorvolo su Palomar. Non riesco a trovarvi nulla di interessante se non il pezzo sui formaggi francesi, per ovvi motivi di simpatia gastronomica.
I racconti, secondo me, sono la più bella prova letteraria di Calvino. Non mi piace Marcovaldo, troppo didattico. Sono invece sempre affascinato dalle varie raccolte, ripubblicate negli Oscar negli anni successivi alla scomparsa dell’autore.
Semplici ed efficaci disegnano mondi godibili. Sembrano l’eterno frutto di una fatica giovanile. Anche qui si ritrova il tentativo epico della descrizione ma essendo prodotti corti, rendono meglio.
È vero che rielaborano spesso gli esempi di autori stranieri più efficaci e grandi dello stesso Calvino ma, bagnati nel contesto del modello culturale della sinistra istituzionale, ritrovano vigore e non mancano di spunti originali.
Torno però al punto di partenza. Li ho goduti a vent'anni, non dopo. Più che altro li ho usati per entrare in un mondo, anche se diverso da quello immaginato dalla retorica di sinistra di quegli anni, che corrisponde all’età adulta vissuta in questi anni.
Per entrarvi non mi sono pentito di aver utilizzato Calvino e Bukowski, come del resto Hemingway, Marquez, Conrad, London e altri. Poi, scavando, da lettore più maturo, ho avvicinato altri.

di Emauele Fontana


 







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