Magnifici ragazzi
«Ai nostri tempi i ragazzi
erano diversi». Quante volte
abbiamo sentito frasi del genere.
Troppe! E ogni volta
esauriamo il problema in
maniera rassegnata come se
non esistessero risposte e soluzioni,
dimenticando in ciò
che i nostri figli sono i frutti
e noi adulti siamo gli alberi.
Le soluzioni in verità ci sono
e guarda caso sono gli adolescenti
che ce le indicano, anche
se paradossalmente sono
proprio gli adulti che le
rifiutano categoricamente.
«La Sicilia» un anno e mezzo
fa lanciò un documento firmato
da centinaia di intellettuali
dove si confermava
l’incapacità da parte di genitori,
ed in generale
degli educatori,
a saper trasmettere
riferimenti
educativi e valoriali,
in altre parole
certezze e verità.
Le risposte del preside
e di 28 professori
dello «Spedalieri» non ci hanno
per niente sorpreso
perché dubbio e
incertezza su ogni
cosa sono diventati
elementi di merito
e bandiere da
sventolare, nonostante
le concrete
esperienze dimostrino
che con questa
filosofia di vita
si è giunti all’autodistruzione
e alla
violenza sistematica verso se
stessi e verso il prossimo.
Un certo mondo iper-ideologizzato
o comunque succube
inconsapevole della
cultura relativista, continua
ostinatamente ad affermare
che «non si hanno verità da
trasmettere», continuando
così a proporre piatti avvelenati
per le generazioni successive.
Le nuove generazioni nel
frattempo ci mandano segnali
eloquenti. Per esempio,
nell’indagine condotta
dall’Idis nelle scuole siciliane
nel 2005, la famiglia è giudicata
positivamente (82,5%)
soprattutto dai ragazzi che
dichiarano di accettare le regole
e di avere progetti per il
futuro.
Invece, il disagio emerge forte
soprattutto dove sono
presenti tendenze trasgressive
e là dove la pedagogia
familiare è improntata all’accondiscendenza,
anche etica,
o alla mancanza di dialogo.
Anche gli esempi che ci vengono
dalla cronaca confermano
queste tendenze: gli
adolescenti che trasmettono
tramite mms le loro scene di
sesso sono la prova di una
generazione che non ha riferimenti
e soprattutto che è
invasa dal «nulla».
«Nelle loro coscienze si è
perso il carattere del "delitto"
e si è assunto paradossalmente
il carattere del "diritto"
» per usare le parole di
Giovanni Paolo II.
Invece l’invocazione di aiuto
dei magnifici ragazzi dello
«Spedalieri» va colta come
segno di speranza; i liceali
catanesi ci chiedono certezze
sulle grandi domande
dell’uomo circa la scienza, la
cultura, il lavoro, l’arte, la vita
sociale, l’amore, la società
e la politica, ma in particolare
ci chiedono la verità sulla
persona umana, il senso della
vita, del nascere e del morire.
Alle obsolete tesi dei maestri
del pensiero post sessantottino
ci sentiamo di rispondere
con le parole di
Giovanni Paolo II: che si lavori
per «riconoscere la legge
morale obiettiva, in quanto
legge naturale iscritta nel
cuore di ogni uomo».
ON. ALESSANDRO PAGANO
già assessore regionale alla
Pubblica Istruzione
(da www.lasicilia.it)
«Volevano insegnato
il valore della vita»
Ma guarda un po’ in che guai si son cacciati gli studenti
dello "Spedalieri" per una semplice quanto
garbatamente appassionata e sincera letterina
scritta ai loro professori e pubblicata - ahimè - sul
quotidiano La Sicilia, il 15 febbraio. E che? Non lo
sanno ’sti ragazzi che con i prof. non si scherza mica
e non si interloquisce così? Parlar loro per mezzo
stampa non è poi il massimo della civiltà della
parola! E poi, come è venuto in mente agli scolari
di fare certe domande e per giunta in pubblico?
Pensavano, forse, che la scuola sia il luogo di trovare
risposte? E massime dai professori? O imperdonabile
impudenza di giovanil candore! Sto scherzando,
ragazzi! Suvvia non ve la prendete. Lo so
che non avete fatto nulla di male. Anzi: non è forse
la democrazia discussione? Ed essa non nasce
forse dal reciproco domandarsi del perché e del per
come delle cose? Non è la scuola il luogo dove si
pongono domande e - perché no - si aspettano risposte?
Forse avete posto domande troppo impegnative
e i vostri professori - almeno alcuni di loro,
anche se i più volenterosi - non se la son sentita di
rispondere, piuttosto si sono proprio incavolati e
tanto annebbiata la vista da scambiare la vostra domanda
di aiuto "a trovare il senso del vivere e del
morire" in domanda di Verità con la V maiuscola!
Da qui, forse, il traumatico disorientamento con risentita
corrispettiva risposta.
Cari colleghi, c’è un equivoco! Gli studenti che vi
hanno scritto quella lettera sospettano di tutti i
"profeti" veri o falsi che siano. I nostri giovani studenti
non vogliono essere "i soldatini di piombo" di
nessuna crociata cattolico-integralista o edonistico-
consumistica, né tanto meno si "esaltano per le
verità rivelate" - come dite voi - (La Sicilia, 4 marzo).
Vogliono più semplicemente essere persone
prese "più sul serio". Quella che loro chiedono
proprio non è la "Verità" che avete voluta intendere
voi! Al contrario, codesta "Verità" rifiutano come
quella che si esprime in "codici di credenze e comportamenti
astratti, come i catechismi, cattolici o
laici che siano" (G. Zagrebelsky).
La domanda di "felicità e di verità" che i ragazzi si
sono vista censurare è quella che si incarna in ogni
essere umano, che agisce dall’interno delle coscienze,
che incalza, che spasima e che procede come
ricerca del "senso della vita e della morte" che,
tra tutte le domande, è la prima! E non è una domanda
teologica ma filosofica, come quella, per
esempio, che si chiede: Perché vi è, in generale,
l’essente e non il nulla? Orbene, sentirsi rispondere
da educatori: "Non possiamo, né vogliamo (sic!)
darvi delle risposte", questa, per me, in verità è
"barbarie": un farfugliare furbastro che non ha
niente a che vedere con la "scuola pubblica, cioè
democratica e laica". Una barbarie ideologica al limite
della deriva nichilistica.
I giovani chiedevano, dopo la tragedia consumatasi
allo stadio di Catania il 2 febbraio, di "avere bisogno
di qualcuno che li aiutasse a trovare il senso del
vivere e del morire", qualcuno che "non censurasse
la loro domanda di felicità e di verità". Chiedevano
ai loro docenti educatori, alla scuola di spiegargli
perché si debba morire per una partita di
pallone, che senso ha più la vita quando manca il
rispetto della persona, quando, nulla essendo più
certo, tutto diventa lecito. E non è domanda questa
teologica, ma struggentemente esistenziale, filosofica.
Sentirsi rispondere da parte di educatori: "È
meglio accontentarsi di altre verità più modeste e
meno entusiasmanti, quelle che si conquistano faticosamente,
a poco a poco e senza scorciatoie,
con lo studio, la discussione, il ragionamento, e che
possono essere verificate e provate", questa per me
è la risposta più generica e bassa come profilo culturale
che la scuola come comunità educante possa
dare a dei giovani in cerca della loro crescita
umana e culturale. Volevano insegnato il valore
della vita in un giorno in cui avevano visto la vita di
un povero poliziotto sacrificata sull’altare di una
partita di calcio, ma "la scuola pubblica democratica
e laica", ha risposto che ognuno se lo cerchi per
conto suo il valore della vita "tramite lo studio del
cammino culturale dell’uomo sociale" (sic!). Parole
queste sì da far perdere agli alunni "il gusto del
vivere" a scuola!
ANTONINO PALUMBO
(da www.lasicilia.it)