Quando la vita chiama la vita. Intervista a Giuseppe Mammoliti, una delle guide autorizzate dell’Etna, fratello del ragazzo siciliano tragicamente scomparso di recente
Data: Domenica, 15 ottobre 2023 ore 08:00:00 CEST Argomento: Redazione
“Ciò che dà senso alla
vita, lo dà anche alla morte”. Le parole di Antoine de
Saint-Exupéry
sembrano calzare alla perfezione al caso di un giovane di 38 anni,
colto da
improvviso malore, prematuramente scomparso, la cui vita, nel fiore
degli anni,
è stata inaspettatamente falcidiata, senza preavviso, lasciando
attoniti
familiari (in particolare i genitori Luigi e Rosellina) come pure il
fratello Giuseppe,
la storica fidanzata Ivana, gli amici di tutta una vita, i colleghi di
lavoro.
Ma
la storia di Marco
Mammoliti, di origini messinesi, nonostante il tragico epilogo che
sembrerebbe
accomunarlo all’insensatezza delle tante vite umane spezzate che
pullulano la
cronaca, si discosta, ha un finale inedito, aprendo nuovi scenari e
ricordandoci
che in fondo, per dirla con Ralph Emerson, “la vita è un viaggio, non
una
destinazione”. In “Gradini” anche Herman Hesse afferma che “dobbiamo
attraversare spazi e spazi, senza fermare in alcun d’essi il piede, lo
spirto
universal non vuol legarci, ma su di grado in grado sollevarci”. È
forse questo
il destino di quella umanità eletta che tenta il riscatto per sé e per
gli
altri. Ed è il caso di Marco, il quale, tanto in vita e ancor più oltre
la
vita, diviene paradigma per amplificare quanto di più eroico e nobile
si celi
nel cuore umano: una vita che chiama altre vite, le nutre. Il
sacrificio di uno
per il beneficio di molti. Tutti i “gradini” sono stati affrontati.
L’elevazione di una salita che, con una vita più lunga ma ordinaria,
con ogni
probabilità, non avrebbe potuto toccare la cima.
Pure Bertold Brecht
riteneva che “non bisogna temere tanto la morte, quanto piuttosto una
vita non
all’altezza”. Ma per comprendere più a fondo l’esistenza e le scelte
etiche che
stanno a monte di tale visione, abbiamo incontrato il fratello del
nostro
protagonista, Giuseppe Mammoliti, che opera tra l’altro come
guida
autorizzata dell’Etna a tutela del patrimonio siciliano.
Albert
Camus soleva asserire che “C’è una vita e c’è una morte, e in mezzo ci
sono
bellezza e malinconia”. Giuseppe, quali sono i ricordi che conservi
relativi al
modo di essere di tuo fratello e al legame che vi univa?
Il
suo modo di essere era
lampante, chiaro ed istintivamente intuibile. Bastava guardare i suoi
occhi, il
suo sorriso e le sue espressioni, tutto emanava dolcezza, gentilezza e
soprattutto grande sensibilità. Può apparire una risposta scontata,
data da un
fratello carico di dolore, ma è proprio così. Sempre attento a non dar
fastidio, a non arrecare disturbo, Marco era una persona rara, con una
sconfinata dose di altruismo e generosità, e tutto l’affetto e
il dolore, manifestato da tantissime persone, anche da chi
lo
conosceva appena, ne è la prova! Noi eravamo praticamente una persona
sola,
nonostante fosse più piccolo, per me era ed è un faro. Cercavo
costantemente un
suo parere, un suo consiglio sulle cose importanti. Il suo giudizio mi
serviva
per sentirmi più sicuro, per avere la certezza che avevo fatto la cosa
giusta.
Era capace di trasmettere una tranquillità assoluta e, anche nei
momenti più
burrascosi, quelli in cui facilmente si perde la lucidità, lui era lì,
pronto a
riportare la “barca verso lidi calmi e sicuri”. Questo era Marco, punto
di
riferimento di tutta la sua famiglia e di tante altre persone.
Abbiamo
appreso da Ugo Foscolo che “Un uomo non muore mai se c’è qualcuno che
lo
ricorda”. Già in vita Marco era destinato a essere ricordato in quanto
benvoluto e stimato da tutti, nella vita pubblica e lavorativa come nel
trascorso privato, secondo le svariate testimonianze di coloro che gli
hanno
vissuto accanto. Ciò ha reso forse ancora più acuta la sofferenza della
comunità di riferimento nell’apprendere la notizia della sua dipartita.
Puoi
restituirci un breve ritratto di Marco impegnato nel suo lavoro e nella
società?
Marco,
nel lavoro e
conseguentemente nella società, non risparmiava tempo e fatica. La sua
attività
si divideva tra la Casartigiani (sindacato artigiani) ed un Caf. In
tutti e due
era il punto di riferimento principale, per le sue capacità
informatiche e per
la sua abilità nel risolvere ogni tipo di problema. Generoso di
consigli,
spesso era lui stesso ad informare le persone riguardo ad eventuali
diritti e
benefici, infatti numerosissime persone non frequentano più questi
uffici...
perché? Perché Marco non c’è più! Basta chiedere a chi lavorava con lui
o ad un
semplice amico o cliente, per sentirsi dire esattamente le stesse cose
che sto
raccontando.
Secondo
il Vangelo di Matteo Gesù domanda: “Chi di voi, per quanto si dia da
fare, può
aggiungere un’ora sola alla sua vita?”. Dunque ti chiedo: con quali
strumenti
si riesce a sopravvivere ad una disgrazia di simile portata, come si
elabora il
dolore? E in ultimo: se ti fosse concessa quella famosa ora in più,
come la
spenderesti?
Come
si sopravvive ad un dolore
del genere? Non lo so, non credo ci sia una regola assoluta. Credo che
ognuno
elabori a modo proprio. Ovviamente c’è chi non ce la fa e non si rialza
più. È
come vivere tra realtà e finzione, io sento che lui è presente e
continua a
seguirmi e ciò mi aiuta tanto. Parlo costantemente con lui, proprio
come se
fosse qui. Bisogna crearsi una convinzione ed uno stato mentale tale,
per far
fronte ai momenti dolorosi che, irrimediabilmente, arrivano
all’improvviso,
come un temporale violento. Occorre farsi forza su ciò che di buono è
rimasto,
e continuare su questa scia profumata che lui ci ha lasciato. Se avessi
un’ultima ora da spendere con lui, la spenderei parlandogli tanto, gli
direi
tante cose mai dette, ma soprattutto lo ringrazierei di cuore, per
avermi dato
l’onore di essere suo fratello e di aver trascorso questo tratto di
vita
insieme.
Il
noto artista e writer britannico Banksy ci ricorda che si muore due
volte, “una
volta quando si smette di respirare e una seconda volta, un po’ più
tardi,
quando qualcuno dice il tuo nome per l’ultima volta”. Ma tu, la tua
famiglia e
la fidanzata di Marco avete riscritto il finale, non consentendo che
ciò
accadesse. In che modo?
Sì,
è vero. Si muore
davvero quando nessuno pronuncia o ricorda più il tuo nome. Proprio per
questo
noi cercheremo sempre di far rivivere Marco attraverso diverse
iniziative
benefiche, aiutando con piccoli gesti. È una goccia nell’Oceano, ma
siamo
convinti che anche una goccia sia utile a qualcuno. Attraverso questo
intento,
cerchiamo di dare un senso a ciò che un senso non ha. Dopo una tragedia
del
genere ci sono due strade da poter imboccare, una buia e carica di
rabbia ed
un’altra piena di luce e retta, sta ad ognuno di noi scegliere.
Quanto
è diffusa in Sicilia e più in generale nel nostro Paese la cultura
della
donazione degli organi? In fondo anche Thomas Mann pensava che
“l’interesse per
la malattia e la morte è sempre e soltanto un’altra espressione
dell’interesse
per la vita”. Quali sono i timori e i dubbi che, secondo te,
impediscono allo
stato attuale la piena condivisone e la concretizzazione di certi
ideali etici?
Nel
nostro Paese e ancora
meno in Sicilia, la cultura della donazione degli organi è ancora poco
diffusa.
Certo, qualche piccolo passo è stato fatto, ma è un processo ancora
lento
rispetto ad altri Paesi. Nel meridione il retaggio culturale
costituisce ancora
una barriera per certi principi, che dovrebbero essere, a mio avviso,
immediati, quasi istintivi. Perché far marcire sotto terra una parte
sana che
può donare ancora vita ad altri? Che torto si fa a chi va via da questo
mondo?
Nessuno, anzi si onora ancor più la sua anima, la si esalta alla
massima
essenza, perché da una vita che si spegne se ne accende un’altra. Credo
sia
questo il vero significato dell’esistenza umana, aiutarsi, donare e
salvare, e
Marco, prima di andare via, ha donato se stesso salvando cinque vite,
chiudendo
perfettamente e nel modo più alto il cerchio della vita ed il suo
percorso
terrestre.
Tramite
le iniziative di solidarietà avete dato gambe al famoso assunto
agostiniano
secondo
cui “coloro che amiamo e che abbiamo perduto non sono più dove erano,
ma sono
ovunque noi siamo”. Dopo quel fatidico gennaio 2022 quali obiettivi
filantropici vi siete posti?
Gli
obiettivi che ci siamo
posti sono quelli di trasformare la tragedia in qualche cosa di buono,
di
utilizzare l’energia e la luce che Marco continua ad emanare, in
beneficenza.
Abbiamo già raccolto qualcosa per gli ‘ultimi’, coloro che davvero
vivono ai
margini, ma anche per un’associazione che si occupa di dare assistenza
alle
famiglie di bambini malati, presso il Policlinico di Messina, al cui
interno
del Padiglione Pediatrico è stata peraltro intitolata
dall’Associazione Il Bucaneve una targa a Marco.
Continueremo,
con piccoli gesti, a donare in diverse parti del territorio, dove
capita, senza
seguire un binario fisso. Ovviamente la sensibilizzazione sulla
donazione degli
organi sarà sempre il motore di questa locomotiva.
Ci
vuoi illustrare le intenzioni future? Hai un messaggio da recapitare
alla gente
e, in particolare, alle nuove generazioni?
Di
messaggi alle nuove
generazioni ce ne sarebbero tanti, uno su tutti è coltivare l’empatia,
perché,
solo riuscendo a metterci nei panni dell’altro, si può migliorare un
po’ questo
mondo. Marco partiva sempre da questo punto di vista e, a pensarci
bene, è la
chiave di tutto o quasi.
Maria Valeria Sanfilippo
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