È bastato un
editoriale, superficiale e mistificante, per scatenare la solita guerra
tra categorie di docenti, quella alla quale siamo purtroppo abituati e
che ha caratterizzato le battaglie dei precari delle graduatorie di
istituto, divise in categorie che troppo spesso credono e sostengono di
avere più diritti di altre, se non diritti esclusivi. Una guerra,
questa, tutt'altro che intelligente, perché spacca il fronte della
resistenza di chi subisce, in pari misura, le scelte politiche che di
volta in volta sacrificano qualcuno sull'altare della meritocrazia. Un
giorno mi dedicherò a demolire anche questo parametro, arbitrario e
mistificante, ma adesso mi voglio concentrare sul rigurgito di
recriminazioni che caratterizza il segmento degli insegnanti della
scuola primaria.
Chi ha scatenato la bagarre, forse nella volontà di screditare il
Governo Renzi e la sua legge di riforma della scuola e del reclutamento
docenti, mettendone il luce le aporie derivanti dall'applicazione di
una legge, la 107, grossolana e scollata dalle reali esigenze della
scuola e di chi la regge, i docenti precari, ha anche messo insieme
temi e questioni che nulla hanno a che vedere gli uni con le
altre, utilizzando persino, a mio avviso, un titolo ingannevole,
all'insegna di un qualunquismo poco adatto al calibro di una delle più
importati testate nazionali.
Se è vero che le graduatorie ad esaurimento non si svuoteranno a breve,
contrariamente a quanto di tanto in tanto rassicura la maggioranza di
governo, grazie alle immissioni in ruolo, ciò è sicuramente dovuto ad
altro, rispetto alla “solerzia” dei tribunali, come invece nel citato
editoriale si vuol fare chredere. Intanto, chi ha rappresentato questo
problema, ha dimenticato di dire, o forse non sa, che di precari ce ne
sono ben più di quanti non abbia finora dichiarato il MIUR, perché un
folto numero è fuori dalle GAE, pur a parità di titoli con chi vi è
dentro. Non una parola sull'arbitrarietà dell'uso del termine
“precario”, infatti, che nel tempo ha subito uno svuotamento di senso,
divenuto improprio sinonimo della locuzione “aspirante docente”.
Le GAE, di aspiranti docenti, ne erano e ne sono piene, ma questo non
viene detto da nessuna parte, utilizzando il termine “precari” a
sproposito. Invece di raccontare correttamente come stanno le cose, si
preferisce trovare nuovi capri espiatori all'incapacità di dare corso a
proclami politici, puntando il dito su chi, beffato dallo Stato, ha
conseguito anni fa un titolo che gli è stato disconosciuto per
insegnare stabilmente nel settore pubblico ma non in quello privato. E
già, perché il diploma magistrale, quello additato implicitamente
nell'editoriale e più apertamente nelle lettere che ne sono conseguite,
era valido a tutti gli effetti di legge per insegnare stabilmente nelle
scuole paritarie, quelle che aumentano il potere di scelta delle
famiglie e prendono i finanziamenti per questo dallo Stato. Ma questo
non viene detto, come non viene detto che quel diploma dava titolo
unico all'insegnamento nella scuola elementare, oggi primaria, ed è
stato conseguito anche successivamente alla laurea da molti, visto che
dava anche accesso a concorsi mai fatti, per ben tredici lunghissimi
anni. Ma si sa, che le magagne nel Paese sono troppe che alcune passano
inosservate, soprattutto se nessuno le denuncia.
Ma noi abbiamo denunciato, inizialmente soli e derisi, uno sfruttamento
senza limiti, quando le università, nel silenzio generale e senza
interventi politici, hanno chiuso le porte in faccia ai docenti
diplomati magistrali, in servizio da anni, che chiedevano corsi per
poter migliorare le loro condizioni lavorative, in linea con la legge
Gelmini di riforma della formazione iniziale e del reclutamento.
Migliaia di docenti che, secondo le idee del potere, avrebbero dovuto
azzerare una vita professionale e rifare tutto da capo, trattati da
rifiuti della società, dopo aver lavorato e retto le scuole pubbliche e
private in ogni angolo del Paese. Ciò che dispiace è che altri docenti,
beffati anch'essi dalle idee estemporanee della politica, che hanno
subito la stessa sorte, siano caduti nel tranello e si sentano in
competizione con chi ha acquisito una prerogativa in un regime
normativo precedente alla loro entrata in scena. Alcuni docenti o
aspiranti docenti laureati in Scienze dalla formazione primaria,
infatti, sulla scia delle critiche avanzate nei confronti di chi,
“semplicemente” diplomato, si è rivolto alla magistratura per ottenere
quanto la politica andava progressivamente negando a tutti, ai laureati
compresi, il diritto al riconoscimento professionale, anche il virtù di
una normativa europea contro lo sfruttamento del precariato.
Per fortuna, ancora, esiste in Italia qualcosa chiamato Diritto,
disconosciuto sia da chi detiene il potere sia da chi lo contrasta, e
poteri distinti, secondo una illuminata, oltre che illuministica,
suddivisione. L'unica possibilità in mano a tanti docenti era quella di
rivolgersi alla Magistratura, per rivendicare un diritto negato,
seguiti da altri, fuori dal reclutamento, come i Laureati in Scienze
della formazione primaria, molti dei quali anche specializzati nel
sostegno, docenti di cui la scuola ha enorme bisogno ma comunque
inesorabilmente fuori!
Potrei andare avanti per ore a scrivere sul tema, dicendo che quando la
politica vuole può, includere o escludere, che la questione del
riconoscimento dei Diplomati magistrali è stata risolta in Italia e che
questo l'ha salvata dalle sanzioni europee per il mancato
riconoscimento del titolo, che se l'allora governo ci avesse ascoltati
avremmo risolto tutto in breve tempo, semplicemente favorendo il
riconoscimento dei docenti diplomati, non del titolo, utilizzando
solo il semplice buon senso. Ma la miopia si paga! Anche nelle
Graduatorie ad esaurimento, quelle usate per il reclutamento a tempo
indeterminato, lo ribadisco, c'erano e ci sono aspiranti docenti con
titoli vecchissimi e formazione superata. Per gli uni e per gli altri
vale il diritto e a nulla serve scagliarsi contro i docenti o gli uni
contro gli altri. Un'amministrazione seria dovrebbe garantire equità e
pari opportunità, come pure assicurare formazione e qualità investendo
sul proprio personale, eventualmente, evitando di alimentare una
anacronistica “caccia alle streghe” a danno degli insegnanti e della
loro immagine pubblica. La scuola statale italiana ha solo bisogno di
qualità nella politica, di equità e di rispetto di diritti, non di
sermoni da parte di benpensanti che la scuola l'hanno, forse, solo
frequentata!
Valeria Bruccola, Coordinatrice
Nazionale Adida