LASCIO L'INSEGNAMENTO: NON POSSO PIU' INSEGNARE NELLA SCUOLA DELL'ODIO
Data: Giovedì, 08 febbraio 2007 ore 00:05:00 CET
Argomento: Opinioni


Non posso più insegnare nella scuola dell’odio
Faccio parte, oramai, di quell’esercito di docenti che ha chiesto dal 1° settembre di quest’anno di lasciare il campo. Un esodo, nella sola pubblica istruzione, di circa 50mila dipendenti, e non sarà un caso se la mia città, Napoli, da sola, contribuisce con quasi il 10% della stima nazionale. Difatti sono circa 4.500 i dipendenti della P.I. che hanno fatto domanda di andare in pensione nel capoluogo partenopeo, alla ribalta delle cronache quotidiane per fenomeni di bullismo, di baby gang e di atti di vandalismo ai danni delle scuole.
Posso parlare a titolo personale e mi auguro che lo facciano anche altri colleghi, perché leggo di un’errata valutazione di questo fenomeno che rappresenta un vero e proprio esodo e, segnatamente, sulle motivazioni che inducono tante persone a lasciare il proprio lavoro anzitempo. Motivazioni che, per quanto mi riguarda, non sono legate alle preoccupazioni di una modifica alla norme sull’età pensionabile,  bensì ad un fatto ben più grave che non bisogna sottacere, perché è un “grido di dolore” che parte dalla scuola ma che coinvolge tutta la società ed il futuro dei nostri giovani. Lascio perché mi sento inutile. Percepisco quotidianamente che quando entro in classe i miei allievi, che ho amato come figli nei sette lustri trascorsi dietro una cattedra, non mi ascoltano più, e non per quello che dico o non dico, per quello che spiego o non spiego, ma solo perché non sono più interessati alla loro crescita culturale e sociale, avendo in mente altri valori, altri modelli, altre mete da raggiungere, che non abbisognano della trasfusione del mio sapere. L’ultima prova.
Oggi, alla fine delle lezioni, giravo meditabondo tra quei banchi vuoti che tra pochi mesi non avrei più rivisto, pensando con malinconia a quale sarebbe stata la mia vita senza quei giovani, senza le “mie classi”.
Mentre ero immerso in questi pensieri lo sguardo è stato attratto da una scritta fresca, ancora vivida, impressa su di un banco da una mano ignota, comunque quella di uno studente di una delle classi che frequentano quel laboratorio, un ragazzetto al massimo di una quindicina d’anni, la stessa età della figlia dell’ispettore ucciso nei tragici fatti di Catania, che stamani tra le lacrime lanciava l’ultimo saluto al suo “papino”: “ non riesco a stare senza di te, perché siamo uguali…”, diceva, e perché una mano, ancora ignota, assassina ha sottratto questo padre alla sua famigliola, aggiungo io. Quella scritta carica di odio e di esaltazione delirante, impressa tra qualche disegno osceno e qualche ghirigori tra i quali si stagliava, affermava a caratteri cubitali netti, col colore nero della tragedia e della morte: “poliziotto primo nemico”. Per un attimo ho avuto un sussulto di rabbia che mi ha scosso dai miei pensieri tristi, subito dopo sono caduto in uno stato di profonda prostrazione, recependo, in maniera chiara e netta, che il mio posto non poteva essere più là, tra quei banchi dove nasceva e covava l’odio per chi è preposto alla salvaguardia del bene primario, della sicurezza dei cittadini, di tutti i cittadini, anche di quel giovane scellerato che, per ragioni destinate a rimanere ignote, li ha bollati come “nemici”.
 
Gennaro Capodanno
07/02/2007






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