IL PIACERE DI INSEGNARE
Data: Luned́, 21 agosto 2006 ore 00:20:00 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Enzo Tonti, Il piacere di insegnare, premessa di Tullio De Mauro, prefazione di Carlo Bernardini, Roma, Aracne, 2005, pp. 132, euro 7,00.

 

Un libro di riflessioni su come insegnare ma non un libro di didattica, quindi senza l'utilizzo di quel 'didattichese' a cui ci hanno abituato alcuni esperti della pedagogia contemporanea. Enzo Tonti è un professore di Fisica matematica che ha sentito l'esigenza di comunicare ad altri suoi colleghi universitari – e non solo – la sua esperienza di insegnante maturata in anni di contatti e confronti costruttivi con gli studenti. Considerazioni nate sul campo e non solo dallo studio della letteratura teorica sull'argomento. Basta dare un'occhiata alla bibliografia e si noterà un solo testo classico di didattica, quello di D.P. Ausubel, Educazione e processi cognitivi (Franco Angeli, 1978). I maestri a cui si ispira l'autore sono piuttosto le grandi personalità della scienza che hanno saputo caratterizzare il loro insegnamento con una solida competenza disciplinare mai disgiunta da umiltà e semplicità di esposizione come, per esempio, il matematico Cornelius Lanczos e i fisici Ludwig Boltzmann, Hendrik Lorentz ed Enrico Fermi.
 Un capitolo è dedicato a osservazioni e suggerimenti raccolti tra studenti di facoltà scientifiche, voci che non risparmiano critiche all'insegnamento nelle università italiane. La disattenzione verso la didattica da parte dei docenti universitari non è certo una novità. Come ricorda Tullio De Mauro nella premessa, a volte la riflessione sulla didattica viene recepita dai professori come un vero e proprio 'fastidio'. E l'alto numero di abbandoni – due terzi degli iscritti al primo anno dell'università – la dice lunga sulle conseguenze di tale atteggiamento. Così come è carente l'abitudine a riflettere insieme, tra colleghi, sui contenuti e sugli obiettivi dei vari programmi disciplinari, una mancanza che investe in misura maggiore – paradossalmente – proprio le facoltà umanistiche. Nelle facoltà scientifiche e tecniche, scrive De Mauro, "talune ragioni epistemologiche hanno sempre costretto più e meglio a fare i conti su chi insegna che cosa con qualche precisione". Ripetere il solito ritornello sull'ignoranza e la superficialità dei giovani d'oggi è forse solo un modo per evitare di affrontare lo spinoso problema del come si insegna.
 Come suggerisce il fisico Carlo Bernardini nella prefazione, la questione principale, forse insolubile, è che a molti professori 'non piace insegnare', preferendo la ricerca alle attività con gli studenti. Eppure l'insegnamento costituisce un ottimo metodo per imparare. Infatti, il preparare una lezione richiede un attento ordinamento delle nozioni – magari dal semplice al complesso – e ciò già costituisce una forma di ulteriore apprendimento, così come le stesse domande degli studenti a lezione, i colloqui e gli esami. Insomma, 'insegnando s'impara'!
 Tra i vari suggerimenti didattici proposti nel libro, maturati in una lunga esperienza di insegnamento e fondati, quindi, su un sano buon senso, ne ricordiamo uno che potremmo definire come un 'elogio della lavagna'. Ovviamente della classica lavagna nera di ardesia, con il gesso che sporca inesorabilmente mani e vestiti. Senza nulla togliere all'efficacia dei più moderni strumenti tecnologici (dalla lavagna bianca ai lucidi, alle slides, ai filmati, alle presentazioni interattive…), il gesso che lascia la sua traccia sul nero della lavagna fa assistere direttamente alla 'nascita' di un disegno, di una formula, di uno schema, di una mappa concettuale, o magari solo di un nome, e permette allo studente di ripercorrere il processo espositivo del docente. Consente inoltre di sbagliare e di correggersi, manifestando proprio in questo la dinamicità e la condivisione del processo di insegnamento e apprendimento. Scrivendo alla lavagna si è costretti – puntualizza De Mauro – "a rallentare l'esposizione, ad avvicinarsi a quella 'perdita di tempo' su cui da tempo insiste Benedetto Vertecchi, quella 'perdita' che è assai più preziosa dell'andare svelti filati verso un indigesto quod erat demonstrandum".








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