STIPENDI EUROPEI E FINE DEL PRECARIATO
Data: Mercoledì, 29 marzo 2006 ore 09:10:09 CEST
Argomento: Comunicati


Stipendi europei e fine del precariato:

da  TuttoscuolaNews N. 239, 27/3/2006

 

ci vogliono 4 miliardi di euro l'anno.

"Una volta gli insegnanti in Italia erano poveri ma  rispettati.  Oggi sono solo poveri. E questo è inaccettabile". Lo ha sottolineato,  con dolorosa crudezza, il direttore di Tuttoscuola, Giovanni  Vinciguerra, aprendo la tavola rotonda con i leader del  centrosinistra  Rutelli  e Fassino e il segretario generale della Cisl Pezzotta al  convegno  "La buona scuola" promosso dalla Cisl.

Il programma dell'Unione propone alcune misure volte a valorizzare  il ruolo dei docenti, in grado teoricamente di dare una sterzata a questo andamento, tra cui  spiccano:  l'adeguamento  delle  retribuzioni  del personale della scuola al livello dei Paesi europei  e  l'assorbimento del precariato, immettendo in ruolo coloro  che  già  lavorano  nella scuola.

Obiettivi ambiziosi. Ma quanto raggiungibili? In campagna  elettorale, si  sa,  le  promesse  sono  facili.  Ma  non  è  altrettanto  facile mantenerle quando si è al governo. Almeno questo  insegna  la  storia italiana.

Per valutare il grado di attendibilità di questi obiettivi  contenuti nel    programma   dell'Unione  abbiamo  fatto  due  calcoli.  Quanto costerebbero?

L'adeguamento retributivo all'Europa, considerando che le retribuzioni medie dei docenti italiani sono tra l'8 e  il  15%  più  basse  della media europea (-13% per scuola primaria, -8% per secondaria  I  grado, -15% per la secondaria di  II  grado)  costerebbe  per  gli  831  mila docenti italiani circa 3  miliardi  di  euro  all'anno  (e  la  stima, approfondita   nella  news  successiva,  non  include  gli  incrementi retributivi per il restante personale delle scuola).

La lotta alla precarietà costerebbe invece circa 1 miliardo  di  euro l'anno. Infatti i docenti precari in servizio come supplenti  annui  o temporanei sono 120 mila: i posti vacanti a settembre 2006 saranno  33 mila, mentre i restanti 87 mila  verrebbero  assunti  in  soprannumero ricorrendo   probabilmente  all'organico  funzionale;  ad  essi  vanno aggiunti 85 mila ATA (con 80 mila posti vacanti).

Il differenziale di costo per questi 205 mila lavoratori precari,  nel caso di immissione in ruolo, sarebbe di circa mezzo  miliardo  per  il primo anno e di circa 1 miliardo a partire dal secondo anno.

Insomma 4 miliardi di euro l'anno da mettere sul piatto.

 

Ma ce  li  possiamo permettere?

Ma, pur immaginando una ragionevole gradualità nel raggiungere questo obiettivi, 4 miliardi di euro l'anno sono una cifra realistica per  un paese già appesantito da un debito di 1.542 miliardi di euro e con un rapporto deficit/Pil nel 2005 del 4,3%, superiore alla  soglia  del  3 per cento fissata a livello europeo?

"Tutto il personale della scuola  ve  ne  sarebbe  grato  -  ha  detto Vinciguerra al convegno parlando ai due leader del centrosinistra – ma avendo già ascoltato  molte  promesse  in  proposito,  purtroppo  non mantenute, e trattandosi di importi molto  impegnativi,  non  c'è  da stupirsi che le consideri con prudenza e con un  pò  di  scetticismo.

Dove trovare quelle risorse?

La domanda il  direttore  di  Tuttoscuola  l'ha  rivolta  direttamente all'on. Fassino.

Il segretario dei DS ha confermato l'impegno  dell'Unione  sul  fronte dell'assorbimento    del   precariato  e  della  valorizzazione  degli stipendi, in modo da portarli nella media europea, specificando che si tratta di traguardi da raggiungere nell'arco della legislatura (ma per i 113 mila posti vacanti, tra docenti e personale  ATA,  il  programma dell'Unione parla di "immediata copertura").

Riguardo ai costi dell'operazione ha dichiarato che la via maestra per finanziare lo sviluppo,  a  partire  dalla  formazione  delle  risorse umane, passerà anche da una rigorosa politica  fiscale:  "basterebbe fare emergere il 30% di quel 25% di economia sommersa che  attualmente sfugge al fisco".

Il centro-sinistra nella legislatura  1996-2001  aveva  dimostrato  di sapersi muovere nella giusta direzione.  Ma  serve  un  vasto  accordo politico, sociale e istituzionale, che duri per l'intera legislatura.

A meno  che  nel  riferirsi  ai  salari  europei,  da  anni  punto  di riferimento per il sindacato della scuola (ma anche  -  ricorderete  - per l'allora ministro dell'istruzione Tullio De Mauro),  il  programma dell'Unione non sottintenda, un pò furbescamente,  l'Europa  divenuta nel frattempo a 25, con l'ingresso di Paesi come  Polonia,  Repubblica Ceca, Estonia, Cipro, etc: la  nuova  media  dei  salari  dei  docenti dell'Europa a 25 è certamente più bassa, e allora non ci sarebbe  da investire molto e gli incrementi retributivi sarebbero molto contenuti o addirittura nulli. Ma se così fosse, questo non sarebbe proprio  il modo, come si legge nel programma dell'Unione,  di  "riconquistare  la fiducia degli insegnanti".







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