Modelli didattici per competenze/5 (Conclusioni)
Data: Sabato, 08 ottobre 2016 ore 07:30:00 CEST
Argomento: Sindacati


Una testa ben fatta e non una testa piena
La scelta dei modelli didattici non puo' essere questione di gradimento; è necessario che sia funzionale al grado di istruzione, al tipo di indirizzo, alla particolare condizione di una classe e chiaramente alla disciplina di insegnamento. I metodi, infatti, mettono in relazione le dinamiche dell'apprendimento e i contenuti disciplinari; pertanto nessuno dei metodi puo' essere generalizzato per tutte le situazioni che si danno nella realtà dei processi formativi. In alcuni modelli didattici e soprattutto in quelli per sequenze di esperienze o nei progetti si pone il problema del ruolo e della partecipazione delle singole discipline alla realizzazione delle attività didattiche. Non è detto che possano e debbano parteciparvi tutte, senza violare il significato della loro specifica collocazione nel curriculum. Le forzature finiscono per indebolire il significato di un particolare approccio metodologico.

I modelli come il problem solving, l'apprendistato cognitivo, l'apprendimento cooperativo, l'apprendimento esperienziale o quello della didattica per progetti si iscrivono all'opposizione dell'insegnamento tradizionale e del modello corrente di scuola . Realizzano non poche indicazioni del costruttivismo e rappresentano una ripresa delle istanze attivistiche, che si possono individuare nell'enfasi con cui si sottolinea il primato di " ciò che l'alunno deve fare con ciò che sa" su altri aspetti della formazione. Veicolano una critica dell'enciclopedismo in favore di una formazione che abbia di mira la "testa ben fatta" e non una "testa piena"(Montaigne e Morin). I modelli citati vengono ritenuti idonei a realizzare le condizioni indicate da Jonassen per avere un apprendimento significativo, che potrà essere tale, se sarà attivo, costruttivo, collaborativo, intenzionale, conversazionale, contestualizzato, riflessivo.

Alcuni orientamenti possono essere ritenuti comuni ai modelli citati e degni di particolare attenzione:partire dal mondo reale e dalle conoscenze possedute dallo studente; predisporre situazioni di apprendimento complesse e sfidanti per suscitare la motivazione ad apprendere; promuovere il ruolo attivo e costruttivo dell'alunno; sviluppare il senso e l'uso possibile degli apprendimenti senza renderli utilitari; apprendere attraverso attività laboratoriali; impiegare strategie per fare apprendere ad apprendere; favorire l'atteggiamento riflessivo ; praticare l'apprendimento sociale(si impara dagli altri e con gli altri).

Attraverso la sperimentazione di questi modelli è maturato il convincimento che l'apprendimento dei saperi non sia solo questione di lavoro individuale e che si realizzi meglio nelle interazioni didattiche situate in contesti reali. Non è da sottovalutare , d'altra parte, il fatto che apprendere realizzando lavori rivolti prioritariamente ad altri(relazioni, manufatti, dossier, presentazioni, progetti, eventi etc. )amplifica in modo straordinario il campo educativo e le energie poste in giuoco e sollecita decisamente le motivazioni degli alunni. (D. Nicoli)
In una parola con questi metodi si viene sollecitati ad emanciparsi dalla tirannia della routine, perchè non pare che possa esserci tra questa e le condizioni per una didattica per competenze alcuna parentela, anche se questa non puo' essere ridotta ad un apprendere attraverso il fare e tantomeno alle pratiche di addestramento . La nozione di competenza mette in evidenza ciò che si attende dagli alunni, ma non come arrivarci. Concetto debole sul piano teorico, la competenza è un concetto forte sul piano della suggestione e delle pratiche:non c'è accordo sul concetto e non c'è uniformità nelle pratiche. Ci sono tante vie alla competenza. Le vie dell'apprendimento sono molteplici come le vie della ragione, come le forme dell'intelligenza. (M. Pellerey).

Una nuova stagione delle relazioni pedagogiche
I modelli come quelli sopra citati ridisegnano il ruolo dei docenti e quello degli alunni. L'insegnante guida l'alunno, mobilita le sue energie, dà istruzioni, propone strategie di apprendimento, rende possibile e fecondo il confronto con le situazioni reali, lo suscita e l'accompagna, facilitando nello stesso tempo l'acquisizione delle risorse necessarie. Diventa un organizzatore di situazioni di apprendimento. Non è più o soltanto il dispensatore di saperi e non spezza il pane della verità. Collocato in una comunità di apprendimento l'insegnante assume il ruolo educativo di adulto significativo, capace di mobilitare i talenti degli studenti in esperienze concrete e sfidanti, che suscitano interesse e sollecitano un apprendimento per scoperta e conquista personale.

L'impegno degli studenti in questo genere di attività dipende dalla capacità dell'insegnante di testimoniare in modo convincente il proprio amore per il sapere, di costituirsi come un modello plausibile di ricercatore e di amante del sapere. Fatto che oltrepassa la competenza didattica e l'ambito cognitivo e interpella tutte le dimensioni della soggettività dell'insegnante. "Il compito principale di ogni insegnante consiste nel convincere della veridicità di ciò che si comunica e nella bontà di apprenderlo a studenti che nutrono un particolare dubbio in tutto questo"(D. Nicoli).

L'alunno da parte sua diventa protagonista, attore del processo di apprendimento; segue le istruzioni e le indicazioni di lavoro fino al punto di rendersi autonomo nello svolgimento del compito in cui è stato impegnato attraverso una metodica e costante riflessione. Con parole di grande incisività M. Pellerey afferma: "Al centro dell'attenzione non sta tanto il sistema formativo e la sua offerta, quanto l'intenzione e l'azione del soggetto che apprende. (...)L'azione formativa è di conseguenza subordinata all'azione di apprendimento, nel senso che assume il ruolo di sua facilitazione, sostegno, guida, orientamento".

I nuovi nuovi ruoli o meglio il diverso atteggiarsi dei docenti e degli alunni modificano, ma non ribaltano l'asimmetria delle relazione educativa. Ph. Meirieu afferma che abolire la verticalità dell'atto pedagogico rischia di compromettere il compito della scuola; se invece l'insegnante incarna la verticalità senza arroganza nel lavoro quotidiano; se l'assume chiaramente ponendo con gli alunni in modo metodico le domande che interrogano i dati a disposizione, allora l'azione pedagogica puo' essere ripristinata nel suo spessore e l'educazione puo' realizzarsi. Anche G. Ferroni ammonisce a non farsi molte illusioni sullo sbiadimento della funzione magistrale, perchè "la scuola ha bisogno ancora di figure di maestri, magari di loro ombre, evocazioni, persistenti residui". I giovani hanno bisogno di chi parla con loro e si deve tenere nel dovuto conto che i metodi non direttivi se favoriscono i migliori, danneggiano spesso gli alunni più deboli. Le ricerche di Hattie rilevano che quando non c'è direzione del docente, una sua forte presenza, gli approcci didattici innovativi non danno i risultati sperati.

Per l'approccio per competenze ci vogliono metodi adeguati e conseguenti, ma non potranno funzionare senza un'adeguata, incisiva, azione motivazionale nei confronti degli alunni. Occorre sostenere la percezione di autodeterminazione degli alunni e della loro capacità di portare a termine un compito, evidenziando i progressi compiuti e attribuendo significato all'obbiettivo formativo da raggiungere. La didattica dell'approccio per competenze volendo e dovendo coinvolgere molti fattori dell'intelligenza e della personalità non puo' non essere vincolata ai tempi lunghi della maturazione del soggetto. Non si sposa bene con la fretta e con l'assillante accumulazione di conoscenze.

prof. Raimondo Giunta





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