Una testa ben fatta
e non una testa piena
La scelta dei modelli didattici non puo' essere questione di
gradimento; è necessario che sia funzionale al grado di
istruzione, al tipo di indirizzo, alla particolare condizione di una
classe e chiaramente alla disciplina di insegnamento. I
metodi, infatti, mettono in relazione le dinamiche dell'apprendimento e
i contenuti disciplinari; pertanto nessuno dei metodi puo' essere
generalizzato per tutte le situazioni che si danno nella realtà dei
processi formativi. In alcuni modelli didattici e soprattutto in quelli
per sequenze di
esperienze o nei progetti si pone il problema del ruolo e della
partecipazione delle singole discipline alla realizzazione delle
attività didattiche. Non è detto che possano e debbano parteciparvi
tutte, senza violare il significato della loro specifica collocazione
nel curriculum. Le forzature finiscono per indebolire il significato di
un particolare approccio metodologico.
I modelli come il problem solving, l'apprendistato
cognitivo, l'apprendimento cooperativo, l'apprendimento esperienziale o
quello della didattica per progetti si iscrivono all'opposizione
dell'insegnamento tradizionale e del modello corrente di scuola
. Realizzano non poche indicazioni del costruttivismo e
rappresentano una ripresa delle istanze attivistiche, che si possono
individuare nell'enfasi con cui si sottolinea il primato di " ciò che
l'alunno deve fare con ciò che sa" su altri aspetti della
formazione. Veicolano una critica dell'enciclopedismo in favore di una
formazione che abbia di mira la "testa ben fatta" e non una "testa
piena"(Montaigne e Morin). I modelli citati vengono ritenuti idonei a
realizzare le condizioni indicate da Jonassen per avere un
apprendimento significativo, che potrà essere tale, se sarà
attivo, costruttivo, collaborativo, intenzionale, conversazionale,
contestualizzato, riflessivo.
Alcuni orientamenti possono essere ritenuti comuni ai modelli citati e
degni di particolare attenzione:partire dal mondo reale e dalle
conoscenze possedute dallo studente; predisporre situazioni di
apprendimento complesse e sfidanti per suscitare la motivazione ad
apprendere; promuovere il ruolo attivo e costruttivo
dell'alunno; sviluppare il senso e l'uso possibile degli apprendimenti
senza renderli utilitari; apprendere attraverso attività
laboratoriali; impiegare strategie per fare apprendere ad
apprendere; favorire l'atteggiamento riflessivo ; praticare
l'apprendimento sociale(si impara dagli altri e con gli altri).
Attraverso la sperimentazione di questi modelli è maturato il
convincimento che l'apprendimento dei saperi non sia solo
questione di lavoro individuale e che si realizzi meglio nelle
interazioni didattiche situate in contesti reali. Non è da
sottovalutare
, d'altra parte, il fatto che apprendere realizzando lavori rivolti
prioritariamente ad
altri(relazioni, manufatti, dossier, presentazioni, progetti, eventi
etc. )amplifica in modo straordinario il campo educativo e le
energie poste in giuoco e sollecita decisamente le motivazioni degli
alunni. (D. Nicoli)
In una parola con questi metodi si viene sollecitati ad emanciparsi
dalla tirannia della routine, perchè non pare che possa esserci tra
questa e le condizioni per una didattica per competenze alcuna
parentela, anche se questa non puo' essere ridotta ad un
apprendere attraverso il fare e tantomeno alle pratiche di
addestramento . La nozione di competenza mette in evidenza ciò che
si attende dagli alunni, ma non come arrivarci. Concetto debole sul
piano
teorico, la competenza è un concetto forte sul piano della suggestione
e
delle pratiche:non c'è accordo sul concetto e non c'è uniformità nelle
pratiche. Ci sono tante vie alla competenza. Le vie dell'apprendimento
sono molteplici come le vie della ragione, come le forme
dell'intelligenza. (M. Pellerey).
Una nuova stagione delle relazioni
pedagogiche
I modelli come quelli sopra citati ridisegnano il ruolo dei docenti e
quello degli alunni. L'insegnante guida l'alunno, mobilita le sue
energie, dà istruzioni, propone strategie di apprendimento, rende
possibile e fecondo il confronto con le situazioni reali, lo suscita e
l'accompagna, facilitando nello stesso tempo l'acquisizione delle
risorse necessarie. Diventa un organizzatore di situazioni di
apprendimento. Non è più o soltanto il dispensatore di saperi e non
spezza il pane della verità. Collocato in una comunità di apprendimento
l'insegnante assume il ruolo educativo di adulto significativo, capace
di mobilitare i talenti degli studenti in esperienze concrete e
sfidanti, che suscitano interesse e sollecitano un apprendimento per
scoperta e conquista personale.
L'impegno degli studenti in questo genere di attività dipende dalla
capacità dell'insegnante di testimoniare in modo convincente il
proprio amore per il sapere, di costituirsi come un modello plausibile
di ricercatore e di amante del sapere. Fatto che oltrepassa la
competenza didattica e l'ambito cognitivo e interpella tutte le
dimensioni della soggettività dell'insegnante. "Il compito principale
di
ogni insegnante consiste nel convincere della veridicità di ciò
che si comunica e nella bontà di apprenderlo a studenti che nutrono un
particolare dubbio in tutto questo"(D. Nicoli).
L'alunno da parte sua diventa protagonista, attore del processo di
apprendimento; segue le istruzioni e le indicazioni di lavoro fino al
punto di rendersi autonomo nello svolgimento del compito in cui è stato
impegnato attraverso una metodica e costante riflessione. Con
parole di grande incisività M. Pellerey afferma: "Al centro
dell'attenzione non sta tanto il sistema formativo e la sua
offerta, quanto l'intenzione e l'azione del soggetto che
apprende. (...)L'azione formativa è di conseguenza subordinata
all'azione di apprendimento, nel senso che assume il ruolo di sua
facilitazione, sostegno, guida, orientamento".
I nuovi nuovi ruoli o meglio il diverso atteggiarsi dei docenti e degli
alunni modificano, ma non ribaltano l'asimmetria delle relazione
educativa. Ph. Meirieu afferma che abolire la verticalità
dell'atto pedagogico rischia di compromettere il compito della
scuola; se invece l'insegnante incarna la verticalità senza arroganza
nel lavoro quotidiano; se l'assume chiaramente ponendo con gli
alunni in modo metodico le domande che interrogano i dati a
disposizione, allora l'azione pedagogica puo' essere ripristinata nel
suo spessore e l'educazione puo' realizzarsi. Anche G. Ferroni
ammonisce
a non farsi molte illusioni sullo sbiadimento della funzione
magistrale, perchè "la scuola ha bisogno ancora di figure di
maestri, magari di loro ombre, evocazioni, persistenti residui". I
giovani
hanno bisogno di chi parla con loro e si deve tenere nel dovuto conto
che i metodi non direttivi se favoriscono i migliori, danneggiano
spesso
gli alunni più deboli. Le ricerche di Hattie rilevano che quando non
c'è
direzione del docente, una sua forte presenza, gli approcci didattici
innovativi non danno i risultati sperati.
Per l'approccio per competenze ci vogliono metodi adeguati e
conseguenti, ma non potranno funzionare senza
un'adeguata, incisiva, azione motivazionale nei confronti degli
alunni. Occorre sostenere la percezione di autodeterminazione degli
alunni e della loro capacità di portare a termine un
compito, evidenziando i progressi compiuti e attribuendo significato
all'obbiettivo formativo da raggiungere. La didattica dell'approccio
per
competenze volendo e dovendo coinvolgere molti fattori
dell'intelligenza e della personalità non puo' non essere
vincolata ai tempi lunghi della maturazione del soggetto. Non si sposa
bene con la fretta e con l'assillante accumulazione di conoscenze.
prof. Raimondo Giunta