Se solo si potesse sbloccare l'ascensore...
Data: Martedì, 02 settembre 2014 ore 07:30:00 CEST
Argomento: Redazione


Nei decenni passati l'ascensore sociale ha fatto salire settori importanti della società dal piano terra ai piani intermedi e talvolta anche ai piani superiori dell'edificio sociale. Da molto tempo, però, si trova in panne, perchè si è inceppato il motore che lo mandava avanti:il sistema di istruzione, la capacità di creare lavoro, il coraggio del rischio economico. Se dovesse tornare a funzionare, come si spera, occorrerebbe procedere alla sopraelevazione e alla ristrutturazione degli spazi esistenti per fare posto a quanti sono in attesa di prenderlo.
Non si riesce a trovare il bandolo della matassa: coniugare sviluppo ed equità, garanzie sociali e competizione sul mercato internazionale. Il ciclo storico della redistribuzione delle risorse in funzione di politiche di integrazione e di protezione sociale, iniziato nel secondo dopoguerra e propiziato dalla divisione internazionale tra blocchi politici contrapposti e da prassi neo o para colonialistiche con i paesi detentori di ricchezze naturali,pare si sia definitivamente concluso. Non ci sono risorse aggiuntive, nè si ha la forza con i gli strumenti possibili di uno stato democratico di spostare quelle che ci sono da un settore all'altro della società.
Pare anzi che questa sia l'ultima delle preoccupazioni dei governi, anche di quelli che vogliono essere dichiarati di sinistra. Nelle nazioni in crisi si è proceduto non solo allo smantellamento di alcuni settori della spesa pubblica, ma anche a un programmato indebolimento contrattuale dei lavoratori, che in Italia è diventato polverizzazione dei diritti e delle tutele e impoverimento salariale.
L'esito non del tutto in previsto è stato quello di cacciarsi nella stagnazione e di rinviare ad altro millennio la redistribuzione delle risorse e delle opportunità. Questo genere di politiche si è potuto fare e si puo' continuare a fare per effetto dello svuotamento dei partiti e dei sindacati, ridotti al silenzio, privati della facoltà di partecipazione alle scelte di interesse nazionale e anche incapaci di portare avanti battaglie di civiltà e di giustizia come sono stati capaci di fare nel loro passato.
Si dovrebbe pensare con più onestà intellettuale al periodo in cui tutele sindacali e partecipazione politica hanno consentito uno dei più lunghi periodi di sviluppo economico e sociale della nazione. A suo fondamento il mercato interno,che in genere non si regge con la precarietà e con i bassi salari...
Il restringimento dello spazio pubblico, unito alla crisi di fiducia nella politica e al crescere delle disuguaglianze, contrariamente a quel che si dice rende più difficile il governo di una società, segnata anche da fratture culturali, etniche e religiose.
Una società che non dà opportunità e speranze finisce per sfilacciarsi,per corrodersi dentro, per lacerarsi in conflitti, per incattivirsi, per involgarirsi; finisce per indebolire il senso di appartenenza alla propria comunità e di entrare in un circolo che proprio virtuoso non è e da cui sarà difficile uscire.
Le politiche di redistribuzione dello Stato Sociale non sono ripetibili come nel passato e hanno bisogno di una rigorosa manutenzione, che dovrebbe eliminare sprechi e parassitismi, ma non mettere in crisi ampi settori della società o spingere verso la marginalità sociale porzioni consistenti della popolazione, che una volta erano tutelate.
Come si gestisce questa nuova fase? Nessuno ha le ricette pronte, anche se non mancano soluzioni possibili, non facili e nemmeno indolori. Occorrono chiarezza di impostazione, energia, studio,spirito di sacrificio, buon esempio, coesione e consenso sociale: condizioni che non si creano sbaraccando le oraganizzazioni sociali e i partiti, irridendo alle opinioni altrui, imponendo soluzioni anche se non ragionevoli, nè condivise. Cinismo e abilità non sostanziano la responsabilità pubblica, nè tantomeno la capacità di governo: cose di cui si ha un disperato bisogno.
La società dei due terzi, alla quale fa riferimento la politica di tutti i governi di questa sciagurata Seconda Repubblica, continua a imporre le sue scelte e le sue paure e condiziona l'attuale stato di difficoltà, inasprendo i conflitti sociali e spingendo verso la precarietà nuove e vecchie generazioni.
Da una parte la società degli inclusi e dei garantiti, con la sicurezza dei propri patrimoni, delle proprie posizioni sociali e del proprio futuro; sicuri i primi dei no che devono dire (alla mobilità sociale,all'espansione dei diritti,alle garanzie sociali); dall'altra i tanti abitanti del mondo della precarietà e della provvisorietà, che vogliono integrarsi,salvarsi,ma discordi nei progetti nelle condizioni, nelle aspettative e forse destinati alla sconfitta.
La prosecuzione di questo stato di cose comincia a richiedere prezzi sociali esorbitanti e uscirne è un atto di responsabilità nei confronti delle nuove generazioni.
Le istituzioni, i partiti, i sindacati, le organizzazioni della società civile, le aziende, le scuole, le università, la chiesa si prendano la propria parte di responsabilità. Non dovrebbe essere impossibile pensare che si possa vivere più decentemente di come avvenga: basterebbe che si rinunciasse a parte irrisoria delle proprie convenienze. Ma per favore niente più slides e tweets.

Prof. Raimondo Giunta





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