Non è facile affatto insegnare
Data: Domenica, 27 aprile 2014 ore 08:30:00 CEST
Argomento: Redazione


"Acquistai autorità sui discepoli, e l'impressione fu durevole, perché, con quel fine fiuto dei giovani, sentivano che in quelle lezioni io ci mettevo tutto me, ed ero sincero, e non c'era ciarlataneria, e serbava modestia e naturalezza .... Io non mettevo nessuna cura a velare i miei lati deboli; mi mostravo tutto al naturale, e mi piaceva di stare in loro (dei discepoli, n.d.r.) compagnia e spassarmi insieme con loro. Così nacque quella parentela spirituale che non si ruppe mai più, e che ancora oggi m'intenerisce, quando qualcuno di quei giovani mi viene innanzi alla mente". Così, De Sanctis, nel 1889, nel frammento autobiografico della sua "Giovinezza".

L' "impressione" del grande Maestro, non dovrebbe essere ignota a chi, stando in mezzo ai giovani, sappia con essi confrontarsi ogni giorno con autorevolezza, con umiltà e passione, e competenza, in un'aula scolastica, nel non facile compito dell'insegnare.

Marciscono, invero, le nozioni, quando sono impartite meccanicamente (e svogliatamente) dagli insegnanti, e non trovano ricadute significative sulle esperienze della vita quotidiana dei giovani; e sono inutili, anche, se non colpiscono il materiale e l'immaginario del loro cuore e della mente; fare scuola non significa essere ligi a una pura formalità istituzionale; né propinare, pontificando, una lezione (lectio) ex cattedra, imbastire un soliloquio e fare una bella prolusione autoreferenziale per dirsi Quanto sono bravo, Come mi piaccio.
Fare scuola, insegnare, significa, semplicemente, dare umilmente, e con onestà intellettuale, lettura di un testo, e metterlo (e mettersi in discussione, sentirlo e meditarlo, scavarlo; prendere partito sopra quel testo, anche schierarsi - se occorre -; mettersi in ascolto degli altri, commentarlo insieme con gli altri e confrontarsi e scontrarsi con gli altri; vederne, se c'è, la perenne sua attualità, o, comunque sia, la sua efficacia, oltre che estetica ed emotiva (se c'è), anche pratica ed operativa.
Fare lezione significa, soprattutto, calarsi dentro alle cose, stare dentro e fuori del testo in rapporto di confidenza e diffidenza reciproca; significa abituare i giovani a saper leggere il mondo che li /ci circonda, fornire loro, attraverso il testo, un metodo di apprendimento in grado di permettere un approccio sistemico critico-problematico con la realtà considerata nella sua determinazione e permanenza. Solo così, instaurando con i giovani studenti quella che il "professor" De Sanctis definisce, nei suoi ricordi, appunto, "una parentela spirituale", resterà qualcosa dentro il loro cuore e la loro mente. Altrimenti, l'insegnamento corre il rischio di diventare sterile, stupido e inutile, e noioso e avvilente, anche, come quello che si vuole ammannire ridotto a pura e semplice "lezione frontale", o, peggio, a quiz, a questionario precotto e confezionato; a crocette vero /falso, o ad una semplice, asettica, "statica" e rimasticata trasmissione di nozioni, minacciosamente preludente a verifiche - interrogazioni - valutazioni giornaliere dell'alunno, a mò di condannato a morte allineato schierato davanti la cattedra dietro la quale, arcigno e severo, sta il prof., con il suo dispiegato registro (on line?).

Un siffatto modo di concepire l'insegnamento, sarebbe la fine non solo della autorevolezza del docente e della sua credibilità, ma metterebbe in discussione la scuola stessa in ordine al valore della sua funzione e del suo delicatissimo ruolo didattico pedagogico educativo nell'ambito della società civile.
Se non si capisce questo, veramente si dovrà ammettere che la scuola è morta insieme con il suo umanesimo!

Nuccio Palumbo
antonino11palumbo@gmail.com





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