
L' "impressione" del grande Maestro, non dovrebbe essere ignota a chi, stando in mezzo ai giovani, sappia con essi confrontarsi ogni giorno con autorevolezza, con umiltà e passione, e competenza, in un'aula scolastica, nel non facile compito dell'insegnare.
Marciscono, invero, le nozioni, quando sono impartite meccanicamente (e svogliatamente) dagli insegnanti, e non trovano ricadute significative sulle esperienze della vita quotidiana dei giovani; e sono inutili, anche, se non colpiscono il materiale e l'immaginario del loro cuore e della mente; fare scuola non significa essere ligi a una pura formalità istituzionale; né propinare, pontificando, una lezione (lectio) ex cattedra, imbastire un soliloquio e fare una bella prolusione autoreferenziale per dirsi Quanto sono bravo, Come mi piaccio.
Fare scuola, insegnare, significa, semplicemente, dare umilmente, e con onestà intellettuale, lettura di un testo, e metterlo (e mettersi in discussione, sentirlo e meditarlo, scavarlo; prendere partito sopra quel testo, anche schierarsi - se occorre -; mettersi in ascolto degli altri, commentarlo insieme con gli altri e confrontarsi e scontrarsi con gli altri; vederne, se c'è, la perenne sua attualità, o, comunque sia, la sua efficacia, oltre che estetica ed emotiva (se c'è), anche pratica ed operativa.
Fare lezione significa, soprattutto, calarsi dentro alle cose, stare dentro e fuori del testo in rapporto di confidenza e diffidenza reciproca; significa abituare i giovani a saper leggere il mondo che li /ci circonda, fornire loro, attraverso il testo, un metodo di apprendimento in grado di permettere un approccio sistemico critico-problematico con la realtà considerata nella sua determinazione e permanenza. Solo così, instaurando con i giovani studenti quella che il "professor" De Sanctis definisce, nei suoi ricordi, appunto, "una parentela spirituale", resterà qualcosa dentro il loro cuore e la loro mente. Altrimenti, l'insegnamento corre il rischio di diventare sterile, stupido e inutile, e noioso e avvilente, anche, come quello che si vuole ammannire ridotto a pura e semplice "lezione frontale", o, peggio, a quiz, a questionario precotto e confezionato; a crocette vero /falso, o ad una semplice, asettica, "statica" e rimasticata trasmissione di nozioni, minacciosamente preludente a verifiche - interrogazioni - valutazioni giornaliere dell'alunno, a mò di condannato a morte allineato schierato davanti la cattedra dietro la quale, arcigno e severo, sta il prof., con il suo dispiegato registro (on line?).
Un siffatto modo di concepire l'insegnamento, sarebbe la fine non solo della autorevolezza del docente e della sua credibilità, ma metterebbe in discussione la scuola stessa in ordine al valore della sua funzione e del suo delicatissimo ruolo didattico pedagogico educativo nell'ambito della società civile.
Se non si capisce questo, veramente si dovrà ammettere che la scuola è morta insieme con il suo umanesimo!
Nuccio Palumbo
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