La domanda di mercoledì 19 giugno 2013
Data: Mercoledì, 19 giugno 2013 ore 21:27:10 CEST
Argomento: Redazione


Dacci oggi la riflessione quotidiana (19 giugno 2013)

L’esame di maturità è stato snaturato da un esame-concorso per acquisire la pole-position per i concorsi di accesso alle università prestigiose a numero chiuso?
E i docenti in mezzo a tutto ciò.


Una volta (ripeto, sono un po’ vecchio) esistevano due tipi di esame al termine degli studi: l’esame di Stato e l’esame di Maturità. La seduta di laurea al termine degli studi accademici non era considerato un vero e proprio esame, ma una formalità di rango elevato, quasi una cerimonia tra pari. Anche l’esame di Stato era in molti casi una formalità che consentiva ai professionisti (medici, ingegneri, architetti, etc.) o ai tecnici specialisti (geometri, agronomi, periti vari) di inserirsi nella professione attraverso gli albi professionali o le associazioni di categoria. Solo l’esame di Maturità era una prova veramente dura e temuta da tutti gli studenti al termine della scuola secondaria. Il sottinteso concetto era quello che il giovane passava dall’adolescenza alla condizione di adulto maturo (un po’ come avveniva più in generale con la leva militare), dando prova di tutto quanto appreso in tanti anni di studio, davanti ad una numerosa commissione di professori diversi dai propri (salvo uno), diretti da un presidente nominato tra persone di alta cultura e navigata esperienza.
Dal dopoguerra, attraverso gli anni sessanta ed oltre, si è giunti ad un ammorbidimento di detta ardua prova. Essa presentava due importanti caratteristiche: gli studenti (allora tali, non ancora allievi) si confrontavano con estranei professionisti della cultura su di un vasto programma di conoscenze ed il sottinteso possesso di una cultura generale anche attualizzata (non valeva allora dire: “scusi, ma non fa parte del programma”).
I docenti, poi, promossi a commissari di stato, scambiavano esperienze e si confrontavano con i colleghi di tutte le parti d’Italia. Poco a poco le pretese dei commissari nei confronti degli studenti furono normativamente ridimensionate.
Si passò dai tredici-quattordici commissari a sei, dalla conoscenza (ad esempio) di qualche migliaio di versi del divino Dante e del supremo Euripide, nelle rispettive lingue, a specifici ambiti tematici con rinuncia alla conoscenza del “tutto” per motivare e valorizzare la scelta della “parte”. Da un concetto di “maturità” completa fatta di equilibrio, vaste conoscenze, acuto giudizio critico al più facile concetto di maturità complessiva della persona, capace di orientarsi  verso gli studi successivi (anni 70 e 80) accertata attraverso la trattazione di pochi specifici argomenti.
Per poi tornare alle conoscenze analitiche su temi specifici, organicamente costruite attorno ad un nucleo (spesso povero o pretestuoso) che “colpisse” i commissari (tre interni e tre esterni) spesso organici anch’essi alla costruzione del tema. Contestualmente di abbandonava l’alto concetto del tema di italiano come saggio delle più alte capacità espressive linguistiche, contenutistiche, di maturità critica appunto. Con tale abbandono si  è passati dall’esame di Maturità all’esame di Stato: certificazione come titolo di accesso (salvo altre prove successive a carattere selettivo) alle facoltà universitarie, con eventuali “bonus” di merito.
Cosa si è perso per strada nel passaggio da una forma d’esame all’altra, dai voti in decimi al voto unico in sessantesimi e poi in centesimi, dai tanti professori esterni e lontani a i pochi della porta accanto e in parte già noti, dai presidenti di chiara fama e noti ai presidi della scuola accanto o ai professori di ruolo della vicina scuola? Intanto lo scopo e la validità del mezzo. Serve poco l’esame per l’accesso all’università: basterebbe un tirocinio d’ingresso a questa. Non serve affatto per stabilire un “bonus” di merito per tale accesso perché a ciò varrebbe meglio una rilevazione statistica di tutto il curricolo, cosa semplicissima da fare con i mezzi di oggi.
Si è perso il concetto di maturità: non è possibile dare un giudizio complessivo sganciato dal meccanicismo delle varie prove, studiate per evitare particolarismi. Ecco: il timore dell’illecito e della corruzione. Tutto in Italia è deciso in tale ottica. Per ciò n on c’è più scambio tra docenti e tra capi di istituto di varie parti d’Italia (qualcuno ne approfittava per lucrare la vacanza dorata).
Non c’è più fiducia nel giudizio del docente-professionista della didattica che deve essere chiuso in gabbie che garantiscano dai ricorsi contro i favoritismi. Il vecchio esame di stato professionale è stato soppiantato dai pochi concorsi pubblici per i pochi raccomandati.
L’esame di maturità è stato snaturato da un esame-concorso per acquisire la pole-position per i concorsi di accesso alle università prestigiose a numero chiuso, spesso inefficaci o controproducenti. E i docenti in mezzo a tutto ciò? Devono far finta  di niente e devono lavorare duramente per convincere (subdolamente) gli allievi-studenti che la cultura è ancora un valore.

Roberto Laudani
robertolaudani@simail.it





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