In
occasione della pubblicazione del memoir "Pappagalli verdi" nella
collana Loescher “Macramè”, abbiamo intervistato il suo autore, Gino
Strada, che ci ha parlato del significato di cittadinanza consapevole e
di cultura di pace.
D: Le capita
spesso in Italia di incontrare studenti nelle scuole? Che cosa le viene
domandato?
R: Non è che succeda ormai tanto spesso, ultimamente: anche se farlo mi
piace molto, purtroppo non riesco a trovare il tempo di andare in giro
per le scuole come un tempo. Gli studenti non fanno tantissime domande
– il che non è male, intendiamoci. Non si spingono al di là di quelle
solite: «Cosa l’ha spinta a fare questo lavoro?», oppure azzardano
qualche domanda un po’ più tecnica, ad esempio quando si parla di mine
anti-uomo… Trovo che i ragazzi abbiano molto spesso una reazione che
non è quella di far domande, ma di stare zitti, di essere in silenzio,
ed è un silenzio che credo importante, perché vuol dire che dei
messaggi stanno penetrando, che le persone stanno pensando, che restano
sgomente, forse, di fronte al racconto della realtà della guerra.
D: E gli
insegnanti? Come reagiscono alla presenza di Emergency nelle scuole?
R: Emergency fa molti interventi in realtà nelle scuole, e credo che
nei diciannove anni della nostra storia siamo intervenuti, dietro
richiesta, in più di diecimila scuole nel nostro Paese. Quindi vuol
dire che, in generale, c’è tra gli insegnanti una certa sensibilità. E
questo è un bene perché la scuola, il lavoro degli insegnanti, è molto
simile a quello dei medici. Si cura il corpo e si cura la mente.
Purtroppo anche la scuola vive le stesse tragedie che sta vivendo la
sanità: è stata tolta dalla scuola l’educazione civica che dovrebbe
essere in assoluto la materia più importante di insegnamento…Perché se
non si riesce a insegnare a dei giovani, a dei ragazzi, come essere dei
buoni cittadini, credo sia abbastanza irrilevante se parlano un buono o
un ottimo inglese. Se la caveranno comunque nella vita, quale che sia
il loro livello di inglese. Ma se la caveranno male se non sanno cosa
vuol dire essere cittadini.
D: L’impegno di
Emergency nelle scuole è un bell’esempio di educazione alla cosiddetta
“cittadinanza attiva”. Che cos’è, per lei?
R: Io non ho molta familiarità col termine “cittadinanza attiva”, direi
“cittadinanza consapevole”, informata, cosciente. A me fa paura quando
i ragazzi italiani crescono senza aver mai letto la Costituzione del
loro Paese, senza aver letto la Dichiarazione Universale dei Diritti
Umani, senza conoscere il Manifesto di Russell-Einstein, senza
conoscere quelle pietre miliari del pensiero che sono fondamentali se
si vuole vivere in una comunità. Senza questo si rischia che la società
diventi una giungla, non più una comunità.
D: Quanto è
importante e come si deve esplicare la relazione tra scuola e mondo del
volontariato?
R: Credo che i modi siano tanti: passaparola, non tenersi per sé
messaggi, ma anche elaborare, prendere spunto dalle esperienze di
volontariato per capire e approfondire una serie di problemi. So che
questo lavoro di “didattica”, come possiamo chiamarlo, è stato fatto da
molti insegnanti, fortunatamente, e credo che molti ragazzi ne abbiano
trovato giovamento.
D: Qual è,
secondo lei, l’insegnamento più grande che bisognerebbe dare ai ragazzi?
R: Quello di capire che visto che abbiamo scelto di vivere in un modo
associato, il rispetto e la considerazione per l’altro sono un
ingrediente insostituibile. Senza, il castello non sta in piedi. Ma se
lo si ha, allora, si riesce a capire anche il significato di parole
come tolleranza, solidarietà, amicizia, stare insieme. Sono tutti
valori positivi, al contrario dell’essere egoisti, indifferenti,
volgari, violenti...
D: Cosa deve e
può fare la scuola per diffondere una cultura di pace?
R: Non ho ovviamente una risposta perché non vivo all’interno della
scuola da molti, molti anni. Però si chiama non a caso “cultura di
pace”: la pace ha bisogno di cultura, ha bisogno di un pensiero, ha
bisogno di solidità, di studio, di ricerca. Tutte le volte che una
classe con il suo insegnante si mette a lavorare su questi temi, io
credo che ne escano esperienze che fanno maturare molto i ragazzi.
D: Un’ultima
domanda: Quali sono le ragioni del suo successo e della sua crescita?
R: Credo stiano nell’essere sempre stata un’organizzazione che ha fatto
cose in un modo professionale e trasparente, e che ha utilizzato al
meglio le risorse che molti cittadini hanno messo a disposizione,
perché si vive di donazione di cittadini. L’apprezzamento per la
qualità del lavoro di Emergency è sicuramente una delle condizioni
fondamentali che hanno favorito la crescita dell’organizzazione.
L’altra (oltre al fare) credo che sia stata anche il cercare di dire le
cose che si vedono, di non tacere gli orrori della guerra, di non
tacere le barbarie che si incontrano ogni giorno… perché la pratica
sociale di Emergency è quella che ha sviluppato in noi una serie di
riflessioni, di idee, ed è quella che poi ci ha consentito anche di
proporle agli altri, di cercare di farle pubbliche. Fino a qualche anno
fa, fino a vent’anni fa, io non avevo mai sentito parlare della
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. E allora sono dei piccoli
passi culturali che qualche seme lo buttano, e poi molti di questi semi
marciranno, qualcun altro invece no, metterà radici.
http://www.loescher.it/riviste/