'Diritto e Letteratura. La giustizia narrata' alla Libreria Cavallotto - Presentazione di Antonio Di Grado
Data: Lunedì, 11 febbraio 2013 ore 07:00:00 CET Argomento: Redazione
Alla Libreria
Cavallotto di corso Sicilia, presentato l’8 febbraio, il libro di
Vincenzo Vitale: "Diritto e Letteratura. La giustizia narrata"(
SugarcoEdizioni). Presentazione di Antonio Di Grado, con
interventi programmati del preside Adernò e del prof.
Cristaldi.
“E non pensavo che i tuoi editti avessero tanta forza, che un mortale
potesse trasgredire le leggi non scritte e incrollabili degli dei.
Infatti queste non sono di oggi o di ieri, ma sempre vivono, e nessuno
sa da quando apparvero.( Sofocle: Antigone, Secondo episodio
vv.453-455).
“[…] il diritto, privato della giustizia – suo principio costitutivo -
rischia di trasformarsi in una arbitraria e pericolosa forma di
esercizio del puro potere, strumento di sopraffazione dell’uomo
sull’uomo”. ( dal risvolto di copertina del libro di Vincenzo Vitale:
Diritto e letteratura – la giustizia narrata - Sugarco edizioni,2012)
***
Il dovere di un giudice saggio - ( per non dire “sapiente” )
-, è quello di obbedire alla Legge, e di far valere
il Diritto. Ma è anche suo imperativo categorico, cercare la verità,
senza la quale non c’è giustizia, né rispetto e tutela della
dignità della persona. Che senso potrebbe - del resto - avere la
fredda applicazione di una norma giuridica, di un diritto, “privato
della giustizia”, ossia depauperato della verità vera, cui aspira
l’uomo?
Ci sono norme morali non scritte ma eterne nel cuore dell’uomo (come,
per fare solo un esempio: le leggi della pietà), che un giudice,
"prudente", non può eludere, né violare o ignorare. Il Diritto,
evidentemente, da solo non basta; è la giustizia, con la sua sete
di verità, che deve inverarlo, vedendo dove altri non vedono, andando
"oltre" il puro criterio "oggettivo" della norma che impone
di attenersi, nel giudicare, alla semplice valutazione dei “fatti” nudi
e crudi.
Essendo la realtà molto più complessa di quanto appaia, è necessario
per chi amministra con scienza e coscienza la Giustizia, che egli
sappia vedere, prima di giudicare, tutto ciò che non si vede, a prima
vista, nel nudo scheletro dei fatti : il “calore” delle
passioni, i sentimenti, i risentimenti, le pulsioni umane, le speranze,
gli amori e gli odi, le fantasie e i sogni da cui gli uomini sono stati
tormentati, e dai quali quei fatti sono scaturiti e hanno preso
"significazione". La giustizia, in quanto ricerca della verità, non può
affidarsi a una codificazione normativa assolutamente sorda o
indifferente "alle vicende" dell’essere umano, considerato nel suo
esserci, vale a dire nella pienezza, hic et nunc, della sua
fattualità storica ed esistenziale.
La letteratura può essere di aiuto al diritto, può favorirne la
“palingenesi” ? La risposta è positiva: "La letteratura - scrive il
Vitale - ricorda al diritto che al di là del linguaggio e dei concetti
giuridici, dei codici e della dogmatica, c’è dell’altro. C’è la vita; e
che perciò è possibile conoscerla; è possibile giudicarla".
E ancora :".. l’esigenza della giustizia non è mai puramente pensata,
non è mai una necessità soltanto speculativa, ma, al contrario, nasce
dalle contraddizioni e dalle lacerazioni dell’ esistenza e
pretende adeguato ristoro".
E come Il senso di un’opera letteraria non è dato
dalla somma, ma dalla totalità organica delle parole, così è della
vita, che non è la somma, ma la totalità organica dei fatti.
In più: chi si accinge a giudicare, deve sentire la necessità di
mettersi in rapporto con il contenuto da comprendere. Chi ha per
obbligo d’ufficio quello di comprendere, deve, prima di
accingersi alla interpretazione, avere la capacità di
auto-comprendersi. Scrive il Vitale a tal proposito: "Non è possibile
interpretare alcunché- né i testi normativi né i fatti giuridici- se
non a partire da un orizzonte necessario; il modo e i contenuti con i
quali ciascuno comprende se stesso. [. ..] In altre parole: chi non si
riconosce, almeno tendenzialmente, come orientato alla giustizia, …non
potrà mai rendere giustizia: ogni comprendere è prima di tutto un
comprender-si ".
Ebbene, in questo agostiniano in te ipsum redi , i saperi
umanistici, e la letterartura, in primis, possono essere di aiuto
ancora a molti e non solo al giurista!
Perché la Letteratura? La risposta, ancora una volta, la dà lo stesso
Vitale: "Mentre il diritto vorrebbe contentarsi del finito (vale a dire
delle norme, dei fatti, dei documenti legali), la letteratura lo induce
a sensibilizzarsi verso l’infinito (della verità, della giustizia,
dell’essere dell’uomo)" e ancora: "Mentre il diritto non vorrebbe aver
nulla a che fare con gli uomini, la letteratura lo induce a patirne le
vicende".
Nuccio Palumbo
antonino11palumbo@gmail.com
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