“E non pensavo che i tuoi editti avessero tanta forza, che un mortale potesse trasgredire le leggi non scritte e incrollabili degli dei. Infatti queste non sono di oggi o di ieri, ma sempre vivono, e nessuno sa da quando apparvero.( Sofocle: Antigone, Secondo episodio vv.453-455).
“[…] il diritto, privato della giustizia – suo principio costitutivo - rischia di trasformarsi in una arbitraria e pericolosa forma di esercizio del puro potere, strumento di sopraffazione dell’uomo sull’uomo”. ( dal risvolto di copertina del libro di Vincenzo Vitale: Diritto e letteratura – la giustizia narrata - Sugarco edizioni,2012)
***
Il dovere di un giudice saggio - ( per non dire “sapiente” )
-, è quello di obbedire alla Legge, e di far valere
il Diritto. Ma è anche suo imperativo categorico, cercare la verità,
senza la quale non c’è giustizia, né rispetto e tutela della
dignità della persona. Che senso potrebbe - del resto - avere la
fredda applicazione di una norma giuridica, di un diritto, “privato
della giustizia”, ossia depauperato della verità vera, cui aspira
l’uomo? Ci sono norme morali non scritte ma eterne nel cuore dell’uomo (come, per fare solo un esempio: le leggi della pietà), che un giudice, "prudente", non può eludere, né violare o ignorare. Il Diritto, evidentemente, da solo non basta; è la giustizia, con la sua sete di verità, che deve inverarlo, vedendo dove altri non vedono, andando "oltre" il puro criterio "oggettivo" della norma che impone di attenersi, nel giudicare, alla semplice valutazione dei “fatti” nudi e crudi.
Essendo la realtà molto più complessa di quanto appaia, è necessario per chi amministra con scienza e coscienza la Giustizia, che egli sappia vedere, prima di giudicare, tutto ciò che non si vede, a prima vista, nel nudo scheletro dei fatti : il “calore” delle passioni, i sentimenti, i risentimenti, le pulsioni umane, le speranze, gli amori e gli odi, le fantasie e i sogni da cui gli uomini sono stati tormentati, e dai quali quei fatti sono scaturiti e hanno preso "significazione". La giustizia, in quanto ricerca della verità, non può affidarsi a una codificazione normativa assolutamente sorda o indifferente "alle vicende" dell’essere umano, considerato nel suo esserci, vale a dire nella pienezza, hic et nunc, della sua fattualità storica ed esistenziale.
La letteratura può essere di aiuto al diritto, può favorirne la “palingenesi” ? La risposta è positiva: "La letteratura - scrive il Vitale - ricorda al diritto che al di là del linguaggio e dei concetti giuridici, dei codici e della dogmatica, c’è dell’altro. C’è la vita; e che perciò è possibile conoscerla; è possibile giudicarla".
E ancora :".. l’esigenza della giustizia non è mai puramente pensata, non è mai una necessità soltanto speculativa, ma, al contrario, nasce dalle contraddizioni e dalle lacerazioni dell’ esistenza e pretende adeguato ristoro".
E come Il senso di un’opera letteraria non è dato dalla somma, ma dalla totalità organica delle parole, così è della vita, che non è la somma, ma la totalità organica dei fatti.
In più: chi si accinge a giudicare, deve sentire la necessità di mettersi in rapporto con il contenuto da comprendere. Chi ha per obbligo d’ufficio quello di comprendere, deve, prima di accingersi alla interpretazione, avere la capacità di auto-comprendersi. Scrive il Vitale a tal proposito: "Non è possibile interpretare alcunché- né i testi normativi né i fatti giuridici- se non a partire da un orizzonte necessario; il modo e i contenuti con i quali ciascuno comprende se stesso. [. ..] In altre parole: chi non si riconosce, almeno tendenzialmente, come orientato alla giustizia, …non potrà mai rendere giustizia: ogni comprendere è prima di tutto un comprender-si ".
Ebbene, in questo agostiniano in te ipsum redi , i saperi umanistici, e la letterartura, in primis, possono essere di aiuto ancora a molti e non solo al giurista!
Perché la Letteratura? La risposta, ancora una volta, la dà lo stesso Vitale: "Mentre il diritto vorrebbe contentarsi del finito (vale a dire delle norme, dei fatti, dei documenti legali), la letteratura lo induce a sensibilizzarsi verso l’infinito (della verità, della giustizia, dell’essere dell’uomo)" e ancora: "Mentre il diritto non vorrebbe aver nulla a che fare con gli uomini, la letteratura lo induce a patirne le vicende".
Nuccio Palumbo
antonino11palumbo@gmail.com